28 Novembre 2025
Caro Pietro
sai che ti stimo come intellettuale, saggista e filosofo. Mi è piaciuto molto il tuo saggio: "Nel velo virtuale. L'esistenza ai tempi della società dello spettacolo" (Arca Edizioni) dove dai finalmente uno spessore speculativo e filosofico ad un approccio critico all'iper-virtualizzazione sistemica delle relazioni sociali e mediatiche, che ci mancava. Nel sottotitolo fai un prezioso riferimento a Guy Debord ma quali altri riferimenti teoretici hai declinato in questa tua opera?
Nel velo virtuale è l’esito di un percorso iniziato nel 2017 quando, una mattina all’alba (l’ora delle intuizioni per me è quella, tra le 5 e le 6), mi svegliai col concetto di “velo virtuale”: avevo trovato una metafora pregnante dell’esistenza digitale! Quello divenne il perno delle mie riflessioni su Internet e sfociò nella mia tesi di laurea triennale. Dopo la pandemia e l’implementazione totalitaria del digitale, mi resi conto che l’approccio accademicamente corretto non poteva addentrarsi, con onestà intellettuale, negli abissi della rete, così da illustrarne la vera posta in palio: il controllo delle persone attraverso la colonizzazione del loro tempo e della loro percezione. Era nata (o si era pienamente manifestata) quella che, unendo Han e Foucault, chiamo psicobiopolitica. Nel mio saggio “velo virtuale” diventa un concetto più oscuro, di portata metafisica: la benda multimediale che plasma lo sguardo e la mente del sonnambulo digitale, una nube psicologica esterna ed estranea che s’impossessa dell’individuo senza il suo consenso, e senza che se ne accorga. Per portarlo dove desidera. Débord è certo un punto di riferimento, in particolare quel passaggio della “Società dello spettacolo” in cui afferma che, in questa società, il vero è un momento del falso. Curioso ribaltamento di Hegel! Per Hegel il vero (quindi il bene) alla fine trionfa – il vero è l’intero. Nella società dell’apparenza, invece, vale il contrario: il vero diventa momento del falso. Un semplice episodio. Se ci pensiamo è così: le notizie vere, specie quelle approfondite, rappresentano casi isolati e spesso invisibili rispetto alla matassa onnipresente delle sciocchezze in-trattenenti e delle notizie manipolatorie. La cosiddetta società dell’informazione è innanzitutto e per lo più una società della dis-informazione istituzionale. Verità scomoda, post-accademica. Altre stelle fisse sono state per me il Foucault di Sorvegliare e punire e lo Han di Psicopolitica. Nel terzo capitolo li faccio dialogare per superare quella finta opposizione tra biopolitica e psicopolitica che Han sviluppa nel suo saggio e sostengo che la psicopolitica efficace ha come corollario la biopolitica. Il controllo della mente ha come conseguenza il controllo dei corpi. Questo è uno dei motivi kratologici più urgenti dietro lo sviluppo dell’IA: creare un’unica mente globale artificiale rispetto alla quale il singolo diventi un’appendice insignificante e subordinata.
Possiamo dire che la virtualizzazione sistema delle interazioni sociali ha indotto un decadimento antropologico e dis-umanistico della capacità di riflessione, metabolizzazione e interpretazione del reale?
Internet è stato accolto inizialmente con l’entusiasmo tipico del peggior progressismo, quello che applaude il nuovo in quanto nuovo. Se si fosse studiata la sua storia ci si sarebbe dovuti allertare. Internet nasce in ambito bellico, come strumento di spionaggio e decifrazione dei messaggi nemici. La sua estensione all’ambito civile voleva dire solo una cosa: venuta meno la minaccia esterna, si passava allo spionaggio civile. Ridurre la questione allo spionaggio sarebbe, però, limitante. La psicopolitica agisce su due livelli: a priori e a posteriori. A priori forgia la nostra visione del mondo, i nostri gusti, valori, ecc. A posteriori controlla, censura ed eventualmente punisce. Parte del programma psicopolitico includeva il rimbecillimento delle masse, quella che le élites devono concepire come una sorta di correzione dell’errore democratico. Di qui tutti i programmi stordenti che abbondano in televisione e in rete. Si è scelto deliberatamente di promuovere una tv e un internet dis-pedagogici, abbruttenti, massificanti, che promuovono scientemente un’umanità al ribasso. È la demolizione controllata dell’animale razionale di aristotelica memoria. Per fortuna, non tutti abboccano all’esca saporita.
Pensi che anche Deleuze possa meritare si essere nuovamente valorizzato, specie quello di: "Identità e ripetizione", proprio per allenare anti-corpi contro questa involuzione mentale di massa?
L’antidoto contro la spazzatura psicologica della società virtuale è l’allenamento del pensiero critico. Al di là di Deleuze o altri singoli pensatori, il pensiero critico giunge come esito di un processo di formazione che richiede tempo e fatica. È qualcosa di estremamente noioso per la società dell’immediatezza sgargiante. Il sonnambulo digitale non ha tempo per prendersi tempo e respirare. Deve e vuole rimanere sospeso in una nube stordente d’immagini, così da non pensare alla propria condizione. Qui sta il tranello nel quale ci auto-gettiamo. Il virtuale tende solo la mano – è come lo spacciatore: ci vai se ne hai bisogno.
Recentemente hai partecipato come relatore ad un importante convegno sul tema della moneta, tema anche filosofico oltre che economico e sociale. Anche quì abbiamo problemi strutturali di percezione e di ermeneutica? Quale approccio umanistico-filosofico ritieni necessario per affrontare in modo migliore per il futuro una dimensione così delicata e problematica?
La moneta è un sistema di misurazione oggettivata del valore. Non è l’unico strumento a fare ciò: i voti scolastici, i “mi piace” ecc. svolgono una funzione analoga. Certi sociologi, non a caso, parlano di quantofrenia: siamo ossessionati dalla valutazione quantificata esplicita. Valutiamo tutto e tutti, spesso in maniera spietata, perfino il rider (neologismo cool che serve a farci digerire la “schiavitù su ruote”). Questo non è normale. Di fronte a questa situazione, un importante pedagogista, Hadji, parla dell’importanza di una valutazione dal volto umano. Se applichiamo questa proposta all’ambito economico, veniamo sbalzati anni luce dal quadro attuale, dove vige la più spietata razzia dei beni del popolo da parte del vertice della piramide. L’Italia rappresenta un caso emblematico. L’epoca delle privatizzazioni e delle svendite al mercato ha segnato un cambio di paradigma che non accenna a fermarsi: le nostre autostrade sono dei francesi e la Tim è stata venduta a un fondo d’investimenti americano che, evidentemente, aveva interesse ad appropriarsi di un bene informativo strategico, una vera e propria miniera di dati. Altroché sovranità digitale. Non ci può essere alcuna sovranità, né digitale, né economica, se manca la Sovranità.
Nel mio ultimo libro "Saturno e l'Orchidea" ho criticato un articolo di Marcello Veneziani di un anno fa dove superficialmente sosteneva che la filosofia in Italia è morta. Dal tuo punto di vista cosa puoi dirci? Perchè sembra evaporata la filosofia oggi e dove possiamo ritrovarla?
Non credo che Veneziani abbia ragione. Dire filosofia vuol dire pensiero: laddove c’è pensiero c’è filosofia. Al contrario di Veneziani, credo che assistiamo ad una nuova fase del pensiero, il quale però, rimanendo ai margini percettivi, sembra non esserci. Veneziani probabilmente è vittima, come molti, di un effetto ottico tipico della società dello spettacolo: ciò che non vedi non esiste, il che vuol dire ormai ciò che non appare allo schermo (o sul giornale) non esiste. Il mainstream (inclusa l’università) si protegge censurando ciò che è altro da sé. L’attuale efflorescenza di studi eterodossi passa inosservata a coloro che hanno occhi solo per l’ortodossia. Coloro che, invece, sono immersi in questo caos creativo laterale, vedono già le avvisaglie di una nuova epoca.
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