Annullamento concerto Gergiev a Caserta: la nota stonata contro la libertà, la democrazia, la pace e anche contro la Costituzione
Obbedendo alla campagna stampa iniziata dalle dichiarazioni della vedova di Navalny, il concerto è stato cancellato con il benestare di Giuli
Obbedendo alla campagna stampa innescata da una lettera aperta della vedova Yulia Navalnaya a Repubblica, la direttrice della Reggia di Caserta ha annullato il concerto del maestro russo Valery Gergiev. Decisione benedetta subito dal ministro Giuli: "obbedisce a una logica di buon senso e di tensione morale volta alla protezione dei valori del mondo libero". E qui la contraddizione è palese: "il mondo libero proibisce…".
"Sconfitta ne esce la cultura, perché vietare lo svolgimento di un evento culturale è contro ogni principio di civiltà. La cultura unifica, crea ponti, intesse il legame sociale". Ed è così concepita dalla stessa Costituzione. L’articolo 33 è stato scritto proprio perché "l’arte e la cultura" non fossero mai più subordinate al potere, come era accaduto durante il regime fascista. Per questo oggi chi si richiama alla difesa dei valori costituzionali non può riferirsi all’arte ai tempi della guerra, come pure è stato fatto, per giustificare l’annullamento del concerto. Non solo perché non siamo in guerra (né potremmo legalmente esserlo, stante l’art. 11 della Costituzione), ma anche e soprattutto perché l’arte e la cultura sono state affrancate dalla ragion di Stato, cui il fascismo le aveva sottoposte, proprio dall’art. 33 della Costituzione.
Come è noto, il concerto di musica classica che si sarebbe dovuto svolgere alla Reggia di Caserta il 27 luglio è stato annullato dalla direzione della Reggia per ragioni di opportunità. Il ministro Giuli ha subito voluto commentare l’annullamento del concerto di Gergiev dando pieno appoggio alla decisione che, sono sue parole,"obbedisce a una logica di buon senso e di tensione morale volta alla protezione dei valori del mondo libero". Questa decisione trova la sua causa nella circostanza che il concerto è stato considerato dai media come una manifestazione di propaganda russa con specifico riferimento alla questione ucraina, non tanto (si dice) perché il direttore è russo ma piuttosto, come si apprende dalla stampa, perché da sempre approva, con convinzione, la politica del suo Presidente.
Si sono così moltiplicati gli articoli della stampa democratica, gli appelli, anche di politici, volti ad ottenere l’annullamento del concerto in nome della difesa della democrazia. La decisione di annullamento non si è fatta attendere. È giunta ieri. Come osservato, porta la firma della direttrice della Reggia, che ha avuto il pieno sostegno del ministro. Sebbene non si dubiti affatto della buona fede del ministro e della direttrice della Reggia, a parere di chi scrive, questa decisione è una decisione contro la libertà, la democrazia e la pace; in una parola, contro la cultura e i valori umanistici.
Se letta dalla prospettiva dei valori umanistici, la decisione in commento ha solo sconfitti e perdenti. Innanzitutto, ci perdono i cittadini amanti della musica classica che avevano comprato il biglietto, che non avranno più la possibilità di assistere al concerto diretto da uno dei più grandi direttori d’orchestra viventi, premiato e apprezzato in tutto il mondo. Ci perdono anche, ovviamente, tutti i professionisti coinvolti nel concerto, che avevano in agenda un impegno per cui non saranno pagati, per il quale avevano già cominciato a prepararsi. Ma questo è certamente il danno di minor valore.
Sconfitta ne esce, infatti, la cultura, perché vietare lo svolgimento di un evento culturale è contro ogni principio di civiltà. Persino l’annullamento di una manifestazione politica sarebbe stato difficilmente concepibile, tanto è vero che l’art. 17 della Costituzione limita la possibilità di vietarle solo nel caso in un cui rappresentino un pericolo per la "sicurezza o l’incolumità pubblica". Ma un evento culturale (come un concerto di musica classica) non solo non è una manifestazione politica, ma nemmeno si svolge in una pubblica piazza, dove possono affluire anche facinorosi: per accedervi occorreva pagare un costoso biglietto e gli appassionati di musica sono sempre tali, nonostante possano essere liberali o no, democratici o no, socialisti o no, repubblicani o monarchici. Non interessano (e non sono mai interessate a nessuno) le opinioni politiche di chi guarda un quadro o assiste a un concerto.
La cultura è la manifestazione più nobile dell’uomo e il collante della stessa civiltà umana ed è così concepita dalla stessa Costituzione che, dopo aver inserito la sua promozione fra i principi fondamentali (art. 9), ha dedicato uno specifico articolo proprio alle "libertà" culturali. L’art. 33 della Costituzione stabilisce che "l’arte e la cultura sono libere" e appronta, per le sole libertà culturali, uno statuto ancora più garantista rispetto a quello previsto per la libertà di manifestazione del pensiero. Mentre per quest’ultima la stessa Costituzione (art. 21) ammette, a determinate condizioni, il sequestro delle pubblicazioni e impone un limite espresso ("il buon costume") al suo esercizio, le libertà culturali – giustamente – non subiscono questi limiti. I Costituenti, nella loro saggezza, volevano dare il segno di una netta discontinuità rispetto a un passato in cui la cultura era stata subordinata agli interessi ideologici dominanti (quelli del fascismo), per cui si premurarono di scrivere un articolo al solo fine di proteggere le libertà culturali, e, conseguentemente, non vi posero alcun limite, proprio per evitare ogni ingerenza del potere politico sul loro esercizio.
Le libertà culturali sono il più importante presidio per la civiltà; per questo godono di una tutela molto più forte di quella garantita alla, pur importantissima, libertà di manifestazione del pensiero. La cultura unifica, crea ponti, intesse il legame sociale. Non va confusa con la politica, tanto meno con i partiti. L’articolo 33 è stato scritto proprio perché "l’arte e la cultura" non fossero mai più subordinate al potere, come era accaduto durante il regime fascista. Per questo oggi chi si richiama alla difesa dei valori costituzionali non può riferirsi all’arte ai tempi della guerra, come pure è stato fatto, per giustificare l’annullamento del concerto. Non ha senso discutere di arte al tempo della guerra non solo perché non siamo in guerra (né potremmo legalmente esserlo, stante l’art. 11 della Costituzione), ma anche e soprattutto perché l’arte e la cultura sono state affrancate dalla ragion di Stato, cui il fascismo le aveva sottoposte, proprio dall’art. 33 della Costituzione.
Sconfitta ne risulta la stessa democrazia, ossia quel "mondo libero" evocato proprio dal ministro, che ne risulterebbe così tutelato. Un mondo, se è libero, non vieta una manifestazione politica (che sostenga in modo inequivoco un’idea sgradita a chi è al potere), figuriamoci se può vietare un concerto di musica classica. Il paradosso e la contraddizione contenuti nella dichiarazione del ministro (la difesa del mondo libero usando i metodi di quello che libero non è) non possono essere sottovalutati. Tutelare il mondo libero con provvedimenti di stampo illiberale non è un’idea di ieri, ma risponde a un sentimento (che purtroppo sta cominciando diventare una prassi) sempre più diffuso nell’Occidente (un tempo liberale). Una tendenza che conduce verso un "totalitarismo dei buoni", per dirla con Bret Easton Ellis o un "totalitarismo invertito", per citare Sheldon Wolin.
La censura di opinioni difformi non potrà mai essere uno strumento con cui si difende un ordine liberale, anche se, occorre ribadire, nel caso che ci occupa è stato impedito un concerto, non un comizio. Il suo uso sempre più frequente è solo il triste segnale della torsione autoritaria, in atto da molti anni, che riguarda da vicino le nostre, sempre più malandate, democrazie.
Infine, ne esce sconfitta la stessa idea di civiltà umana, e con essa la pace, perché ogni manifestazione culturale è terreno di coltura dei valori umanistici della pace, della tolleranza e della solidarietà. Allo stesso modo, ogni divieto imposto a una forma di espressione della cultura è un attacco all’uomo e ai valori della civiltà umanistica. In un mondo che si riarma, che vede nemici in ogni luogo, che ha messo la ragione in cantina, che irresponsabilmente sfida l’escalation nucleare (cioè la fine di ogni civiltà umana), purtroppo, acquista una sua tragica e nichilistica coerenza. Discorrere di arte al tempo della guerra (anche se non siamo in guerra) è segno che il vortice del nichilismo non ha più argini, che sta risucchiando anche la cultura. Sempre più urgente è l’inversione della rotta, che a un certo punto diventerà impossibile.