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La meritocrazia criticata negli Usa, ma di cui abbiamo bisogno per salvare l'economia

Di Roger Abravanel

14 Ottobre 2020

La meritocrazia criticata negli Usa, ma di cui abbiamo bisogno per salvare l'economia

Business (fonte foto Pixabay)

“E ora la meritocrazia viene criticata" è un pezzo pubblicato su questo quotidiano in occasione della presentazione al festival dell’Economia di Trento del saggio  “ la tirannia del merito " di Peter Sandel , professore di filosofia politica a Harvard. La  critica non è una novità . All’inizio del nuovo secolo la meritocrazia  è stata criticata da chi le ha dato un nome , il laburista inglese Michael Young e  le critiche sono poi esplose proprio dove è nata, a Harvard e Yale . Il concetto di “ merito " è sempre  esistito ma la idea  della selezione dei migliori grazie all’istruzione ( appunto “ meritocrazia”) era nata proprio a Harvard nel 1933 quando  James Conant , il rettore , fece introdurre il test SAT ( un test tipo INVALSI ) per selezionare chi veniva ammesso e , assieme  a borse di studio per i meno abbienti ma capaci ,  si proponeva di creare le “ pari opportunità " di accesso alle migliori università americane per i migliori qualunque forse il loro ceto famigliare. Le sinistre liberal americane la avevano accettata con entusiasmo perché compensava la inevitabile diseguaglianza con le “ pari opportunità” di accesso a una laurea eccellente che apriva le porte del successo  nel mondo del lavoro. Dei 10 uomini più ricchi d’America, 7 sono laureati alle IVY League ( e dei tre non laureati due sono drop outs di Harvard, Bill Gates e Mark Zuckemberg) e la maggioranza di loro proviene da famiglie non particolarmente ricche .

Anche se in 80 anni le cose sono migliorate e alle IVY Leagues oggi non vanno più solo pigri rampolli figli ( maschi ) di ricchi, ma giovani ( uomini e donne ) della classe media capaci e motivati, le critiche hanno ragione perché la meritocrazia oggi non è   particolarmente “ giusta " . Alle università top sono ammessi prevalentemente quelli che Michael Young chiamava “ i figli dello sperma fortunato " , figli di genitori di reddito alto, anche essi laureati in università top, che non passano ai figli patrimoni e aziende , ma una miglior preparazione alla difficile selezione. E’ così nata una nuova  forma di aristocrazia, una “aristocrazia  2.0”.  Il passaggio alla economia della conoscenza, tecnologia e globalizzazione la ha poi resa ancora meno “giusta " perché ha  aumentato enormemente il “premio " alla meritocrazia: oggi gli imprenditori high tech, i CEO delle multinazionali e i finanzieri delle banche  d’affari  e fondi private equity ( il famoso 0.1%) accumulano ricchezze impensabili nel secolo scorso.  L’autore del saggio presentato a Trento in questi giorni, Peter Sandel, ha ripreso queste critiche   aggiungendo una nuova dimensione  in gran parte legata alle elezioni in USA. I laureati vincenti della competizione meritocratica disprezzerebbero i perdenti  e questi ultimi umiliati ( soprattutto maschi bianchi non laureati ) avrebbero votato in massa per Trump ( il suo elettore target è un  maschio bianco  non laureato) e la meritocrazia sarebbe così  diventata fucina del populismo .

Comunque sia,  se  gli accademici americani  critici della meritocrazia hanno ragione nel sostenere che la meritocrazia non è risultata così  “ giusta " come speravano i suoi sponsor di sinistra  perché non ha creato lesperate “pari opportunità", gli stessi( in gran parte giuristi , filosofi e politologi ) sottovalutano però quanto è stata ed è tutt’ora immensamente “utile " nel creare  " buone opportunità " nella economia  per milioni di giovani. Spinti dal desiderio di migliorarsi grazie  alla miglior laurea possibile , si  impegnano nella competizione e nello studio per ottenere le competenze e i titoli  per entrare nel mondo del lavoro  in professioni intellettualmente qualificate   e avere un  buon reddito , spesso superiore a quello dei propri genitori .  Hanno così rafforzato il capitale umano che si è rivelato  utilissimo  per la economia della conoscenza e  creato una classe dirigente  comunque molto selezionata e istruita. Una  vera e propria “ meritocrazia di massa ".

Succede non solo negli USA , ma anche in Europa e in particolare in Asia  dove  il  termine “ meritocrazia " non lo conosce nessuno , ma  milioni di giovani sud-coreani , cinesi , giapponesi si dannano per la selezione  per le università migliori  che per loro rappresentano un passaporto per un ingresso nelle varie Alibaba  e  Samsung.  Tra  i giovani tra i 25 e i 34 anni, il 60 e il 70 % dei giapponesi e dei coreani sono laureati contro il 48 e il 52 % degli americani e inglesi e il 30 e 44 % dei tedeschi e francesi. In Asia l’incrocio tra la cultura confuciana che prevede che la classe dirigente sia la meglio istruita e la più virtuosa  e l’economia della conoscenza sta creando capitale umano e economie vincenti nel nuovo secolo  .

Quanto sopra dovrebbe fare comprendere quanto il dibattito anti-meritocrazia nel mondo anglosassone sia poco  rilevante per il nostro paese dove la meritocrazia non è mai nata seriamente. Negli USA  nessuno  si oppone  seriamente alla selezione all’ingresso nelle migliori università , si  dibatte come farla . In Italia la selezione non è  ben vista  e la laurea conseguentemente  ha poco valore . In più mancano  le grandi imprese che sono quelle che assumono i laureati . In conseguenza ,nonostante il “diritto allo studio “,  I laureati sono pochi ( 27% ) e mal retribuiti . I giovani italiani si differenziano  da tempo dagli  asiatici , americani e europei perché   non credono che l’impegno serio nella istruzione superiore sia il passaporto per una vita migliore . Così il capitale umano si impoverisce e l’economia ristagna.

Per tutto ciò , se da un lato bisogna proteggere i più deboli e fare sì che chi si merita di laurearsi  possa farlo , rifiutare la meritocrazia- che vuole dire selezione , competizione e ricerca  dell’eccellenza-  significa  la   continuazione  delle vecchie aristocrazie basate sulla ricchezza ereditata e  di un declino  economico che penalizzerà ancora di più i più poveri.

Fonte meritocrazia.corriere.it

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