25 Settembre 2021
Capita talvolta di leggere giornali distanti dall’idea o dall’ideale a cui si crede di appartenere o di voler raggiungere, al sol scopo di comprendere se ci si trovi dalla parte giusta, o perché no, se si possa mutare l’approccio.
In una di queste letture, che il più delle volte consegnano una conferma alla linea che si è sino a quel momento seguita, il tema affrontato è stato quello di spiegare il “mestiere di influencer”. Il primo effetto, leggendo questa locuzione, rievoca gli insegnamenti di filosofia o di lettere, impartiti dai vecchi professori del liceo: l’ossimoro.
Infuencer e mestiere appaiono concetti talmente distanti tra loro da non trovare luogo in una stessa frase. Purtroppo, però, oggi la tradizionale distinzione tra mestieri e professioni, che vorrebbe associare alla prima il lavoro manuale ed alla seconda quello intellettuale, pare stravolta. In effetti, le professioni, un tempo ambìte - quelle per le quali (codice civile alla mano) è la legge a definirle ed a regolarle, sono diventate mestieri. Tra le tante espressioni, oramai diventate luogo comune, spicca quella del “mestiere di avvocato”, notoriamente una professione.
La spinta ad appiattire ed a fondere tutto, nel tentativo di rendere liquido (anche il sesso), ha trasformato un’effimera attività, che ha poco di manuale e meno intellettuale, qual è quella dell’influencer, in un mestiere. In effetti, non occorre aver studiato (anzi meno si è perso tempo e meglio è), per diventare influencer; è sufficente creare un’immagine (vera o finta non importa) e riempirla di contenuti, per spingere una massa più o meno corposa a seguire una tendenza. Talvolta, più sono vacui e più seguito hanno. E la visibilità premia.
Il fenomeno è in continua ascesa. I noti influencer, che spesso hanno il pregio, oltre che di arricchirsi, anche di essere altruisti, od occuparsi di questioni impegnate o socialmente utili, altrettanto spesso hanno il difetto di generare emuli (disturbati, con identità fasulle, seguiti da immaginari follower), talvolta nocivi.
Il web, infatti, oltre ad essere un’opportunità per visibilità ed espansione di qualunque attività commerciale, professionale o artistica, per citare alcuni esempi, è anche un drammatico boomerang.
Le recensioni sono un ottimo strumento per consentire ai fruitori della rete, e di quel determinato bene o servizio, di comprendere il livello della qualità. Non sempre, però, le recensioni sono favorevoli e spesso, anzi quasi sempre, sono anonime. La cattiva recensione di un cliente anonimo è sicuramente fonte di danno, ma la pessima recensione di un influencer può determinare anche la chiusura di un attività.
I rimedi giurisdizionali, che pure esistono, sono talmente lenti ed altrettanto costosi da dissuadere la gran parte dei danneggiati. Può, così, accadere che un influencer, anche poco noto, perché prezzolato dalla concorrenza o perché abbia avuto un alterco col gestore, in ipotesi, con un ristoratore, sfoghi la propria rabbia sui social, che la frittata è fatta.
Molti auspicano un ritorno alla classica distinzione tra mestieri e professioni, anche nella pratica, altrettanti, invece, che il legislatore possa concepire norme in grado di prevenire, contenere e reprimere, con strumenti agili e poco onerosi, le esuberanze di quelli che più che influencer sono delatori o nella migliore delle ipotesi diffusori di idiozie
Di Andrea Migliavacca.
Il Giornale d'Italia è anche su Whatsapp. Clicca qui per iscriversi al canale e rimanere sempre aggiornati.
Articoli Recenti
Testata giornalistica registrata - Direttore responsabile Luca Greco - Reg. Trib. di Milano n°40 del 14/05/2020 - © 2025 - Il Giornale d'Italia