17 Ottobre 2025
Ha lasciato esterrefatti il grave attentato che ha colpito ieri sera, 16 ottobre, il giornalista d'inchiesta e noto conduttore di Report Sigfrido Ranucci. Un attentato che minaccia ancora una volta la libertà di stampa e informazione, e che è stato puntualmente tradotto dalla giornalista Milena Gabanelli come l'avvertimento a "non farti più gli affari nostri". Ma affari di chi? Chi potrebbe nascondersi dietro a questo attentato? Ripercorriamo l'accaduto.
Sono passate da poco le 22 di giovedì 16 ottobre quando improvvisamente una deflagrazione scoppia davanti l'abitazione di Ranucci in Campo Ascolano, frazione di Pomezia (Roma). L'esplosione ha interessato l'auto del giornalista (una Opel Adam) e quella della figlia (una Ford Ka Plus), che l'aveva parcheggiata circa 20 minuti prima dell'esplosione (intorno alle 21.40). Ad essere esploso sarebbe stato "un chilo di esplosivo" normalmente utilizzato "per fuochi d'artificio". Un ordigno cioè "rudimentale", come l'ha definito lo stesso Ranucci, non una bomba né un oggetto deflagrante complesso e strutturato. Un chilo di polvere pirica pressata. Inoltre l'esplosione è avvenuta quando Ranucci era in casa, cosa che confermerebbe la natura intimidatoria del gesto perché diversamente i responsabili avrebbero potuto centrare l'obiettivo. Dunque: un'intimidazione fatta con tutti i crismi del metodo mafioso (su cui infatti sta indagando la Dda) - o comunque col modus operandi del periodo stragista degli anni di Piombo -, ma che di "mafioso" in senso stretto potrebbe non avere molto. Per modalità, strumenti, tempistiche. Secondo Ranucci chi ha orchestrato tutto non avrebbe avuto un timer, piuttosto una miccia, e comunque conosceva i suoi spostamenti, sapeva cosa faceva e dove andava (mancava da quella abitazione da martedì scorso). A quanto emerge, sarebbe stata lasciata la miccia accesa tra due vasi esterni fuori dal cancello.
La stranezza è il sistema di videosorveglianza, che pare assente in quel tratto di strada. Niente telecamere, se non a 50 metri dalla casa, adibita a rilevamento della velocità dei veicoli in cima al semaforo.
Sigfrido Ranucci, per i suoi servizi d'inchiesta, è sempre stato al centro delle polemiche. Polemiche di chi si sentiva spesse volte minacciato dai suoi servizi di approfondimento. Capire chi possa celarsi dietro all'attentato non è semplice, ma una pista può essere percorsa, ed è quella probabilmente suggerita dallo stesso Ranucci. "Potrebbe non essere una coincidenza il fatto che pochi giorni fa avevo annunciato i temi delle nuove inchieste di Report". Temi precisi: cultura e scuola, ricerca e università, banche, finanziamenti, eolico, sanità. Attorno a queste 5 macro aree dunque le ipotesi devono galleggiare. "C'è una lista infinita di minacce, di varia natura, che ho ricevuto" ha dichiarato Ranucci. Ma in questo attentato c'è qualcosa di diverso: il fatto cioè che avvenga proprio davanti casa, dove in passato, nell'estate 2024, due proiettili p38 erano stati lasciati fuori dall'abitazione.
Le minacce e le intimidazioni si sono fatte, a quanto sembra, più preoccupanti nell'ultimo periodo. Pedinato, oggetto di dossieraggio. Ma Sigfrido Ranucci non era sotto scorta? Sì, dal 2021, ma la protezione non si tratterrebbe all'esterno appena il giornalista entra in casa.Dal 2009 inveceha la tutela - dopo che in Sicilia si era occupato di una cava di sabbia gestita dal clan catanese -, ma solo ora si sono convinti ad assegnargli un'auto blindata. Negli ultimi mesi Ranucci si è occupato, tra le altre cose, di finanziamenti pubblici e stragi di mafia. Aveva fatto investigazioni su Camorra, Cosa Nostra, N'drangheta tra droga e traffico d'armi. Poi il narcotrafficante legato alla N'drangheta e al cartello di Pablo Escobar, che aveva incaricato due killer albanesi di ucciderlo.
Lo scorso 10 giugno, Ranucci era tornato al centro della cronaca dopo che la Rai gli aveva notificato un provvedimento disciplinare, firmato dal delegato Giampaolo Rossi e dal direttore delle Risorse Umane Felice Ventura perché gli venivano contestate affermazioni fatte "senza autorizzazione" ad alcuni programmi TV (di Lilli Gruber, Piazza Pulita). "Se devo prendermi un provvedimento per aver promosso e difeso la squadra e un marchio storico della Rai come Report, tutelato la libertà di stampa, lo accetto con orgoglio" aveva dichiarato Ranucci. Anche quel provvedimento Rai era stato definito dal giornalista Sandro Ruotolo un atto intimidatorio: "Gli altri richiami riguardano le presentazioni del suo libro che parla di libertà di stampa. Uno schiaffo all’articolo 21 della Costituzione''.
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