09 Giugno 2025
Maurizio Landini, segretario generale della CGIL e volto simbolo dei promotori del referendum del 8-9 giugno, ammette amaramente la sconfitta piagnucolando in conferenza stampa. L'obiettivo dichiarato — raggiungere il quorum per modificare le leggi sul lavoro — è sfumato, e con esso ogni pretesa di vittoria.
“Il nostro obiettivo era raggiungere il quorum per cambiare le leggi, questo obiettivo non l'abbiamo raggiunto, quindi è chiaro che quello che noi volevamo che fosse oggi una giornata di vittoria perché avevamo cancellato le leggi non la festeggiamo, non è una vittoria questo perché il nostro obiettivo non l'abbiamo assolutamente raggiunto”, ha dichiarato un Landini visibilmente deluso.
Nonostante l’insuccesso, il leader sindacale prova a minimizzare la portata del fallimento aggrappandosi ai numeri dell'affluenza, che comunque non bastano: “Gli ultimi dati di cui disponiamo ci dicono che sono oltre 14 milioni le persone che hanno votato nel nostro paese a cui si aggiungeranno gli italiani all’estero, quindi noi consideriamo naturalmente questo un numero molto importante e per quello che ci riguarda questo è un punto di partenza”.
Come spesso accade nei momenti di difficoltà, Landini cambia il terreno della discussione, spostando l’attenzione sui temi generali: “I problemi che noi abbiamo posto con questo referendum rimangono completamente sul tavolo in termini di riduzione della precarietà, in termini di tutela della salute e della sicurezza e di cambio del sistema degli appalti, in termini di tutela di tutti i lavoratori, di tutte le lavoratrici, nelle grandi imprese come nelle piccole contro i licenziamenti, così come tutto il tema che riguarda la cittadinanza”.
I toni si fanno quasi epici quando prova a nobilitare la sconfitta con richiami alla crisi democratica e al valore della partecipazione: “Sapevamo quando abbiamo un anno fa raccolto le firme che non sarebbe stata una passeggiata in un paese dove c’è una crisi democratica evidente e dove proprio un anno fa a un altro appuntamento elettorale la maggioranza dei cittadini italiani a votare non era andata, sapevamo perfettamente che non era una passeggiata assumere la questione della democrazia, della partecipazione come un elemento centrale”.
Infine, il sindacalista torna sul binomio lavoro e democrazia, in un accorato ma stanco tentativo di rilanciare: “L’abbiamo fatto perché pensiamo che oggi estendere e tutelare il lavoro ed estendere la democrazia non sono due cose tra loro diverse, ma sono lo stesso problema”.
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