12 Febbraio 2022
Manlio Dovì, classe 1964, è stata una colonna del Bagaglino ed è tutt’ora uno degli attori più validi d’Italia; artista con gavetta straordinaria, uomo di destra, satira pungente e cultura immensa, a Dovì si devono le storiche imitazioni di Francesco Cossiga, Carlo d’Inghilterra, Vittorio Sgarbi, Piero Fassino e, di recente, Giuseppe Conte.
Dal Bagaglino a decine di ospitate, dai film alle commedie teatrali, ha ancora un sogno da realizzare?
«Un attore, fino alla fine dei suoi anni “utili”, per così dire, non vorrebbe smettere mai di recitare e si misurerebbe sempre in qualsiasi ruolo sia a teatro che al cinema. Purtroppo oggi lo spettacolo punta più all’esibizionismo che all’esibizione, disorientando e manipolando lo spettatore, che subisce inerme questo nuovo tipo di ars recitatoria.»
Recentemente l’abbiamo vista a teatro con Patrizia Pellegrino, ospite sui generis a Rai News e prossimamente apparirà nel nuovo film di Leonardo Pieraccioni. Che ruolo avrà?
«Ringrazio Leonardo per avermi affidato il ruolo di un prete siciliano ne Il sesso degli angeli. E’ un piccolo ruolo, ma è stato divertente girare con Leonardo, che ho sempre stimato nel suo percorso cinematografico. Rimpiango di non aver fatto molto cinema anche per colpa degli eventi. Subito dopo il debutto con Soldati di Marco Risi del 1987 dovetti dire no a Nanni Moretti per Palombella rossa, a Corbucci e a Monicelli. Chiaro?»
Lei è da sempre una persona riservata, ma come ha passato i vari lockdown?
«Con lo studio. Lo stare bene con sè stessi, accettando la solitudine nella giusta misura mi ha aiutato molto, e per questo motivo io vivo molto la mia casa, proprio come una “tana”. Specialmente in questo duro momento della vita, mi sono creato un mondo parallelo, non certo da sognatore di felliniana memoria, ma al contrario concentrando tutta la fantasia e le energie da contrapporre agli eventi che ci hanno travolto e ci mettono ogni giorno a dura prova.»
Non ha mai nascosto di essere un attore di destra. In passato gliel’hanno fatto pesare o è filato sempre tutto liscio?
«Assolutamente mai, anche perché se non sei ben sponsorizzato dalla sinistra in Italia non hai molte occasioni. Vedo infatti sempre le stesse facce, i cosiddetti “soliti noti”, che si autocelebrano, si alternano ininterrottamente, schieratissimi, e che nonostante le critiche, gli scarsi ascolti in tv o zero incassi al cinema sono sempre in “pole position”. A loro è tutto concesso. “E io pagoooooo”, diceva Totò.»
Oltre al film con Leonardo Pieraccioni, cosa bolle in pentola per il futuro?
«Come sempre, il mio rifugio è il teatro, fin quando ce lo faranno fare e verrà la gente. Sto lavorando ad un nuovo One man show, con un taglio più teatrale, ad una rivista con tanto di orchestra sul palco con debutto in Sicilia questa estate, e dulcis in fundo mi sto avvicinando al doppiaggio che mi ha sempre appassionato e che spero diventi la mia futura professione.»
Ci faccia quattro nomi che l’hanno supportata durante il percorso artistico e a cui Lei deve molto.
«In primis, Oreste Lionello. Da vero autodidatta, quale ero, ho imparato tutto da questo grande maestro, che mi ha insegnato il mestiere dell’attore in tutte le sue forme, dall’uso della voce fino al controllo del corpo. L’immenso Florestano Vancini, che mi scelse come protagonista del film E ridendo l’uccise, Renzino Barbera, grandissimo personaggio della cultura siciliana, sarcastico, colto, umorista, eponimo e con il quale ho affinato la recitazione dialettale siciliana, e poi Fernando Capecchi, il mio impresario, un maestro di tv, umanità e simpatia. Un plauso anche a suo figlio Silvio.»
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