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Suicidio assistito, Martina Oppelli morta in Svizzera, in Italia le era stato negato, l’appello: “Ogni dolore va rispettato, fate legge sensata” - VIDEO

Martina Oppelli, 50enne triestina, era affetta da sclerosi multipla da oltre 20 anni. In Italia le era stato negato per ben 3 volte l'accesso al suicidio medicalmente assistito

31 Luglio 2025

Martina Oppelli, 50enne triestina affetta da oltre vent’anni da sclerosi multipla, è morta in Svizzera nella mattinata di oggi, dopo aver avuto accesso al suicidio medicalmente assistito. L’annuncio è stato dato dall’associazione Luca Coscioni. In Italia, l’Azienda sanitaria universitaria giuliano-isontina le aveva negato per tre volte il diritto di verifica delle condizioni per accedere legalmente al suicidio assistito. Prima di morire, Oppelli ha lasciato un video-messaggio: “Ogni dolore è assoluto e va rispettato, fate una legge sensata”.

Suicidio assistito, Martina Oppelli morta in Svizzera, in Italia le era stato negato, l’appello: “Ogni dolore va rispettato, fate legge sensata”

Accompagnata da Claudio Stellari e Matteo D’Angelo, attivisti di Soccorso Civile – associazione per le disobbedienze civili sul fine vita, presieduta da Marco CappatoMartina ha scelto di morire oltre confine, stremata da una condizione clinica ormai insostenibile. Il 4 giugno aveva ricevuto l’ennesimo rifiuto dall’ASUGI (Azienda sanitaria universitaria giuliano-isontina), che le negava l’accesso alla procedura perché, secondo quanto riportato dall’associazione Coscioni, “non era sottoposta ad alcun trattamento di sostegno vitale, nonostante la completa dipendenza dall’assistenza continuativa dei caregiver e da presidi medici (farmaci, catetere e macchina della tosse)”.

Il 19 giugno, assistita dal team legale coordinato dall’avvocata Filomena Gallo, segretaria nazionale dell’associazione Luca Coscioni, la donna aveva presentato opposizione formale al diniego, accompagnata da una diffida con messa in mora dell’azienda sanitaria. In seguito, era stata avviata una nuova procedura di valutazione. Ma la risposta, ancora una volta, non è arrivata in tempo.

"Martina Oppelli ha deciso di andare in Svizzera per accedere all'aiuto alla morte volontaria perché era impossibile per lei attendere altro tempo per una risposta: le sofferenze non erano in alcun modo tollerabili", spiega l’associazione. Sono 31 le persone che hanno contribuito a sostenere il viaggio e le spese della donna, i cui nomi verranno resi noti nei prossimi giorni.

Dal letto della clinica svizzera, Martina ha affidato le sue ultime parole a un videomessaggio registrato e consegnato all’associazione: “Gentili parlamentari e concittadini tutti, non so se vi ricordate di me, sono Martina Oppelli. Più di un anno fa feci un appello a tutti voi affinché venisse promulgata e approvata una legge, una legge sensata che regoli il fine vita, che porti a un fine vita dignitoso tutte le persone, malate, anziane, ma non importa, prima o poi tutti noi dobbiamo misurarci con la fine della nostra vita terrena. Questo appello è finito nel vuoto. Ogni dolore è assoluto e va rispettato, fate una legge sensata”.

La sua richiesta era partita due anni fa, invocando la sentenza Cappato per ottenere accesso al suicidio medicalmente assistito. Tre richieste, tre rifiuti. “Ormai due anni fa mi appellai alla sentenza Cappato per poter accedere al cosiddetto suicidio assistito presso l'azienda sanitaria della mia Regione. Per ben tre volte mi è stato negato, benché io ne avessi il diritto, ma chissà, forse non abbastanza. Io non ho tempo per aspettare un quarto diniego, ma anche se fosse un assenso io ero allo stremo delle mie forze. Sono in Svizzera, sì, forse una fuga direte voi, no, è un ultimo viaggio”.

In quel messaggio lucido e drammatico, Oppelli sollevava interrogativi duri: “Perché dobbiamo andare all'estero, perché dobbiamo pagare, anche affrontare dei viaggi assurdi? Io ho fatto un viaggio lunghissimo, è stato veramente uno sforzo titanico, ma l'ho fatto per avere una fine dignitosa alla mia sofferenza. Io non voglio che questo iter si ripeta per altre persone”.

Infine, l’appello politico, trasversale, chiaro: “Fate una legge che abbia un senso, una legge che tenga conto di ogni dolore possibile, che ci siano dei limiti, delle verifiche, ma non potete fare attendere due, tre anni prima di prendere una decisione. In questi ultimi due anni il mio corpo si è disgregato, io non ho più forza, perfino i comandi vocali non mi capiscono più. Ho anche il catetere vescicale. Ma io non sono una macchina, sono un essere umano. Adesso desidero morire dignitosamente. Fate una legge sensata, insiste. Mettiamo da parte le diatribe politiche, perché non esiste destra o sinistra o centro, siamo tutti esseri umani”.

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