22 Novembre 2021
Vaccino Covid (fonte foto Lapresse)
Come dimostrano diversi studi pubblicati su The Lancet e altre prestigiose riviste scientifiche, chi ha contratto il Covid-19 ed è guarito ha una protezione maggiore dal virus grazie agli anticorpi sviluppati. Lo confermano i ricercatori dello Stroke Institute - Università del Missouri che hanno analizzato oltre 9mila pazienti con infezione da SARS-CoV-2 per poi concludere che la possibilità di re-infezione è bassissima: 0,7%. Alle ricerche americane hanno poi fatto seguito le parole di Paolo Gasparini, membro del Consiglio Superiore di Sanità e Direttore di Genetica Medica dell'università di Trieste, il quale ha dichiarato che proprio in chi ha contratto il virus e ha ora gli anticorpi la vaccinazione non è così necessaria.
Intervistato da Il Tempo, il dottore ha affermato: "I guariti sono immuni contro tutte le porzioni del virus a differenza dei vaccinati che sono stati immunizzati solamente contro la proteina Spike (una parte del virus). Diverse pubblicazione scientifiche inoltre dimostrano chiaramente che l'immunità naturale è maggiore e di più lunga durata di quella determinata dai vaccini". E ancora: "Dovremmo agire come abbiamo sempre fatto sinora per altre malattie virali", continua Paolo Gasparini. "In presenza di anticorpi circolanti non si vaccina ma al massimo, trattandosi di una forma nuova di virosi, si monitora nel tempo la quantità di anticorpi per valutarne l'andamento".
I guariti dal Covid dovrebbero quindi fare il vaccino se hanno anticorpi ad un livello significativo? "Normalmente nei soggetti guariti da un'infezione virale e con anticorpi circolanti non si procede ad una vaccinazione. Non si capisce quale è il razionale per fare un'eccezione a quanto praticato nella medicina sinora e cambiare strategia nel caso del Covid19", risponde intervistato da Il Tempo. Sulle possibili reazioni avverse soprattutto nei più piccoli l'esperto affermac he "per stare tranquilli bisogna aspettare che il numero di soggetti arruolati nel clinical trial sia almeno 4-5 volte superiore. Ovviamente bisogna distinguere tra approvazione di un vaccino e quindi la sua disponibilità sul mercato ed il suo utilizzo in pazienti fragili e campagna vaccinale, per la quale, parlando di bambini sussistono anche aspetti di tipo etico".
E poi: "I vaccini non impediscono i contagi", continua il membro del Consiglio Superiore di Sanità e Direttore di Genetica Medica dell'università di Trieste. "I dati raccolti sinora sulla carica virale dei vaccinati e sulla loro contagiosità non sono conclusivi anche se certamente esiste una riduzione della contagiosità. Sarebbe veramente interessante, ed aiuterebbe a rispondere a questa domanda, avere i dati divisi per tipo di vaccino visto che si tratta di almeno 4 vaccini diversi tra loro. Purtroppo questi dati non sono reperibili".
Prima di somministrare vaccini ai bambini che hanno contratto il virus, secondo il dottor Gasparini "sarebbe utile eseguire un test sierologico sia per ottenere dati epidemiologici che per definire strategie vaccinali razionali e pertanto verosimilmente efficaci. Ai bambini guariti si possono applicare le stesse regole che dovrebbero essere applicate ai guariti adulti ovvero non vaccinarli ma eventualmente monitorare l'evoluzione del tasso anticorpale nel tempo".
"La stragrande maggioranza dei bambini che contrae il Covid-19 non manifesta alcun sintomo o sintomi molto blandi tipo un raffreddore", continua ancora il medico. "Solo una minima parte manifesta una forma più grave e solo un numero veramente ridotto richiede l'ospedalizzazione. A titolo d'esempio a fronte di 6.5 milioni di bambini affetti negli Stati Uniti, il tasso di ospedalizzazione varia nei vari Stati americani da 0% a 2% mentre quello dei decessi da 0% a 0.03%. La maggior parte dei casi ospedalizzati e la quasi totalità di quelli deceduti presentano comorbidità".
Infine il Direttore di Genetica Medica dell'università di Trieste conclude a Il Tempo parlando del long-Covid nei più piccoli e spiega: "Consiste nella persistenza di alcuni sintomi (astenia, mal di testa, dolori alle articolazioni, difficoltà a concentrarsi, etc.) nei 3-4 mesi successivi alla comparsa della malattia. Oggi, grazie ai dati ottenuti sulla popolazione britannica dai ricercatori di UCL, sappiamo che il long-covid (presenza di tre sintomi/segni) può presentarsi al massimo nel 14% dei bambini che contraggono la virosi. La presenza di 5 sintomi si ritrova nel 7% dei casi. Si tratta pertanto di percentuali decisamente inferiori alle stime fatte finora".
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