02 Settembre 2022
Realtà e finzione, sonno e veglia: il nuovo film di Alejandro Gonzalez Iñárritu dichiara già nel titolo la sua natura liminale, poiché Bardo è anche il nome dello stato intermedio tra la morte e la rinascita secondo alcune scuole del buddismo. Terzo film del Concorso Ufficiale alla 79. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, quello del regista messicano è un viaggio tra il sogno e la memoria, ma anche il suo personalissimo sistema per esprimere alcune verità. Il sottotitolo, Falsa crónica de unas cuantas verdades, significa infatti “falsa cronaca di alcune verità”, poiché Iñárritu ritiene che la finzione sia il modo migliore per esporre lo stato del mondo. Il suo protagonista, Salverio, è un giornalista e documentarista di grande prestigio che vive da anni a Los Angeles, e affronta una crisi esistenziale quando torna in Messico per celebrare un premio che riceverà negli USA. Parte così una lunga seduta di autoanalisi che rievoca il meraviglioso 8 1/2 di Fellini, ma con l’autoindulgenza di chi cerca un'assoluzione per i suoi “peccati” (ovvero, aver lavorato in un paese che storicamente intrattiene rapporti difficili con il Messico stesso). La verità è che forse Iñárritu non ha mai avuto moltissimo da dire, e i suoi pregi sono soprattutto tecnici e stilistici, anche grazie alla fotografia di Darius Khondji. Non a caso, Bardo dà il meglio di sé quando sfuma il confine tra sonno e veglia, non quando usa espedienti didascalici per comunicare con lo spettatore. Già Birdman aveva dimostrato che nel suo cinema la tecnica e il racconto procedono su strade separate, e le soluzioni visive - come i piani sequenza - non sempre sono giustificati da reali necessità narrative. Bardo, Falsa crónica de unas cuantas verdades ne è l’ennesima dimostrazione.
Il concorso è proseguito con un film che si trova esattamente sullo spettro opposto, soprattutto per la durata: Un Couple si attesta infatti sui 64 minuti, e segna l’esordio di Frederick Wiseman (eccezionale documentarista che ci ha abituati a film di tre o quattro ore) nel cinema di finzione. Girato in Francia nell’arco di 23 giorni durante il lockdown del 2020, si tratta di un monologo basato sulle lettere che Sofia Tolstoj scambiava con il marito Leo, declamato da Nathalie Boutefeu in un giardino di Belle Île. La rigogliosa natura dell’isola esalta lo sguardo documentaristico di Wiseman, che avvolge l’attrice in un sontuoso mantello visivo e sonoro. Resta però l’impressione di assistere a una performance filmata, più che a un lungometraggio di finzione: la storia del burrascoso matrimonio tra Sofia e Leo è interamente affidata al racconto della moglie, e non sono mai realmente le immagini a parlare. Per quanto suoni sacrilego dirlo a proposito di un gigante come Wiseman, stavolta c’è poco cinema.
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