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Mafia, colpo ai clan: 23 fermi. Scoperte falle 41 bis e avvocata-boss. L'ombra di Messina Denaro

Grazie all'avv. Porcello - legale di diversi mafiosi - ed alcuni soggetti della polizia penitenziaria, i boss riescono a comunicare con l'esterno. Le indagini sono state condotte anche con l'utilizzo delle 'cimici'

02 Febbraio 2021

Carcere

Carcere (fonte foto Lapresse)

Anche se ristretti al 41 bis, riuscirebbero a comunicare con l'esterno i boss mafiosi delle province di Agrigento, Trapani, Caltanissetta, Catania e Palermo. E' quanto emerge dall'indagine condotta dal Ros dei carabinieri di Palermo, che ha portato al fermo di 23 soggetti, tra cui 6 capi mafia, 3 esponenti della Stidda, 2 impiegati nelle forze dell'ordine, il padrino latitante Matteo Messina Denaro e un'avvocatessa.

Nonostante i detenuti siano sottoposti al regime speciale di detenzione, avrebbero lo stesso la possibilità di organizzare e gestire clan, nonché scambiare messaggi con l'esterno. Secondo quanto emerso dall'indagine, il ruolo centrale sarebbe svolto da Angela Porcello, penalista dell'Agrigentino divenuta organizzatrice del mandamento mafioso di Canicattì: utilizzava anche il proprio studio legale per i summit.

L'inchiesta - coordinata dal procuratore capo di Palermo, Francesco Lo Voi, dal procuratore aggiunto Paolo Guido e dai sostituti Calogero Ferrara, Gianluca De Leo e Claudio Camilleri - ha portato alla contestazione di svariati reati: associazione mafiosa, concorso esterno in associazione mafiosa, favoreggiamento personale, ma anche tentata estorsione ed altri reati aggravati, poiché commessi al fine di agevolare le attività delle associazioni mafiose. Il fermo per i 23 coinvolti è stato emesso dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo.

Mafia, incontri nello studio legale dell'avv. Porcello: usate le 'cimici'

Grazie all'uso delle 'cimici', gli investigatori del Ros e i pm della Dda di Palermo, hanno scoperto e assistito in diretta alle dinamiche organizzative di Cosa nostra e della Stidda. Lo studio privato dell'avv. Angela Porcello - legale di diversi boss mafiosi - era il luogo principale dove si svolgevano riunioni e incontri. Tra i presenti ci sarebbero stati il capocosca di Canicattì, quelli della famiglie di Ravanusa, Favara e Licata, un uomo d'onore di Villabate in provincia di Palermo e fedelissimo di Bernardo Provenzano e un esponente della rinata Stidda.

Dall'indagine emerge inoltre che tutti i soggetti coinvolti abbiano sempre cercato di mantenere efficienza e riservatezza, nonché reciproco appoggio e mutua assistenza tra di loro.

Mafia, Dda: 'Gravissima interazione' tra detenuti e l'esterno

Preoccupano non solo gli "spazi di gravissima interazione" tra i detenuti al 41 bis e l'esterno, ma anche i rapporti tra i boss mafiosi e la polizia penitenziaria. Lo dichiarano i pm della Dda di Palermo. La Procura però precisa che si tratta di "episodi circoscritti" e lancia l'appello a non generalizzare. 

Secondo le indagini, le falle al sistema del 41 bis sarebbero numerose: dai colloqui dei detenuti senza la presenza della polizia, all'uso di un cellulare, fino ai contatti stretti con Porcello, la legale del boss di Agrigento Giuseppe Falsone, detenuto a Novara. Da quanto emerge infatti, un agente penitenziario, avrebbe chiamato l'avvocatessa per avvertirla che un suo assistito "l'indomani sarebbe stato trasferito in un altra struttura, via aereo". 

"Il capo della provincia di Agrigento, Giuseppe Falsone - dicono i pm della Dda di Palermo- , il capo mandamento di Trapani e del capo della famiglia di Gela, pur non condividendo lo stesso spazio di socialità, sfruttando queste inefficienze dei controlli, riuscivano ad entrare in contatto, dialogare tra loro e, in alcune occasioni, a scambiarsi informazioni. E inoltre finiscono per condividere anche lo stesso avvocato difensore - sempre Angela Porcello - per usufruire del ruolo di messaggero verso gli altri sodali, liberi e detenuti" concludono i pm.

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