Venerdì, 05 Settembre 2025

Seguici su

"La libertà innanzi tutto e sopra tutto"
Benedetto Croce «Il Giornale d'Italia» (10 agosto 1943)

Genova, soldi e appartamenti al superlatitante Bonavota, sotto indagine sei amici del boss 'ndranghetista

Tra gli inquisiti un prestanome di Carignano e un vecchio capobastone di Sestri Ponente. La Dda; “Il numero di una parrocchia usato per scambiare informazioni”

29 Settembre 2024

Genova, soldi e appartamenti al superlatitante Bonavota, sotto indagine sei amici del boss 'ndranghetista

L’indagine sulle coperture del superlatitante ’ndranghetista Pasquale Bonavota, arrestato nella cattedrale a Genova nella primavera 2023, arriva a un punto di svolta: sei perone sono sotto inchiesta per un sospetto favoreggiamento, nell’ipotesi che abbiano protetto il boss fra il capoluogo ligure e il Piemonte nei quattro anni antecedenti il blitz. Si tratta di Domenico Ceravolo, 47 anni, originario di Torino; Francesco D’Onofrio, 69 anni, di Vibo Valentia; Antonio Serratore, cinquantenne pure lui del Vibonese; Rocco Costa, 58 anni, di Vibo Valentia. E poi Onofrio Garcea, 73 anni, di Pizzo Calabro, e Domenico Cartisano, cinquantenne nato in provincia di Reggio Calabria. Ai primi quattro è stato notificato nelle ultime ore un decreto di fermo emesso dalla Dda di Tornio: i magistrati li ritengono a vario titolo componenti d’un clan attivo nella zona di Carmagnola e collegato a quello calabrese di Sant’Onofrio, e li accusano di associazione a delinquere di stampo mafioso (Serratore era già detenuto per un altro filone di accertamenti). Garcea, che si trovava già in prigione per alte vicende, è invece ritenuto da tempo uno dei leader della ’ndrangheta all’ombra della Lanterna, mentre particolare è la figura di Cartisano, che risulta ad oggi dimorante nel quartiere genovese di Carignano dopo essersi trasferito nel 2022 a Lagandi nel Reggino. Era suo il nome trovato sulla carta d’identità con cui si muoveva a Genova Bonavota. E gli inquirenti descrivono una girandola di comunicazioni fra schede telefoniche intestate a conoscenti o parenti del medesimo Cartisano, tra loto il figlio, e Serratore, attraverso le quali ai loro occhi il capoclan in fuga si garantiva il sostentamento durante la latitanza, trascorsa perlopiù in un appartamento di via Bologna nel quartiere di San Teodoro.

Fra gli elementi più significativi rischiarati da un anno e mezzo di lavoro sulla rete di protezione al boss, oltre a una serie di versamenti ai familiari di Pasquale Bonavota funzionali al suo mantenimento, vi sono pure gli abboccamenti telefonici che a parere di chi indaga sono stati organizzati usando due numeri di rete fissa: uno appartenente a una parrocchia, il secondo a un fast-food. Gli altri personaggi chiamati in causa dai pm, sovraordinati nella gerarchia mafiosa, fornivano il supporto logistico a chi più concretamene si curava della quotidianità del latitante: D’Onofrio è a sua volta una figura di spicco pure per il suo trascorso da eversivo di sinistra negli Anni di piombo (fu legato a Prima Linea e poi ai Colp, i Comunisti organizzati per la lotta proletaria); mentre Ceravolo, sindacalista Cisl, lavora(va) come un apparente insospettabile in un Caf di Moncalieri.

Per focalizzare la pericolosità di Bonavota - oggi al 41 bis - va sempre ricordato che in più d’una deposizione i pochissimi pentiti individuati dagli investigatori hanno raccontato come fosse diventato, durante la sua latitanza trascorsa in Liguria, il numero uno della mafia calabrese. E il 20 novembre scorso lo ha certificato pure la sentenza del tribunale di Vibo Valentia che, nell’aula bunker di Lamezia Terme, lo ha condannato in primo grado a 28 anni, riconoscendolo colpevole in primis di associazione mafiosa. Il capoclan era stato arrestato dai carabinieri del nucleo investigativo, che lo avevano fermato il 27 aprile dello scorso anno mentre stava andando a pregare nella cattedrale di San Lorenzo, nel centro cittadino. E non va dimenticato che entrambi i fratelli di Pasquale, ritenuti a loro volta rappresentanti di spicco della ’ndrangheta, hanno incrociato i loro destini con il capoluogo ligure in passato. Domenico fu arrestato a Voltri nel 2008 e le indagini acclararono che la sua principale stampella locale era ancora Onofrio Garcea, da cui aveva avuto a disposizione un immobile in via Dottesio, a Sampierdarena. Il terzo dei Bonavota che ha avuto un legame con la Liguria è stato Nicola, considerato forse il più violento e instabile. Preso nel 2021 in Calabria e trasferito prima nella prigione di Nuoro e poi in quella di Cagliari, era poi finito a Marassi, il cui centro clinico era indicato come l’unico «idoneo» a curarne le patologie, in prevalenza mentali. Nell’istituto genovese sono stati censiti almeno 15 «dichiarati tentativi di suicidio» e a un certo punto gli avevano concesso i domiciliari a Sant’Onofrio in Calabria.

Il Giornale d'Italia è anche su Whatsapp. Clicca qui per iscriversi al canale e rimanere sempre aggiornati.

Commenti Scrivi e lascia un commento

Condividi le tue opinioni su Il Giornale d'Italia

Caratteri rimanenti: 400

Articoli Recenti

x