15 Dicembre 2025
Il confronto in Commissione tratta del divieto delle autopsie sui morti Covid. Secondo il deputato Bagnaia, già nei primi mesi era chiaro che non vi fosse un rischio di contagio tale da giustificare un divieto generalizzato, mentre dall’altra parte il virologo Guido Abrignani ammette un vuoto decisionale che oggi pesa come un macigno: "Non so perché, sarebbero state utili". Un’impasse che rafforza il sospetto di una scelta imposta senza un reale rigore logico e scientifico, con conseguenze gravi sulla comprensione delle cause di morte e sulle strategie terapeutiche.
Il dibattito in Commissione d’inchiesta Covid mette a nudo la contraddizione sul divieto di autopsie e la conoscenza già assodata che un cadavere non potesse emettere droplets o aerosol in grado di contagiare gli operatori. Le autopsie non solo si potevano fare in sicurezza, ma avrebbero rappresentato uno strumento decisivo per comprendere fin dall’inizio la natura della malattia. Invece, nei primi mesi della pandemia, prevalse una scelta di chiusura che – come emerge dalle stesse parole di Abrignani – non trova oggi una spiegazione convincente. Abrignani, chiamato a rispondere sul ruolo degli organi consultivi sanitari, riconosce che la raccomandazione di non procedere fu dettata da una generica cautela ma, ammette anche che alcune autopsie furono comunque effettuate e che, già da maggio, all’interno della comunità scientifica si aprì un dibattito sulla loro utilità.
Viene allora da chiedersi se quella decisione non abbia avuto anche un’altra funzione: evitare che l’opinione pubblica conoscesse subito i reali meccanismi dei decessi. Con le autopsie si sarebbe potuto capire fin da subito quali fossero i meccanismi fisiopatologici alla base del danno d’organo durante l’infezione. Dati che, se disponibili prima, avrebbero potuto orientare tempestivamente le scelte terapeutiche, salvando vite.
Come spiega il professor Pietrantonio Ricci dell’Università Magna Graecia di Catanzaro: "L’esecuzione delle autopsie in casi Covid ci ha dato anche la possibilità di poter distinguere tra le morti causate dal virus e quelle solo correlate all’infezione". Un passaggio cruciale, non solo sul piano scientifico, ma anche su quello statistico e comunicativo. Da quel divieto hanno preso origine anche numerosi “studi fake”, basati su dati statistici parziali o su numeri costruiti a partire da informazioni incomplete o non verificate.
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