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Giorgia Meloni sente odore di governo tecnico. Allarme in casa Fratelli d'Italia. E manda messaggi al Colle

La strategia del centrosinistra per battere la Premier

19 Novembre 2025

Giorgia Meloni sente odore di governo tecnico. Allarme in casa Fratelli d'Italia. E manda  messaggi al Colle

Meloni e Mattarella, fonte: imagoeconomica

Nel ventre molle di Palazzo Chigi raccontano che Giorgia Meloni, dietro il sorriso istituzionale e le rassicurazioni sul rapporto “leale” con il Colle, abbia fiutato qualcosa. Un fruscio. Un’ombra. Una di quelle manovrine che, a destra, chiamano “l’aria che cambia”. E che a Roma – quando cambia – annuncia sempre un governo tecnico dietro l’angolo.

Il casus belli? La frizione tra Galeazzo Bignami e il consigliere quirinalizio Francesco Saverio Garofani. Ufficialmente, tutto sedato. Ufficiosamente, manco per sogno. L’ordine di Meloni è calato dall’alto come un coperchio: chiudere la polemica. Basta botte e risposte, stop dichiarazioni. Ma dentro FdI spiegano che quella di Bignami non è stata una scivolata: è stata una segnalazione in codice. Parlare a nuora affinché suocera intenda.

Perché nei corridoi meloniani gira una convinzione. E stavolta la "convinzione" avrebbe a che fare con Bruxelles, con i poteri economici che contano e – sussurrano – con una parte del Quirinale che preferirebbe scenari più “ordinati” rispetto alla dialettica muscolare del governo.

Tradotto: il timore che qualcuno, approfittando del clima internazionale turbolento e delle fibrillazioni economiche (o magari da una improbabile ma non impossibile sconfitta referendaria sulla giustizia), stia apparecchiando un Draghi 2.0, un esecutivo tecnico con maggioranza alla Ursula, pulita, pettinata e senza “gli estremi” (leggasi Lega e 5 Stelle).

E allora Bignami, da fedelissimo della premier, avrebbe colto l’occasione servitagli dal quotidiano La Verità per lanciare il messaggio: “Abbiamo capito il gioco. Non ci troverete addormentati”. Un modo per rendere chiaro che ogni operazione di logoramento verrebbe bloccata sul nascere.

Ma l’ansia vera non è questa legislatura. I meloniani guardano già al dopo. Alla prossima legge elettorale.

E qui entra in scena il test Campania. Domenica si vota e tutto porta alla vittoria di Roberto Fico su Edmondo Cirielli. Il punto non è quello. Il punto è la percentuale del Movimento 5 Stelle. Se dovesse sprofondare sotto il 10%, spiegano nella maggioranza, il “campo largo” sarebbe finito. Il 2027 si trasformerebbe in un’autostrada per Meloni: con un proporzionale, e senza un competitor vero, un nuovo trionfo sarebbe quasi scritto.

E allora – secondo i sospetti di FdI – qualcuno nel Pd, con il solito Dario Franceschini in modalità regista silenzioso, starebbe già ricamando un piano con Calenda, Renzi e (non senza imbarazzo) una parte di Forza Italia vicina al mondo Mediaset europeo. Obiettivo: una legge elettorale senza premi di maggioranza.

Perché? Per far sì che anche con una larga vittoria, Meloni non possa più governare con Lega e FI, ma debba “aprirsi” a una maggioranza larga, istituzionale, europeista. Una cornice perfetta per un premier tecnico, non necessariamente Draghi ma di quel profilo lì: rassicurante, non divisivo, super gradito ai mercati.

Da qui l'uscita di Bignami. Una manovra preventiva. Un lampo nel cielo politico per dire: “Vi vediamo. Sappiamo cosa state preparando. E non vi riuscirà.”

Nel Palazzo, intanto, nessuno conferma. Nessuno smentisce. Tutti sospirano. Che sia vero o no, una sola cosa è certa: la diffidenza è tornata a livelli da prima Repubblica.

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