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35° Convegno dei Giovani Imprenditori di Confindustria, il presidente Riccardo Di Stefano: 'Scriviamo la storia dell'Italia che si salva con le proprie forze'

"Viviamo un tempo che resterà nei libri di storia. Ci impegniamo per ridare alle giovani generazioni la possibilità di rafforzarsi, crescere e dare al Paese l’energia necessaria". Il discorso integrale del Presidente dei Giovani Imprenditori al Convegno di Roma.

16 Ottobre 2020

35° Convegno dei Giovani Imprenditori di Confindustria, il presidente Riccardo Di Stefano: 'Scriviamo la storia dell'Italia che si salva con le proprie forze'

Convegno Giovani Imprenditori di Confindustria

Signori Ministri, Presidente Bonomi

cari colleghi,

cari amici,

ospiti in sala,

Amici che ci seguite da remoto,

inizio con un messaggio che il Presidente Conte ci ha fatto avere ieri e di cui lo ringrazio.

Gentile Presidente Di Stefano,

ringrazio per il cortese invito al 35° Convegno dei Giovani Imprenditori di Confindustria, al quale mio malgrado non potrò partecipare a causa di inderogabili impegni istituzionali già programmati.

L’occasione sarà, certamente, un’occasione preziosa di approfondimento e di studio su temi di assoluto rilievo come l’individuazione delle soluzioni per uscire dalla grave crisi che sta investendo il nostro Paese e il mondo intero, in seguito alla pandemia dovuta al Covid-19, in un’ottica innovativa e di sviluppo sostenibile.

Auguro un proficuo lavoro e il pieno successo per il conseguimento degli importanti obiettivi che si pongono i giovani imprenditori in questo convegno.

A tutti i partecipanti, il mio più caloroso saluto”

*******

Viviamo un tempo che resterà nei libri di storia.

Da Presidente è una grande emozione e una grande responsabilità poter guidare i primi passi del Movimento verso il “new normal”, in questa difficile convivenza con il virus.

Il mio impegno è iniziato con un Convegno di Rapallo cancellato post lockdown, poi la speranza che ci contraddistingue ci ha portato a progettare, non senza qualche esitazione, Capri.

Napoli è stata la scelta per continuare ad avere un legame forte con il territorio campano e infine, oggi, Roma.

Non abbiamo cambiato la sede storica del nostro convegno, abbiamo solo lasciato una casa per trovarne un’altra, qui nella nostra sede di Confindustria.

E nel 2021 speriamo di incontrarci a Rapallo e a Capri, per tornare alle nostre tradizioni, con i 50 anni del Convegno ligure e i 35 di quello campano.

La cosa che più ci ha colpito è che il paziente zero di questa pandemia è stata la globalizzazione.

Dal quel momento le regole si sono incrinate, forse in maniera definitiva.

Abbiamo scoperto che davanti al dolore e al coraggio della ripartenza siamo tutti uguali, senza distinzione di religione, lingua o nazione.

La pandemia ci ha infatti dimostrato che il sovranismo non è la soluzione: senza cooperazione tra Stati non ci possiamo salvare.

Né come esseri umani, né come cittadini, né come imprenditori.

Una sfida gigantesca, soprattutto oggi, che di globale è rimasto solo il segno meno in tutte le più recenti previsioni sul commercio internazionale: -7,0% secondo il Centro Studi Confindustria, - 9,5% per l’OCSE e – 10,6 % per il Fondo Monetario.

Questi numeri anticipano conseguenze preoccupanti anche per la nostra manifattura, soprattutto per i settori in cui le catene globali del valore coinvolgono molti paesi.

Dobbiamo invertire il processo di globalizzazione? Dobbiamo tornare indietro?

No, dobbiamo ridisegnarlo con nuove logiche e più equità.

A partire da un rafforzamento di quelle stesse catene europee del valore.

Dobbiamo essere più resilienti agli shock, emanciparci dalla dipendenza del “just in time” e dalle logiche del massimo ribasso. 

Ricordandoci che nell’ultimo decennio l’export ha salvato il Paese.

Nel 2020 le esportazioni diminuiranno circa del 14% e si prevede una risalita dell’11% nel 2021.

Ma non basterà.

Noi la lezione l’abbiamo imparata: ora cerchiamo nuove partnership commerciali nello spazio europeo e mediterraneo.

A questo proposito, il B20 ha fatto una proposta: lanciare il passaporto per le catene globali del valore, ovvero consentire ad una impresa di ottenere un’impronta digitale finanziaria per fare business, con procedure chiare ma semplificate, con tutti i paesi all’interno delle filiere.

Ecco, noi vorremmo che i Governi del G20 la approvassero questa proposta.

Nel 2021, per la prima volta, l’Italia sarà alla guida del G20, Confindustria al timone del B20, con Emma Marcegaglia. Abbiamo, anche come Giovani Imprenditori un appuntamento con la storia e dobbiamo essere all’altezza di costruire nuovi futuri, migliori per tutti.

In un mondo dove tutto è collegato, le libertà personali non sono irrilevanti.

Nessun diritto garantito o negato è irrilevante.

Come imprenditori, noi amiamo tutte le libertà.

E come ha detto il Presidente Mattarella, non ci manca certo la serietà. 

Crediamo nel mercato che funziona con le democrazie, l’unico in grado di garantire diritti e distribuire ricchezza.

Libero mercato e diritti democratici sono il primo vaccino per la salute globale.

La salute dell’Europa, per esempio, che va di pari passo con quella dei suoi cittadini.

Guardiamoci in casa: il MES sanitario serve a rafforzare il nostro sistema di risposta alla pandemia e a prevenire quelle future.

Dire no, significa impedire ai territori più fragili di prendersi cura dei propri cittadini.

Dire no, significa avere più a cuore feticci elettorali anacronistici rispetto al nostro Paese.

Quindi: sì al MES sanitario subito.

Sì all’utilizzo di quei 36 miliardi per costruire infrastrutture sanitarie e fare prevenzione.

Sul serio vogliamo dire di no agli strumenti finanziari per affrontare la più grave crisi sanitaria della storia moderna?

Paesi frugali del Nord e paesi del Sud Europa: siamo tutti idealmente allo stesso nastro di partenza per ridare valore alle vite umane, riprogettare la società e l’economia. Partendo dai Giovani.

Come? Dando gambe (ma che corrono!) al piano Next Generation EU.

Proviamo ad assegnare questi fondi in base a un “punteggio”: più un progetto crea e assicura futuro, più merita di essere finanziato.

Il primo KPI di ogni progetto deve essere il tasso di conversione euro/futuro.

Sentiremo domani che ne pensa il Ministro Amendola.

Partendo da quattro punti cardine:

giovani e donne, transizione energetica ed ecologica, connessioni, inclusione territoriale.

Primo: giovani e donne

Per ogni euro speso in educazione, l’Italia ne spende 3 e mezzo in pensioni.

Per ogni euro speso in università, 44 vanno in pensioni.

Rovesciamo il trend di un paese che invecchia: Next Generation EU deve avere come assoluta priorità la next Generation dell’Italia.

Mentre l’età dei piccoli imprenditori si è innalzata negli ultimi 10 anni, quelli tra i 30 e i 49 anni sono diminuiti di 400 mila unità.

Costruiamo allora una Next Generation di imprese.

Ecco a cosa deve servire il recovery fund. Altrimenti non c’è recovery.

Ben prima della pandemia vivevamo il problema delle diseguaglianze e non solo quelle generazionali.

Ora le distanze sono ancora più ampie e tangibili: un computer e l’accesso alla rete, il pay gap tra donne e uomini, il tetto di cristallo nelle carriere e la carenza di donne negli studi scientifici.

Da tre anni i Giovani Imprenditori portano il progetto STEAMiamoci in giro per l’Italia al Salone dello Studente, per raccontare alle ragazze quanto è importante il loro contributo in questo campo.

E allora cambiamo i simboli per cambiare la cultura.

E se gli asili nido fossero il simbolo architettonico del nostro futuro?

Così come i grattacieli delle banche rappresentano il peso del capitale economico, gli asili dovrebbero essere quello del capitale umano.

Secondo: transizione energetica ed ecologica.

Il Green New Deal della Commissione Europea prevede di raggiungere la neutralità climatica nei prossimi 30 anni.

Ma essere il primo continente a emissioni zero significa anche avere un paradigma economico modellato sulle politiche climatiche.

L’approccio punitivo, come quello della plastic tax, non aiuta la transizione e scoraggia gli investimenti.

Non ci restituisce certo il mare senza plastica, tutt'al più, nel breve, riempie le casse dello stato, con il rischio di tagliare posti di lavoro.

L’industria verde possiamo farla meglio coi Progetti di Interesse Comune Europeo.

Solo così ci diamo una chance come paese, costruendo il domani della mobilità sostenibile e autonoma, dell’internet delle cose, della salute intelligente.

Pensiamo sì, al domani, senza perdere quanto di positivo è stato fatto fino ad oggi: industria 4.0 è da rifinanziare e rafforzare con la cedibilità del credito.

Centro Studi Confindustria e Dipartimento delle Finanze del MEF hanno dimostrato che l’iper-ammortamento, nel 2017, ha prodotto più di 10 miliardi di euro di investimenti, mentre la stima per il 2018 è più di 15. Parliamo di incrementi del 50%.

Ma ancora più importante è che quasi l’85% delle imprese che ha beneficiato di questa misura lo faceva per la prima volta. E questo è un esempio di come una scelta di politica industriale azzeccata possa trasformare, in breve tempo, il volto delle  imprese.

Parliamo di occupazione? Gli investimenti in tecnologie 4.0 hanno generato in due anni, nelle imprese che li hanno usati, un aumento di circa 7 punti percentuali.

Dentro questo aumento ci sono soprattutto giovani, operai specializzati e tutto il nostro Paese, senza distinzione tra nord e sud.

Terzo: connessioni

Investire in infrastrutture, materiali ed immateriali.

Anche in questo caso, la pandemia ha confermato quanto è fragile la nostra penisola.

Il futuro è in progetti come Gaia X, il progetto di cloud federato europeo, capaci di alleare Paesi, imprese e strategie per la creazione di campioni europei del digitale. Per questo i player italiani non possono restare fuori da questa partita.

E poi chiediamoci, se l’Italia domani si riempisse di infrastrutture digitali, arriverà presto il 5G, gli italiani (e le nostre aziende), saranno pronti ad usarli?

No. E non lo diciamo noi ma ce lo dice l’indice DESI, che da anni ci colloca terzultimi in classifica, condannati alla bassa alfabetizzazione digitale.

Quarto e ultimo: inclusione territoriale.

C’è una misura efficace da poco che prevede una flat tax al 7% per dieci anni ai pensionati esteri che porteranno la residenza fiscale nel Mezzogiorno.

Ma se al posto di nuovi pensionati potessimo attirare nuove imprese, non sarebbe meglio per il Mezzogiorno?

La riduzione del carico contributivo del 30% dal 1° ottobre al 31 dicembre è una misura emergenziale, ma affronta solo un segmento della grande questione Meridionale.

La Campania è la prima Regione Ue a rischio di povertà, con un tasso del 41 % circa, a fronte di una media europea del 17.

Dati che non fanno onore all’intero Paese, che non chiedono l’ennesima misura tampone, ma pretendono un progetto strutturale.

Dati che vogliamo rovesciare.

Un buon utilizzo dei fondi europei, dovrebbe consentire a MEF, MISE e Agenzia per la coesione territoriale di intervenire sulle regioni che non hanno ancora impegnato almeno il 40% dei fondi.

Si tratta di un atteggiamento prudenziale, soprattutto ora che il Recovery Fund potrebbe mettere a disposizione delle regioni del sud oltre 70 di quei 209 miliardi previsti.

Il sud ha bisogno di grandi poli di ricerca e innovazione: al Sud più ancora che al nord, serve massa critica di risorse Stato-privato.

Allora, invece delle oltre 30 esperienze di campanili, bisognerebbe concentrarsi su pochi grandi hub di trasferimento tecnologico, rendendoli competitivi.

Tra i progetti bandiera del Piano Sud, c’è Food for Life, dedicato alla ricerca e al trasferimento tecnologico nella filiera agroindustriale.

Va fatto sul serio, con un approccio industriale.

Coinvolgendo l’intera filiera produttiva, si otterrebbero risultati positivi anche per il lavoro degli stagionali in agricoltura. Altro che sanatorie!

E poi, Next Generation deve andare tutto alle nuove generazioni, con una lotta esemplare alla criminalità organizzata che pensa di intercettare i fondi del Recovery Plan.

Non possiamo permetterci che accada.

Molti ci chiedono: qual è la prima cosa che fareste con questi fondi?

Partiamo da quello che non ci faremmo: altro debito improduttivo sulle spalle delle generazioni future.

Lo diciamo chiaramente: meglio rinunciare al Recovery fund che sprecarlo.

Meglio lasciarlo a disposizione di quei cittadini europei veramente capaci di dare futuro a questo Continente, piuttosto che tramutarlo nell’ennesima spesa improduttiva.

E come mettiamo in pratica tutto questo? Come si trasforma il libro dei sogni in realtà? 

Dobbiamo superare l’italica passione per “task force” e super esperti.

Ogni roboante annuncio sul taglio della spesa pubblica porta con sé una task force o un supercommissario.

Tutti i commissari alla spending review hanno fatto un encomiabile lavoro, poi però la “spending” resta uguale e la “review” finisce in un cassetto con i suoi commissari.

Ora si rischia la stessa cosa con i fondi europei.

Chi sceglierà i progetti?

Chi ne controllerà l’attuazione? 

Basta con la “taskforsite”, servono strutture e responsabilità chiare.

Non discutiamo le buone intenzioni, ma non vorremmo che il proliferare di comitato tecnici rallentasse le procedure. Il Paese non ha più tempo.

Nelle nostre aziende, quando si scelgono i progetti si discute e poi si realizzano.

Il principio di “accountability” prevede che ci sia un responsabile riconosciuto e plenipotenziario. Così funzionano le moderne democrazie e le aziende.

Non vogliamo essere giudicati dalle generazioni future come quelli che hanno perduto l’ultimo treno per la modernità.

Partiamo dai settori del Made in Italy che stanno pagando il prezzo più alto della crisi.

Tra questi, turismo, moda, cultura.

Consentitemelo: il bonus vacanze è uno degli esempi di dadaismo economico di questo Governo; 2,4 miliardi allocati ma utilizzati in minima parte.

Il turismo vale il 13% del PIL ed è stato gravemente colpito. I bonus non bastano, perché ci aspettano ulteriori cali del 50% del fatturato.

Un Governo attento dovrebbe ora investire per trasformare il turismo estivo sulle coste italiane in un dato strutturale.

Altro capitolo è la crisi del tessile, che durerà purtroppo ancora a lungo e di certo il prossimo bonus, magari per lo shopping tricolore, non sarà sufficiente a contrastare la flessione del 20% dell’export.

Infine, le industrie culturali e creative, più del 6% del PIL e 1 milione e mezzo di occupati.

Durante il lockdown i musei hanno perso circa 80 milioni di euro; il cinema quasi 120, gli spettacoli musicali 350.

Sono settori, questi, che da sempre animano il sogno della Dolce Vita e il brand Made in Italy, e per questo devono essere sostenuti.

La politica dei bonus non è quello che serve al paese!

Con un calo del PIL del 10% quest'anno e un recupero parziale del 4,8% l'anno prossimo, non facciamoci illusioni: torniamo indietro di 23 anni.

Perderemo 410mila occupati nel 2020 e 230 mila nel 2021.

Sono numeri preoccupanti, che chiedono al Governo di lavorare con le imprese per garantire una ripresa rapida e facilitare le nuove assunzioni.

E qui arriviamo a un tema centrale: il lavoro, che, dall’inizio della pandemia, è stato al centro di molte trasformazioni.

La riflessione sul lavoro inizia con un grazie, a tutte le persone – donne e uomini – che hanno mandato avanti l’Italia durante il lockdown.

Vorrei dire grazie davvero ai medici e infermieri, a tutte le imprese rimaste aperte con coraggio nel rispetto dei protocolli di sicurezza, ai lavoratori che le hanno tenute aperte, alle forze dell’ordine.

Vi siamo riconoscenti.

Ma penso anche a tutte quelle mamme, a quei papà, nonne e nonni le cui abitazioni sono diventate di colpo scuole, ludoteche, uffici, sale riunioni, persino palestre e bar.

La tenuta sociale, dal tinello di casa al sistema paese, è stata garantita in buona parte dalla resistenza femminile. Basterebbe solo questo per fare spazio a una maggiore rappresentatività delle donne nella leadership del paese e delle imprese.

E va fatto per ragioni di equità e per ragioni economiche: tra le donne, il tasso di occupazione cala più che tra gli uomini e aumentano maggiormente disoccupazione e tasso di inattività.

Secondo il rapporto trimestrale Unioncamere sull'imprenditoria femminile, tra aprile e giugno, sono mancate circa 10.500 imprese guidate da donne, con un calo del 42%.

Ma l’economia italiana, di queste nuove imprese, ha bisogno.

Del lavoro delle donne, ha bisogno.

Del talento delle donne non può fare a meno.

Un pensiero allora va alla prima donna Presidente della Regione Calabria, Jole Santelli: il Sud ha perso un simbolo di leadership al femminile.

Lo smart working, dunque, in Italia, è diventato comune così, nel sovraffollamento e in deroga.

Ma è un cambiamento che ha modificato in maniera irreversibile il nostro modo di lavorare e vivere.

Dobbiamo quindi essere capaci di tirarne fuori il meglio e metterlo a fattor comune.

L’Economist di qualche settimana fa si chiedeva se è finito l’ufficio.

La nostra risposta è no, soprattutto fino a quando l’Italia non sarà tutta coperta dalla banda ultra larga. Lo smart working, però, può consentirci di ripensare il lavoro, sganciando le persone dalle scrivanie e agganciandole ai risultati.

Ma anche qui servono innovazione e nuove competenze, altrimenti restiamo alle prove generali e non arriviamo al debutto. 

Nuove organizzazioni del lavoro cambieranno, ancora una volta, il volto dei territori.

Per le metropoli, come per le periferie, lo smart working può essere un incubo o un’occasione di riscatto, sta alla politica fare in modo che gli uffici non si desertifichino e che gli esercizi commerciali restino attivi.

E noi imprenditori? Noi siamo pronti a fare la nostra parte.

Serve un nuovo progetto di rilancio urbano: ridisegniamo le città, investiamo su infrastrutture, urbanistica e periferie. Noi siamo pronti all’impresa.

Indipendentemente da quando finirà l’emergenza sanitaria e la gestione in deroga, vorremmo che il lavoro agile fosse disponibile per le aziende senza ingessarle.

Senza impedirci di prendere il meglio del lavoro in presenza e di quello a distanza.

Quando si sbloccheranno i licenziamenti, la mole di cassa integrazione va trasformata in strumenti che consentano una riorganizzazione delle imprese che non impatti sulle persone. Andranno quindi sostenuti quei lavoratori che cambieranno posto di lavoro durante la transizione, con un sostegno al reddito, ma la vera sfida è quella della rioccupabilità.

E questa si crea rafforzando le competenze.

Le imprese avranno sempre più bisogno di collaboratori specializzati, dalle competenze manageriali a quelle funzionali. E su questo domani sentiremo la Ministra Catalfo.

A proposito di lavori e professioni, un appunto su quello del parlamentare.

Ora che ne è stato ridotto il numero, attuando la riforma annunciata, sarebbe arrivata anche l’ora di migliorarne la performance.

È tempo di innalzare la qualità della rappresentanza e fare in modo che torni a fare rima con competenza.

Non era la prima cosa da fare, ma ora che l’avete fatta impegnatevi ad ammodernare la macchina dello stato.

Questa è la vera rivoluzione, la burocrazia avrà sempre la meglio fino a quando le norme non saranno chiare e semplici.

Torniamo nelle fabbriche, dove il lavoro è continuato con numeri forzatamente ridotti, misure di sicurezza stringenti e una incertezza sul futuro.

A quale impresa dobbiamo essere pronti?

E’ questa la domanda che si fanno gli imprenditori ogni mattina, da sette mesi a questa parte.

Ogni mattina ci chiediamo anche se rivedremo mai gli investimenti fatti per sanificare i luoghi di lavoro.

Vi racconto come è andata: inizialmente era stato previsto un credito d’imposta al 60%; poi scopriamo che viene ridotto al 9.

Il DL Agosto stanzia altri 401 milioni, svuotando un bando per finanziarne un altro dedicato alla prevenzione Covid in azienda.

Alla fine della storia il credito d’imposta è dimezzato, mentre noi lo dicevamo già ad aprile che bisognava fare poche misure su cui concentrare risorse!

Ma se non è chiaro quanto costa un disinfettante, come si possano progettare e realizzare investimenti di ben altro rilievo?

L’impatto della pandemia sugli investimenti è una diminuzione del 15,8% nel 2020. Caduta della domanda, cancellazione di ordini e peggioramento delle attese hanno costretto le imprese a rinviare molte scelte di investimento.

Oltre ai disinfettanti, altro settore in cui i conti si sarebbero potuti fare meglio è quello della scuola.

Le imprese hanno fatto di tutto per poter partecipare ad un’operazione tanto industriale quanto sinceramente patriottica: ridare scuole sicure ai nostri scolari.

Vorremmo dire ai ragazzi nelle scuole: ogni banco dove sedete racconta la storia di aziende e lavoratori che hanno fatto cose incredibili.

Questa è la potenza delle imprese italiane, questo è uno dei motivi che ci spinge a fare impresa: fare anche qualcosa di utile per le nostre comunità.

Essere imprenditore non è un piano B, ma una scelta di coraggio, fatta di sfide e soddisfazioni.

E’ questo che pensava Adriano Olivetti, come avete visto nel video di apertura.

Lo diciamo alla nostra Ministra dell’Istruzione: cara Ministra, iniziamo a fare cultura d’impresa nelle scuole oggi. Diamo ai nostri studenti gli strumenti per entrare nel mondo del lavoro di domani.

E’ necessario costruire partnership stabili tra scuole e imprese, e garantire agli ITS sostenibilità economica e dialogo con le università per recuperare potenziali drop-out.

Ne siamo convinti, perché chi esce da un ITS ha un tasso di occupazione, dopo 1 anno, di circa l’83%.

Ne siamo convinti perché il piano industria 4.0 sarà sempre incompleto senza competenze 4.0.

Lo diciamo da 15 anni che vorremmo ITS capaci di dare formazione di qualità a molti più studenti e siamo disposti a farci un esame di coscienza.

Non perché non abbiamo insistito abbastanza, ma perché ancora il sistema paese non ha raggiunto l’obiettivo. In particolare, l’obiettivo culturale.

Noi lo sappiamo che il lavoro si impara anche a scuola. Come facciamo a dirlo agli studenti?

Se è vero che Masterchef ha tramutato i cuochi in chef, cambiando un paradigma culturale, che il distretto automotive ha creato i corsi universitari professionalizzanti della motor valley, allora forse si sta creando un nuovo modo di guardare allo studio.

E non importa da quale aula si esce, è il talento che apre le porte a chi guiderà il paese e le sue aziende.

Ce lo conferma anche il progetto del Ministro Manfredi sui dottorati industriali, per favorire il match tra la domanda di innovazione delle imprese e l’offerta di conoscenza del mondo accademico e della ricerca.

Dal 2018 ad oggi Confindustria ha raccolto più di 425 domande di aziende interessate a dottorati di ricerca triennali. CNR e imprese hanno finanziato 77 borse di dottorato industriale.

Insomma, come ci ha ricordato Mario Draghi, ai Giovani bisogna dare di più.

Per questo siamo vicini agli studenti che oggi vanno a scuola, con grande senso di responsabilità, e a quelli che sono a casa per l’aumento dei contagi nelle classi.

Crediamo che scuole aperte e serrande alzate siano simboli dell’Italia che riparte, nel pieno rispetto della sicurezza.

Senza dimenticarci però, in questa pandemia, che non dobbiamo solo tornare a scuola, ma dobbiamo ripensare una nuova scuola.

Per la nostra ricostruzione nazionale post Covid, il Governo ha stanziato circa 100 miliardi, ma una parte di questi fondi è ancora ibernata: come può accadere? Chi ne è responsabile?

Mancano 140 misure attuative dei decreti approvati durante il lockdown, che scavano un vuoto tra quello che accade nei Palazzi e quello che accade nella vita reale.

Il decreto agosto è stato approvato il 12 ottobre!

Nel mezzo di questo vuoto, l’Italia sembra una zattera in mare aperto e i giovani rischiano di diventare naufraghi.

A fare un po’ di autocritica, dobbiamo ammettere di non aver avuto grande successo.

Però citarci e preoccuparsi del nostro futuro ha un buon tornaconto elettorale.

Paradossalmente, perfino provvedimenti come Quota 100 sono stati incensati come misure a favore dell’impiego di giovani.

Ci dicevano: nel 2019 per ogni lavoratore che andrà in pensione con quota 100 ne verranno occupati 2 o 3.

E invece, come è andata a finire?

Al 31 dicembre 2019 erano approvate circa 156.000 richieste di pensionamento, quindi, stando all’algebra delle promesse, tra i 300 e i 460 mila posti di lavoro generati.

Ridicolo, se non fosse che sono stati stanziati, circa 20 miliardi di euro per il triennio ‘19 – ’21.

Probabilmente quota 100 non sarà rinnovata, o forse già si pensa al prossimo spot elettorale a carico dei contribuenti del futuro e una nuova nicchia di privilegio asimmetrico. 

In tutto ciò… non ci chiediamo ormai più in quali acque viaggino i famosi 3.000 Navigator…

E ai giovani? A loro resta solo il conto da pagare.

Un rapporto debito pubblico/PIL da record, che quest’anno toccherà il 158%.

24 punti in più del 2019!

Ma con quali soldi lo salderemo, se a perdere il lavoro o a non trovarlo sono sempre e solo i più giovani?

Se meno del 28% degli italiani tra i 30 e i 34 anni ha completato gli studi universitari, contro il 40% della media UE. 

Se metà dell’occupazione persa nel secondo trimestre 2020 era under35.

Si assottiglia sempre più quella parte di piramide demografica che contiene le promesse e scommesse di un paese.

Quella dove stanno i lavoratori più promettenti, vitali, dove si coltiva il capitale umano e il ceto dirigente del futuro.

Per allargare di nuovo le basi di quella piramide e rafforzarne la parte centrale, ci vorrà tempo.

Servono misure che diano nuovo slancio all’autoimprenditorialità, per creare lavoratori e giovani imprese.

Apriamo, allora, già da questa legge di bilancio, una vera e propria fase giovani, che tocchi innovazione, formazione e lavoro.

L’innovazione.

Per ripartire e superare la crisi post-Covid bisogna mettere insieme due fattori: propensione al rischio da un lato, grandi capacità innovative dall’altro. Caratteristiche difficili da trovare insieme, perché la prima ce l’hanno le grandi imprese, le seconde le start up.

Agevoliamo allora la creazione di spin off che li mettano insieme, Ministra Pisano, chiedendo a tutti di mettersi in gioco: al Governo, alle multinazionali e alle grandi imprese del nostro Paese, agli investitori che hanno la capacità di creare fiducia, ai giovani imprenditori come noi , ai ricercatori che promuovono idee ad alto potenziale innovativo. 

E poi la formazione.

Il fondo nuove competenze mette 430 milioni di euro per il 2020 e ulteriori 300 milioni di euro per l'anno 2021 per la formazione dei lavoratori, ma sembra più orientato a riduzioni di orario a parità di salario.

Noi crediamo invece che le risorse pubbliche debbano essere utilizzate per i lavoratori disoccupati o che stanno per perdere il posto di lavoro.

Insieme all’istruzione.

Sarebbe interessante se il nostro paese guardasse al sistema tedesco della legge federale di assistenza allo studio, che offre prestiti federali con condizioni di restituzione molto vantaggiose, a cittadini tedeschi e stranieri che arrivano in Germania.

Questi fondi vanno in base al merito, e la loro restituzione in proporzione alla retribuzione conseguita.

Infine il lavoro.

Proponiamo “quota giovani”: le riforme delle pensioni non si devono più fare pensando a chi esce dal mercato del lavoro, ma a chi ci entra.

Basta con le riforme, le finestre, gli scaloni per andare in pensione prima.

Proponiamo una modifica del sistema di contribuzione INPS “a scaloni”, questa volta non per uscire dal mercato del lavoro, ma per entrarci.

Prevediamo step contribuitivi crescenti che restino a zero per un biennio, e che poi aumentino gradualmente, con sgravi assicurati per almeno un quinquennio.

Se quota deve essere, almeno che sia quota giovani.

In questi primi incredibili mesi del 2020 le imprese sono state bersagliate da critiche ma hanno dimostrato di non aver mai abbandonato i propri collaboratori, i propri territori, le proprie comunità.

Per questo, anche noi Giovani Imprenditori aderiamo al Patto per l’Italia lanciato dal Presidente Bonomi.

Lo facciamo perché sappiamo che gli imprenditori del futuro non ci perdonerebbero di aver rinunciato a salvare il nostro e il loro paese.

Le lancette economiche dell’Italia sono tornate indietro di 23 anni, lo abbiamo detto.

Ora bisogna riscrivere questa storia, senza lasciare indietro nessuno.

Quello che vediamo, però, è il racconto di un Paese che vorrebbe correre, ma rimane ancora impantanato col bonus bici.

Una storia che scriveranno i nostri connazionali, quando riusciremo a farli tornare qui a fare impresa e carriera. E con loro i talenti del mondo, che sceglieranno l’Italia come paese adottivo.

Ogni impresa ha una storia.

Noi stiamo lavorando alla nostra e a quella degli imprenditori di domani.

Imprenditori di domani, noi oggi ci impegniamo perché possiate veramente aprire l’azienda in un giorno, non perdere tempo con le scartoffie e pagare le tasse in maniera semplice, essere parte di un paese che crede in voi e non vi considera colpevoli prima ancora di aver formulato l’accusa.

Cari imprenditori “futuri”, che oggi siete tra i banchi di scuola, noi ci impegniamo a ricostruire un patto generazionale per ridare alle giovani generazioni la possibilità di rafforzarsi, crescere e dare al Paese l’energia necessaria.

Ogni futuro ha una storia.

Quella che noi vogliamo scrivere è la storia dell’Italia che si salva con le proprie forze: le menti migliori, le braccia più resistenti e, se possibile, il governo più illuminato.

E’ questa la storia dell’Italia che vogliamo raccontare ai nostri figli.

Questi sono i nostri futuri. E noi siamo pronti all’impresa.

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