16 Febbraio 2024
Mario Draghi, fonte: imagoeconomica
Mario Draghi torna sulle scene e lancia l'opa sul Consiglio europeo, ruolo al quale secondo indiscrezioni raccolte dal Giornale d'Italia, punterebbe. Intervenuto ad una conferenza della National Association for Business Economics a Washington dove è stato insignito del premio Volcker alla carriera. "C'è un forte bisogno di coordinare le nostre spese sulla difesa per evitare i duplicati e gli sprechi. D'altra parte dobbiamo investire su alcuni settori della difesa e tutto questo è possibile solo con una visione comune della difesa e della politica estera".
Il chiaro riferimento di Draghi in questo periodo storico, è l'Ucraina, di cui l'Europa è "ancora". Europa che secondo l'ex premier deve darsi "una smossa", dal punto di vista della difesa, indipendentemente dal fatto che il prossimo premier americano sia un partner "amichevole o ostile".
Si passa al debito comune: "Deve esserci un percorso fiscale chiaro e credibile che si concentri sugli investimenti e al contempo, nel nostro caso, preservi i valori sociali europei. Questo darebbe alle banche centrali maggiore fiducia nel fatto che la spesa pubblica oggi, aumentando la capacità di offerta, porterà a un’inflazione più bassa domani. In Europa, dove le politiche fiscali sono decentralizzate, possiamo anche fare un ulteriore passo avanti finanziando una quota maggiore di investimenti in modo collettivo, a livello di Unione. L’emissione di debito comune per finanziare gli investimenti amplierebbe lo spazio fiscale collettivo a nostra disposizione, allentando così almeno in parte la pressione sui bilanci nazionali.
I Paesi Europei sono troppo piccoli per resistere, altrimenti, alla globalizzazione. Devono ad esempio coordinare la politica di difesa, essendo l’Europa punto di riferimento per l’Ucraina, prima vittima della globalizzazione “politica”.
La globalizzazione ha fallito. Lo dice a chiare lettere Draghi, nel suo intervento a Washington. Avvenimenti come la pandemia hanno "messo in evidenza i rischi che derivano da catene di approvvigionamento globali estese per beni essenziali come i medicinali e i semiconduttori".
La guerra in Ucraina invece "ci ha poi indotto a ripensare non solo a dove acquistiamo beni, ma anche da chi. Ha evidenziato i pericoli di una dipendenza eccessiva, per input essenziali, da partner commerciali grandi e non affidabili che minacciano i nostri valori. Nel frattempo, è aumentata anche l’urgenza di affrontare il cambiamento climatico".
E quindi, "contrariamente alle aspettative iniziali, la globalizzazione non solo non è riuscita a diffondere i valori liberali – democrazia e libertà non viaggiano necessariamente insieme a beni e servizi – ma li ha anche indeboliti all’interno dei paesi che ne erano stati i principali sostenitori, finendo anzi per alimentare la crescita di forze che guardavano maggiormente alla dimensione interna. Presso l’opinione pubblica occidentale si è diffusa la percezione che i cittadini fossero coinvolti in una partita falsata, in cui milioni di posti di lavoro venivano spostati altrove mentre i governi e le aziende restavano indifferenti".
"In primo luogo, cambierà la natura degli shock ai quali sono esposte le nostre economie. Negli ultimi trent’anni, i principali fattori di discontinuità nella crescita sono stati rappresentati da shock di domanda, spesso sotto forma di cicli di credito. È probabile che, nella fase di adattamento delle nostre economie a questo nuovo contesto, si presentino shock di offerta negativi più frequenti, più irregolari e anche più ampi".
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