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Valery Gergiev alla Reggia di Caserta, un’occasione persa per la democrazia culturale: chi siamo noi per giudicare un pensiero personale?

Ma la domanda fondamentale è: che cosa chiediamo davvero a un artista? La sua adesione politica o la sua arte? Se iniziamo a filtrare la cultura in base alla correttezza ideologica, ci allontaniamo dai valori stessi della democrazia. La storia ci ha già mostrato dove porta il controllo del pensiero: non all’unità, ma all’intolleranza

23 Luglio 2025

Valery Gergiev alla Reggia di Caserta, un’occasione persa per la democrazia culturale: chi siamo noi per giudicare un pensiero personale?

La recente polemica intorno alla presenza del direttore d’orchestra Valery Gergiev alla Reggia di Caserta (presenza che poi non ci sarà, dal momento che il concerto è stato cancellato) è un triste esempio di quanto la nostra società sembri sempre più incline alla censura preventiva, anche in ambito artistico. In un’epoca che dovrebbe essere segnata dalla libertà di espressione e dalla distinzione tra vita privata e contributo pubblico, risulta anacronistico – se non paradossale – che nel 2025 si continui a giudicare un artista non per ciò che crea, ma per le sue presunte o reali posizioni politiche.

Gergiev è indubbiamente un musicista di fama mondiale, con un curriculum che parla da sé. Eppure, la sua carriera internazionale è stata compromessa da quella che appare sempre più come una caccia ideologica: non tanto una critica ragionata, quanto una demonizzazione automatica in nome di un presunto dovere morale.

Ma la domanda fondamentale è: che cosa chiediamo davvero a un artista? La sua adesione politica o la sua arte? Se iniziamo a filtrare la cultura in base alla correttezza ideologica, ci allontaniamo dai valori stessi della democrazia. La storia ci ha già mostrato dove porta il controllo del pensiero: non all’unità, ma all’intolleranza.

Ancor più problematico è il modo in cui si affronta il conflitto russo-ucraino nel dibattito pubblico. Invece di favorire il dialogo e la comprensione, si alimenta un odio cieco verso tutto ciò che è russo, come se un intero popolo potesse essere ridotto a un'unica narrativa. Questo atteggiamento, oltre a essere intellettualmente disonesto, rischia di compromettere la stessa causa che si intende difendere.

Se vogliamo davvero promuovere la pace e la giustizia, dobbiamo iniziare a separare l’opera dall’autore, il pensiero dall’arte, la politica dalla cultura. Censurare Gergiev non ci rende migliori: ci rende solo più chiusi, più diffidenti, più poveri spiritualmente.

Di Stefano Duranti Poccetti

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