13 Ottobre 2022
Esce in tutti i cinema italiani domani e oggi è stato presentato al Festival del Cinema di Roma Il Colibrì, il film di Francesca Archibugi con protagonista Pierfrancesco Favino, tratto dall’omonimo romanzo di Sandro Veronesi che gli valse il suo secondo Premio Strega.
Che approccio hai avuto con il film di Francesca Archibugi tratto dal tuo romanzo Il Colibrì, (La nave di Teseo), un libro molto sentito, profondo, che racconta i grandi temi del romanzo della tradizione: la vita, la famiglia, la morte, il tempo, tu che sei il ‘’papà’’ del Colibrì?
Sì, sono il ‘’papà’’ del Colibrì però quel tipo di papà che quando il figlio diventa maggiorenne e va in giro per il mondo, sta a guardare da lontano, non mette becco sulla sua vita autonoma. In questo caso la trasposizione cinematografica è stata fatta in totale autonomia da persone che ammiro molto: Francesca Archibugi, Francesco Piccolo e Laura Paolucci. Io non c’entro più, mi sono tenuto fuori, lontano dal progetto, perché avrei potuto turbarlo, avrei potuto infastidire, come succede spesso, proprio per il fatto di esserne il ‘’papà’’. Quei padri che seguono un po’ troppo da vicino i figli quando vanno a fare sport o cominciano a lavorare, diventano fastidiosi e nocivi per il figlio stesso. Quindi il mio contributo al film è praticamente nullo, ma sono molto contento che a farlo siano stati loro, che a produrlo sia stato Domenico Procacci con Fandango, un mio caro amico, l’ho addirittura sposato con la fascia tricolore. Sono felice che questa cosa mi accada molto vicino, con persone che stimo e che mi sono amiche, anche se, tengo a ripetere, non per prendere le distanze ma perché ne sono orgoglioso, sono riuscito a non metterci il becco, perché la tentazione ci sarebbe stata. Questo è il mio quarto romanzo che viene trasposto al cinema. Sempre mi propongono di contribuire alla sceneggiatura, è un atto gentile, è una tentazione diabolica però. Quando avevo trent’anni e pensavo che a me non sarebbe mai successo, Alberto Moravia mi disse personalmente: non devi mai partecipare alla sceneggiatura di un film tratto da un tuo romanzo, devi andare al cinema a vedere il film e dire se ti è piaciuto o no. Io ho fatto così, il film l’ho visto e mi è piaciuto.
In una celebre intervista a William Faulkner della Paris Review, lo scrittore parla di ‘’fallimento’’, perché: ‘’nessuno è mai riuscito a essere all’altezza del suo sogno di perfezione’’. Faulkner sostiene che se lo scrittore riuscisse ad arrivare a corrispondere all’altezza del suo sogno non gli resterebbe altro che tagliarsi lagola. Lui stesso si definisce testualmente ‘’un poeta fallito’’. Che rapporto hai col fallimento?
Queste riflessioni così belle e solenni le devono dire i grandissimi, se lo dice Faulkner
ci riflettiamo sopra, ci sembra veramente un insegnamento. Se lo dicessi io
sembrerebbe soltanto un mettere le mani avanti per giustificare i miei limiti. Io do
per scontato il senso del fallimento, per me non è nemmeno importante, è qualcosa
che ho accettato fin dall’inizio, poi il privilegio, un sogno che si avvera tutti i giorni di
fare lo scrittore, come sognavo di fare a sedici anni, ma non ho mai pensato di
riuscire a fare le cose perfettamente. Anche se magari perfettamente le concepisco.
Definire una cosa perfetta è concepire la bellezza, questo noi sappiamo farlo, però
poi realizzarlo è tutto un altro discorso. Per quanto mi riguarda, il livello, l’altezza,
che è propria di Faulkner e dei grandi scrittori della tradizione non mi riguarda, per
me è ovvio che sia così. Non ci sto neanche a riflettere sopra a un discorso così
profondo, perché io sto a un livello diverso, devo solo limitare i danni e cercare di
cogliere qualche momento di ‘’grazia’’ per riuscire almeno a comunicare l’emozione
di fondo, il senso di quello che sto facendo cosicché anche chi voglia farne un film
sappia da dove cominciare. Cominciare da quell’emozione se sono riuscita a
trasmetterla. Non penso mai alla perfezione.
Qual è la grande differenza, se la rintracci, tra il film e il tuo libro, e quale è il trait
d’union che rende, invece, fedele il film al romanzo?
Di grandi differenze non ce ne sono. Ci sono delle invenzioni che non c’erano nel
romanzo, come è giusto che sia, e altre cose sono sparite per scelta artistica, per
esempio non ci sono le lettere tra Marco e Luisa. Il romanzo è costellato di lettere,
ricevute e scritte. Invece, c’è un elemento che rende il film molto fedele, ma che
secondo me nel cinema è molto più coraggioso di quello che ho fatto io nel
romanzo, cioè la distruzione della narrazione cronologica, della narrazione lineare.
Cioè l’andare avanti e indietro nel tempo è una costante ne Il colibrì, una questione
fondante, una questione strutturale, perché non volevo raccontare una storia
lineare nel tempo della narrazione. Volevo raccontare una vita ma come si racconta
nei ricordi passando e saltando da un periodo a un altro. Dall’infanzia alla vecchiaia
con all’interno di questi salti temporali anche dei momenti esaltanti e dei momenti
tragici. Questa stessa cosa è stata applicata nel film, ma in un film è più complicato e
soprattutto il pubblico del cinema è un po’ meno disposto a sacrificare le proprie
pretese e ad accettare questo abbandono che viene chiesto quando non dai allo
spettatore una linea cronologica. Quindi è un gesto di grande coraggio da parte degli
sceneggiatori e che io ho preso come omaggio di fedeltà al romanzo, ma che però èun azzardo, perché ci sarà sicuramente qualcuno che dirà ‘’questo saltare indietro e avanti nel tempo’’ non sono abituati, nel cinema c’è una parte di pubblico un po’ più basica e certe cose fa fatica ad accettarle. Nella letteratura non mi è stato rinfacciato nulla, perché il pubblico dei lettori è un’enclave meno numerosa ma più avvezza a queste cose. Hai menzionato Faulkner, chi ha letto Faulkner non può minimamente turbarsi se uno scrittore nel suo piccolo travolge e stravolge la linearità della narrazione cronologica.
Chi è Sandro Veronesi oggi a distanza di diversi anni dal Sandro Veronesi che scriveva Il Colibrì?
La vera differenza è tra come sono mentre sto scrivendo un romanzo, qualsiasi sia l’esito del romanzo, e quando non lo sto facendo. Quando sto scrivendo sono molto più produttivo rispetto a tutto il resto delle fasi della mia vita. Mentre scrivo tu puoi chiedermi di fare qualunque cosa, per esempio di farti la dichiarazione dei redditi e io sono pronto e la faccio. Negli altri momenti della mia vita quando non scrivo non sono così reattivo.
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