28 Agosto 2023
07.30: puntuale come una sveglia, guaisci accanto al letto. Piove. Infilo in fretta un paio di jeans e una felpa (mi laverò più tardi) mentre mi osservi seduto, con le orecchie alzate. Due piani di scale, tu davanti, io dietro. Non di corsa, come al solito, come abbiamo fatto per 13 anni.
We-go: il più bel nome del mondo per un cane. We go: always together, inseparable. Tutto è cominciato 13 anni fa. Una sera d’inverno ho deciso che non ce la facevo più a stare solo. Ho cercato su internet gli allevamenti di Lakeland Terrier e ho telefonato per sapere se avessero cuccioli. Ne ho trovato uno, uno soltanto, di tre mesi. Il sabato successivo sono andato sul lago di Como con Celeste a prenderlo. Volevo andarci con lei. Volevo che avessimo lo stesso ricordo di una cosa bella.
We-go era un batuffolo di pelo grigio focato. Lo abbiamo avvolto in una vecchia coperta e lei lo ha tenuto per tutto il viaggio sulle sue ginocchia, accarezzandolo perché tremava, senza sua madre. Da allora siamo inseparabili. Soltanto quando lavoravo all’ufficio legale della banca o dovevo andare in tribunale restava a casa, gli altri giorni era sempre in studio con me, accucciato sotto la scrivania.
Celeste aveva una fotografia sul telefonino e la mostrava a tutte le compagne di scuola, dicendo che era suo. Ne ero felice: avevamo qualcos’altro in comune. Ora Celeste ha 22 anni. Me ne sono andato di casa quando ne aveva 9: era ancora una bambina che veniva a trovarmi nei miei assurdi rifugi milanesi, sempre provvisori, precari come la mia salute dopo il risveglio dal coma.
Di tutte le terapie alternative We-go è stata la più efficace: dovevo pensare a lui - un simpatico batuffolo di pelo di 8 chili – e così distoglievo l’attenzione da me, dalla mia “sindrome del reduce”, da tutta la sofferenza che un coagulo di sangue nel cervello aveva arrecato a me, a Celeste, a Paola. Avevo perduto il mio posto nel mondo, d’improvviso ero morto, perfettamente lucido, consapevole di morire ma – ironia del Destino – mi ero risvegliato in un letto della terapia intensiva, accanto ad altri sei perfetti sconosciuti, due dei quali avrei visto morire.
Sono un duro: ero il più grave ma sono qui, quasi 15 anni più tardi, a raccontarlo. Così, dopo un secondo matrimonio e una seconda figlia, l’avvocato è diventato giornalista, ha pubblicato cinque romanzi e – come previsto in quello d’esordio Tra un anno sarò felice – è un uomo felice. Grazie a We-go.
Si dice che ogni anno (eccetto il primo) di un cane equivalga a 7 di un essere umano: se è così, in termini umani, We-go ha 84 anni. Lo osservo zoppicare sotto la pioggia. Tra poche ore dovrà essere operato: osteosarcoma. Questa potrebbe essere la nostra ultima mattina insieme. Ho sempre pensato che sarei morto prima di lui (e ci sono andato molto vicino). Invece sono qui, a 61 anni, in jeans e felpa come un ragazzino, e scoppio di vita. Magari non di salute, ma di vita, quella vita che 15 anni fa sembrava destinata a finire.
C’è molto vento, scende dalle montagne a nord del lago. Cammino verso sud. Ho imparato a schivare, a proteggermi, a evitare ciò che mi fa male. Sembra poco, ma è una grande conquista. E’ un indizio che finalmente mi voglio bene e mi reputo importante per chi mi ama. Non sempre sono stato un bravo padrone (né un bravo marito, né un bravo padre). Sono un uomo severo, con me stesso e con gli altri. Agnostico, sento il desiderio di domandare scusa, di confessarmi e fare penitenza.
Fradicio di pioggia, ti volti ad aspettarmi e scodinzoli quando ti raggiungo. E’ tutto così semplice, sei per me (e io sono per te) quella necessaria presenza che per l’uomo è il suo cane e per il cane è il suo padrone. Tutto andrà bene, We-go. Se il Destino lo vorrà, ci saranno altre passeggiate insieme. Insieme vivremo nuove avventure. Altrimenti, cucciolo mio, ti piangerò e verrò a cercarti nei miei romanzi, rimpiangendo il tempo della nostra vita mortale in cui siamo stati inseparabili.
di Alfredo Tocchi, 28 agosto 2023
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