22 Aprile 2023
Lollobrigida, fonte: imagoeconomica
Il pensiero unico, importato anche in Italia dai cosiddetti settori progressisti USA, è un modo coercitivo di rendere assoluti concetti relativi e soprattutto di dividere il mondo in buoni e cattivi, in giusti o sbagliati. Alcuni esempi:
Può avere senso, bandire la parola “negro”, sostituendola con l’analoga “nero”. La prima, infatti, rievoca la terminologia usata dai colonialisti inglesi, francesi e spagnoli e dai latifondisti americani del Sud, per indicare sprezzantemente gli schiavi, che loro stessi sfruttavano spesso in modo disumano.
La parola “razza” rappresenta invece una realtà, che divide il genere umano od altro, per motivi somatici, oppure per l’appartenenza a gruppi religiosi, sociali o geografici.
Nel primo caso, bianchi, neri o gialli, rappresentano una realtà, decisa dal misterioso fenomeno che ha creato il mondo e che, universalmente, da credenti e non credenti, è chiamata Dio. Nel secondo caso, la razza ebraica, ariana, caucasica, oppure canina, equina ed altro, rappresenta l’aggregazione di formazioni di corpi viventi, sviluppatisi nel tempo.
La politica, soprattutto nel ventesimo secolo, attraverso la propaganda dei regimi fascisti e comunisti, ha utilizzato spesso la parola razza in senso dispregiativo, per sostenere la superiorità degli uni, rispetto agli altri.
Pertanto va fatta una differenza netta tra la parola razza, che rappresenta una realtà storica obbiettiva ed indiscutibile ed il razzismo, che è una parola convenzionale, per indicare politiche distorte.
Come nel caso di negro e nero, si può constatare che, per quanto riguarda la parola razza, per non creare equivoci, essa è stata generalmente sostituita, nel politically correct, dalla parola “etnia”, la cui definizione ufficiale è esattamente: “raggruppamento umano fondato sulla comunità e sulla forte affinità di caratteri psicosomatici, culturali, linguistici e storico sociali”.
Fa veramente specie, pertanto, se non imbarazzo, la bagarre scomposta, che si è scatenata sull’uso di tale parola.
Ritenere che un’immigrazione incontrollata sul territorio italiano, in cui gli immigrati rappresentano già quasi il 10% della popolazione, unita alla mancanza di natalità di cittadini endogeni, possa rappresentare, in un prossimo futuro, una mutazione significativa della etnia del nostro paese, mi sembra una considerazione lapalissiana, quasi banale, non certo un atto di blasfemia politica ed istituzionale.
Discutere se questo sia un bene od un male, è un discorso diverso, del tutto legittimo, in cui ognuno può avere le proprie idee che, come tali, vanno rispettate.
Personalmente, ritengo che la tradizione, gli usi ed i costumi e soprattutto le radici culturali, religiose, artistiche e scientifiche, che hanno profonde fondamenta nella “storia” italiana, convenzionalmente possiamo definirle “etnia italiana”. Esse vanno pertanto tutelate e valorizzate, perché rappresentano un valore, non solo nostro, ma di tutta l’umanità.
La fusione completa con altre etnie potrebbe essere anche proficua, ma non abbiamo, per il momento, esempi significativi che lo confermino.
Oggi i Leonardo, i Dante, i Michelangelo, i Raffaello, i Colombo, le Gentileschi, i Caravaggio, i Canova, i Volta, i Manzoni, le Deledda, i Meucci, i Verdi, i Fermi, i Marconi, le Montessori, i De Gasperi, gli Einaudi, gli Olivetti, le Montalcini, i Rizzoli, le Belisario ed i Del Vecchio, ma anche la pizza margherita ed il Made in Italy, tanto per citarne pochissimi, sono tutti figlie e figli di questa isolata etnia che, personalmente, mi auguro non si estingua mai.
Di Pierfranco Faletti.
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