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Chi è Patrick Zaki: l'arresto, il presunto legame con Giulio Regeni, la condanna e la grazia

La lunga lotta per la giustizia di Patrick Zaki: dalla detenzione all'assoluzione presidenziale

23 Luglio 2023

Patrick Zaki in aeroporto

Fonte: Ansa

Patrick Zaki è un attivista egiziano e studente presso l'Università di Bologna, tornato nel febbraio 2020 al Cairo, arrestato, torturato e mai più tornato in Italia. Questo articolo esamina le tappe della sua detenzione, dall'antefatto alla condanna e infine alla grazia ricevuta dal presidente Al-Sisi.

Chi è Patrick Zaki: l'arresto, il presunto legame con Giulio Regeni, la condanna e la grazia

Nato il 16 giugno 1991 a Mansura, in Egitto, da genitori di religione cristiana ortodossa copta, Patrick George Zaki ha studiato nel suo Paese d'origine conseguendo una laurea in farmacia alla German University del Cairo. Nel 2018, durante le elezioni presidenziali egiziane, Patrick ha preso parte attiva alla campagna elettorale di Khaled Ali, un avvocato e attivista politico impegnato nella difesa dei diritti umani. Tuttavia, Khaled Ali ritirò successivamente la sua candidatura denunciando minacce e arresti dei suoi collaboratori. Patrick rimase fedele nel suo impegno a difendere i diritti dei più deboli e divenne membro dell'Egyptian Initiative for Personal Rights, un'organizzazione per i diritti umani con sede al Cairo. Nel 2019, si trasferì a Bologna per frequentare un master in studi di genere.

I guai di Patrick iniziarono quando pubblicò un articolo nel 2019 in cui descriveva episodi di discriminazione contro i cristiani copti in Egitto. Questo articolo portò al suo arresto da parte della polizia del Cairo nel 2020, mentre cercava di tornare in Italia.

La scomparsa e la tortura

Per 27 ore, non si ebbero più notizie di Patrick, suscitando preoccupazioni che potesse subire la stessa sorte di Giulio Regeni, uno studente italiano scomparso quattro anni prima in Egitto e poi trovato morto con segni di tortura. Secondo il suo avvocato, Patrick fu bendato e sottoposto a 17 ore consecutive di torture, tra cui percosse allo stomaco e alla schiena e scariche elettriche, durante gli interrogatori sulla sua permanenza in Italia, presunti legami con la famiglia di Giulio Regeni e il suo impegno politico. Fu anche minacciato di stupro. Tuttavia, il Procuratore Generale di Mansura ha smentito queste accuse, affermando che Patrick non mostrava segni di violenze fisiche. Il Procuratore Generale dell'Egitto, Hamada el-Sawy, ha negato che la polizia abbia torturato Patrick.

Le accuse di minaccia alla sicurezza nazionale e i processi

Nonostante le diverse versioni sulle circostanze del suo arresto, nessuno ha mai negato che Patrick sia stato detenuto. Dopo una breve custodia a Talkha, è stato trasferito alla prigione di Mansura e successivamente a quella di Tora, al Cairo. A causa del COVID-19, ci sono stati vari rinvii delle udienze, ma il 14 settembre 2021, l'imputato è comparso davanti ai giudici. Durante il processo, la Procura Suprema per la Sicurezza dello Stato si è concentrata su un'unica accusa, ovvero "diffusione di false notizie dentro e fuori il Paese", facendo riferimento a un articolo scritto da Patrick e pubblicato sul giornale libanese Daraj. In quell'articolo, Patrick descriveva le persecuzioni e le discriminazioni subite dalla comunità copta egiziana.

L'arresto di Patrick è stato giustificato con diverse accuse, tra cui minaccia alla sicurezza nazionale, incitamento a proteste illegali, sovversione, diffusione di false notizie e propaganda per il terrorismo, con particolare riferimento a alcuni suoi post su Facebook. Nel corso delle udienze, sono state effettuate 18 udienze e nove rinvii, con una custodia cautelare durata 22 mesi. Successivamente, Patrick è stato rilasciato per un breve periodo prima di essere condannato definitivamente a tre anni di prigione e, infine, grazie alla grazia presidenziale. Amnesty International, attraverso il portavoce Riccardo Noury, ha commentato che, sebbene la grazia non cancelli la condanna ingiusta, ha restituito la libertà a Patrick e si spera che ora possa viaggiare senza restrizioni.

Il governo italiano, Giorgia Meloni e Amnesty International

Il sostegno istituzionale però non è sempre stato garantito. Il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione che esortava gli Stati membri a imporre sanzioni contro l'Egitto per i casi di Zaki e Regeni, ma non è stata intrapresa alcuna azione. La stessa situazione si è ripetuta durante il governo di Draghi, quando la mozione per la cittadinanza è stata approvata dalla Camera e dal Senato, ma poi apparentemente dimenticata.

Ora, sui social sorge la preoccupazione che la grazia concessa da Al-Sisi possa essere utilizzata dal governo di Meloni per bloccare le indagini sul rapimento, le torture e l'omicidio di Giulio Regeni. L'Egitto non solo si è rifiutato di collaborare, ma ha attivamente diffuso propaganda per screditare la memoria di Giulio Regeni. Questa ipotesi sembrerebbe essere sostenuta dalla poca attenzione data al caso di Zaki da Meloni quando era all'opposizione. Ma la premier si è comunque dimostrata efficace nel suo caso, soprattutto in occasione della Conferenza Mondiale sul clima Cop27 dello scorso autunno: "Sono stato contento quando la premier ha voluto parlare del rispetto dei diritti umani. Mi aspetto che tutti i leader mondiali lo facciano, anche perché la Cop27 deve essere un'occasione per parlare anche di giustizia. Ci sono centinaia di detenuti politici che sono innocenti" ha dichiarato successivamente Zaki.

Indipendentemente dal contesto politico, Amnesty International è rimasta al fianco di Patrick Zaki, affermando che è stato trattato ingiustamente e sottolineando che in Egitto essere "imputati" è sinonimo di essere "condannati". L'organizzazione spera che, nonostante l'assenza di possibilità di appello o cassazione nel sistema giudiziario egiziano, altre vie possano portare a una giustizia reale. Amnesty International ha anche accusato il governo italiano di aver completamente abbandonato il caso di Patrick dopo il suo rilascio.

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