29 Ottobre 2025
Mimmo Jodice
Quella di Mimmo Jodice è stata una vicenda umana, culturale e artistica, di grande ricchezza, aneddotica e fattuale, che ha osservato e ha attraversato anni non privi di drammaticità e di tragedia, della storia di Napoli, della Campania e dell’Italia intera, certamente connessi con l’aura dei momenti sapienti e innovativi della sua fotografia, che è all’origine di una vera scuola, in cui il verismo e il realismo, si coniugano con le ragioni di una forma, che non ammette repliche, con una potenza poetica, che è un unicum con il fissarsi delle luci e delle ombre, che danno alle sue figure, ai suoi ritratti, un aspetto iconico, di grande forza emblematica, paragonabile solo ai testimoni della Terra Trema, di Luchino Visconti, alle scansioni ritmiche dei grandi poemi epici.
Un instancabile viaggiatore, anche quando faceva il giro intorno alla sua Napoli o intorno a se stesso ed era in grado di cogliere aspetti inediti di verità, se non addirittura eterni ritorni che si attaccano ai luoghi e alle persone che la modernità ha appena sfiorato, certamente significativi, perché tali appaiono ancora oggi, anche adesso, qui ed ora, che tutto il mondo sembra cambiato, spesso in peggio. Anzi, proprio per questo, le verità di Jodice, da cui, direttamente o indirettamente discendono autentici maestri della fotografia contemporanea e decine e decine di giovani protagonisti che senza Jodice non sarebbero nemmeno esistiti. La sua fotografia, ha in sé tutte quelle caratteristiche, che la fanno definire classica, per la capacità di cogliere, nel degrado, nella disarmonia, nella povertà, le possibilità di un linguaggio alto, ieratico, quasi, di un vero genio che ha guardato molto, studiato molto, arrivando ad un saper vedere, ad un comprendere, che è visibilità, colta, sapiente, oltre che intuito, sottigliezza, di andare nel sottopelle, a leggere l’antropologia che c’è sotto il folclore, la psicologia nascosta dai luoghi comuni, il sentimento ingarbugliato dai gesti, l’emozione trattenuta dal rossore, facendo così parlare anche le pietre e le atmosfere di silenzio, che circondano il tutto e tutto.
La sua fotografia, in apparenza spontanea e immediata, preceduta da una autentica ragione del saper vedere, segna una pagina e forse un intero capitolo della vicenda di tutti noi, inteso come nome collettivo di tutti noi, di più generazioni all’interno, con una consapevolezza indiretta, atmosferica, perché la sua era un’affermazione, precisa, decisa e non una mera denuncia di qualcuno o di qualcosa, ma è un discorso con una sua valenza universale, che si può chiamare Napoli, che si può chiamare mondo. Perché questa era la sua ambizione, rivelata ed esaudita, di essere sempre se stesso, senza infingimenti, dicendo con le sue immagini, cose che, in questo modo, nessuno aveva mai detto o fatto vedere. Nei miei numerosi incontri e dialoghi, con lui, negli anni non ho mai avuto un dubbio, sul fatto che la sua cultura immaginaria, fosse un passo in direzione diversa dall’ordinario, e ricordo d’avere visto i provini di tutto il fotografato della sua archeologia vivente, a testimonianza che, ovunque, riuscisse sempre a cogliere le energie invisibili, a cui spetta il merito e la responsabilità, di tutto quello che accade, che non sempre è come lo desideriamo e come ce lo aspettiamo: questa è la sua verità d’artista. Un creativo che non ha tempo, perché la fine di tutto può giungere improvvisa, in cui il gigante scompare, portandosi dietro tutte le sue doti manipolatorie, mentre le sue creature sfidano, il tempo, lo spazio, la memoria.
Di Pasquale Lettieri
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