18 Luglio 2023
Il tribunale egiziano di Mansura, alla fine, ha condannato l’attivista per i diritti umani Patrick Zaki a 3 anni di carcere, accusandolo di diffusione di notizie false a causa di un suo articolo, nel quale trattava la condizione dei copti sotto il regime di Al Sisi, nel 2019. La sentenza non potrà più essere appellata, secondo la legge egiziana: secondo l’ong Amnesty International, che ha a lungo seguito il caso, questo è “il peggior scenario possibile”.
Tre anni di carcere per Patrick Zaki, fresco di laurea all’Università Alma Mater Studiorum di Bologna, l’attivista di origine egiziana da ormai due anni lotta contro il regime di Al Sisi per vedere riconosciuta la propria libertà. Oggi, tuttavia, un’immensa pietra è stata gettata dal tribunale della città di Mansura, che ha comminato una pena di 36 mesi di carcere, equivalenti ad altri 14 mesi in regime penitenziario, considerando che 22 Patrick li ha già trascorsi in galera in custodia cautelare durante il processo. Il ragazzo è stato arrestato oggi direttamente in tribunale, subito dopo la lettura della sentenza, e trascinato via tra le urla ed i pianti di madre e fidanzata.
La sua triste storia giuridica era iniziata il 7 febbraio 2020, quando il 32enne era stato fermato. Il giorno successivo, poi, l’arresto. Quindi, l’inizio di un processo lunghissimo, da lui quasi sempre trascorso dietro le sbarre in regime di custodia cautelare, zeppo di rinvii che non hanno fatto altro che posticiparne il termine. Il tutto, in un altalenante e solo a tratti soddisfacente braccio di ferro con Roma, pressante sul Cairo perché liberasse il ragazzo che, seppur egiziano, rimaneva comunque studente italiano.
Era stato proprio l’interessamento della Penisola a far concedere l’abolizione del regime di custodia cautelare, permettendo a Patrik di tornare a muoversi, senza ovviamente uscire dall’Egitto, e, soprattutto, comparire oggi alla triste sentenza come un uomo libero.
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