23 Dicembre 2022
“Vede Del Papa, il diritto è come la pelle dei coglioni: va dove lo tiri”. Ero un cronista di primo pelo, fresco di università, spedito a bazzicare il palazzo di Giustizia e non mi capacitavo di come la stessa magistratura, a volte lo stesso giudice, prendesse decisioni a volte opposte. E lo scrivevo, con quelle formule alla vasellina che impari presto a usare per non trovare guai, “si fatica a comprendere la ragione della decisione del procuratore...”. E il procuratore, che sapeva stare al mondo, mi convocava per impartirmi lezioni di vita. Divertendosi molto. Trent'anni dopo, direi che il diritto non è solo come la pelle dei coglioni ma anche delle natiche: culo che palpi, sentenza che trovi. A Empoli, in Toscana, una manata da imbecille può costarti 18 mesi di galera, roba che non la danno neanche agli stupratori egiziani di Capodanno, oltre ad una serie infinita di risarcimenti che ti rovinano l'attività, la reputazione, tutto. A Lecce, più o meno lo stesso gesto, ma col dorso, finisce in niente, proscioglimento e non si azzardi a riprovarci. Perché la passata non di polpastrello ma di nocca “non sostanzia la libidine”, parola di Cassazione.
Non è solo questione di elasticità del diritto e della cute di riferimento: c'è parte lesa e parte lesa, una non conta niente, non esce dal dimenticatoio, l'altra può farsi rappresentare dall'Ordine dei giornalisti, dalla Federazione della stampa, tutti rigorosi in questo caso: lei rigida come la Giustizia offesa, inflessibile, implacabile, perché certi treni passano una volta sola e vanno presi a costo di scaraventarci sotto qualcuno. Anche il direttore di questa Greta Beccaglia, cronistina di una telelibera, ne ha avuto abbastanza, lapidato di riflesso dalla furia vendicatrice di questa aspirante al Grande Fratello, e ha mollato televisione, mestiere e paese. Un'altro essere umano rovinato da una che alterna selfie ai Caraibi al moralismo traumatico, se un cretino passa e ti dà una pacca devi andare a farti seguire, assistere, manco fossi tornata dall'Iran in tumulto. Tutto è duttile, la donna è mobile, che gelida manina: il ristoratore marchigiano va ammazzato, l'ex boss del calcio Moggi, soprannominato Lucky Luciano, ha il tocco più lieve e si può perfino mostrare sull'Instagram col giusto orgoglio. Poi la stampa farlocca la chiama “sentenza esemplare”: sì, esemplare nell'assurdo, nella sproporzione. E nell'intento moralistico, che lo stato non dovrebbe mai permettersi, tanto meno quando indossa una toga. Negli anni Settanta c'erano i pretori d'assalto, certi di dover rifondare la società, ovviamente in senso realsocialista, codice alla mano. Poi la tendenza si è dilatata ad ogni aspetto del vivere più o meno civile.
Si strugge la Greta “violentata dentro”: voglio solo tornare alla normalità. Se era questo che voleva, poteva evitare di concedere sempre la stessa intervista a tutti i media del mondo a partire dalle televisioni quelle vere, quelle grosse; poi, lungi da facili perbenismi, ma per semplice completezza, sarebbe anche da soppesare il modo di porsi, di apparire: perché se la paccata la riceve una Maria Goretti, è più facile credere alla faccenda del trauma, se tocca a una che pare uscita da Onlyfans, ti senti leggerissimamente preso per il culo tu. Ma forse la timidezza “dentro” ha le sue ragioni che la ragione non conosce. Non si conosce neppure l'ubi consistam del risarcimento di 25mila euro da spartire ai vari organi dell'informazione, manco la fanciulla si esprimesse con le chiappe. In compenso, la dura lex sospende sì la pena al ristoratore manesco, che ormai non ha più niente, ma a patto che segua “un percorso riabilitativo” quinquennale insieme a stupratori e maniaci. Così allo stress post traumatico ci finisce lui. Che fanno? Gli fanno passare davanti immagini di ragguardevoli culi e, appena scatta il riflesso condizionato, giù una martellata?
Per questo e per all'85enne Memo Remigi, trattato come un serial kuler (anche qui: la povera vittima è una ex cantante adolescenziale che tenta disperatamente di risalire la china della notorietà), la vita è finita: accenda un certo l'incauto cinquantenne leccese che se l'è cavata con una ramanzina. La sua fortuna è di avere fatto la liscatina di dorso, “con durata del contatto fugace”. Forse certi deretani hanno lo scanner incorporato, chi lo sa. Quello che conta, è che almeno in questo caso il giudice, una donna, abbia deciso cum grano salis: cialtrone sì, ma niente di più. La violenza carnale è una roba tragica, non andrebbe inflazionata coi languori di chi si sente “stuprata dentro”, ma non al punto da negarsi all'universo dei guardoni social. E questo, sia detto a prevenzione degli imbecilli, non incoraggia nessuno, anzi la libertà, bene supremo in Italia sempre meno rispettato, prevede anzitutto l'integrità personale, il rispetto della ciccia altrui. Però non è lecito confondere un gesto stupido con una aggressione e qui siamo al punto che perfino un complimento per un vestito, una gonna può costarti il posto.
Fondoschiena che tocchi, sentenza che prendi. Durante gli anni del mio apprendistato, oltre al procuratore cinico ero diventato amico di una legale, un avvocato che, all'occorrenza, svolgeva funzione di pubblica accusa nei reati pretorili. In tal veste, la sentii accalorarsi in una intemerata senza misericordia contro la mai abbastanza rimpianta Moana Pozzi, esibitasi, in modo assai coinvolgente, in un locale della zona: gli atti osceni, in luogo pubblico, la pornografia che avvelena i giovani, la perdizione, l'esempio negativo. Mi pare che Moana ne ebbe, lei pure, una condanna esemplare a giuste pene che, una tantum, non ne incrementarono la felicità. Passa qualche mese e la stessa avvocatessa, in qualità di difensore, si trova a tutelare un'altra pornostar, Jessica Rizzo: si era prodotta nello stesso locale, in analogo spettacolo, con identica reazione del pubblico. Tutta da gustare l'arringa: il diritto a disporre del proprio corpo, la libertà artistica, la totale irresponsabilità verso un pubblico che era preparato, anzi pagava proprio per assistere a tanto. Jessica, se non ricordo male, non ebbe pene, e, viceversa, una volta tanto ne fu contenta. Io, che intanto avevo cominciato a capire come funzionava, anche nel meraviglioso mondo della duttile lex, dicevo alla mia amica: ma tu la morale la cambi a seconda della toga o del cliente? “Non azzardarti a scriverne” diceva lei “non fare lo stronzo”.
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