31 Marzo 2023
Michel, Stoltenberg, Von der Leyen, fonte: imagoeconomica
Quando si costituì il Regno d’Italia, fu adottato lo Statuto Albertino, ereditato da casa Savoia, che prevedeva l’elezione di un Parlamento, votato soltanto da parte di coloro che avevano un certo censo e cioè un complesso minimo di beni e di ricchezze possedute.
Ciò, nel pensiero di chi lo aveva redatto, in un paese in cui l’analfabetismo era intorno all’80%, avrebbe garantito una capacità intellettuale e culturale, che rendesse cosciente il voto.
Nel 1912, Giovanni Giolitti istituì il suffragio universale maschile, che prevedeva il diritto di voto a tutti i cittadini maschi, che avessero raggiunto la maggiore età.
Finalmente, nel 1945, tale diritto fu esteso anche alle donne, dando così a tutto il popolo il potere di scegliere i propri rappresentanti.
Questa struttura in Italia ha funzionato finché sono esistiti i partiti, organizzati in sezioni, segreterie politiche comunali, provinciali e regionali, democraticamente elette, con congressi ogni tre anni, che potevano continuamente rinnovare segretari e classi dirigenti.
Ciò permetteva una selezione al loro interno ottenuta, insieme ad una legge elettorale, che, con la libera preferenza nominativa, dava la possibilità di scegliere, oltre al partito, il candidato preferito.
Mani pulite ha falcidiato i partiti e lo sciagurato referendum di Mario Segni nel 1993, ha praticamente azzerato la libera scelta dei candidati.
Al posto dei partiti, si sono generalmente sostituiti così alcuni potentati a vita, che si identificano con i propri leaders, veri e propri padri e padroni, che fanno eleggere in Parlamento chi vogliono, compresi amici, amiche, parenti, compagni e compagne.
Questo ha causato il progressivo allontanamento dell’elettore dalla cabina elettorale e lo scadimento del livello politico e culturale, di chi siede negli organismi istituzionali nazionali.
L’obbedienza al capo ha sostituito il merito e la professionalità.
Dal verticismo assoluto del Re, si è passati al verticismo oligarchico di alcuni capi politici.
L’Europa sembra avere interpretato al rialzo questa filosofia. Una Commissione, designata dall’alto dai governi nazionali, con poteri normativi amplissimi, impone regole che condizionano la vita di centinaia di milioni di cittadini, con scarse possibilità di verifiche e di contradditorio.
Vige la legge del più forte che, in questo caso, non rappresenta il più forte nel consenso, ma il più forte negli apparati e nell’arroganza del potere.
Chi ha mai votato in Europa la tedesca Ursula von der Leyen, Frans Timmermans, Valdis Dombrovskis e lo stesso debolissimo Paolo Gentiloni? Ce li siamo soltanto trovati!
Eppure questi signori ed i loro predecessori hanno imposto agli allevatori italiani la soppressione di migliaia di capi di bestiame, per onorare le quote latte volute dai paesi del Nord. Questi signori hanno imposto una politica “green” che ha favorito, prima dell’arrivo dei cinesi, gli interessi dei produttori tedeschi di impianti eolici e fotovoltaici. Questi signori hanno imposto la maggior parte degli standard tecnici tedeschi, a partire, tanto per fare un esempio banale, dalle prese Schuko, che ormai inondano i nostri edifici.
In questi giorni, dulcis in fundo, con un giro di walzer del tutto imprevisto, la UE ha riammesso, dopo il 2035, i motori a combustione nell’automotive, banditi fino a qualche ora fa, con l’utilizzo però dei soli carburanti sintetici, voluti da Berlino, primo produttore mondiale.
Questa non è l’Europa sognata da Altiero Spinelli, nel carcere di Ventotene nel 1941, questa non è l’Europa sognata dai giovani negli anni cinquanta e sessanta, che avevano creduto in un ideale e che avevano sperato nell’aggregazione del nostro continente, come motore politico e culturale del mondo.
Questa non è soprattutto l’Europa progettata da Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer e Robert Schuman, un’unione continentale che chiudesse radicalmente con la conflittualità del passato, per riallineare su di una stessa linea di partenza popoli e nazioni, in nome della meritocrazia, del progresso e soprattutto della democrazia.
Sotto forme nuove e più sofisticate, vige invece sempre la legge del più forte. L’Italia si trova così ad essere relegata, immeritatamente, in coda, con i suoi immigrati, i suoi inutili anche se ecologissimi biocarburanti, con i suoi bovini e suini da abbattere, con i suoi assassini condannati in patria e graziati fuori dai nostri confini ed infine con le sue linee di debito, accordate sì dalla UE, ma con l’impegno alla restituzione.
A differenza di quanto ha solennemente affermato in questi giorni Joe Biden, Presidente USA, circa la nostra democrazia quasi perfetta, è forse invece arrivato il tempo per l’Europa e per tutto l’occidente di sfatare la storica frase di Simon Bolivar, grande condottiero sudamericano, che più volte sostenne che servire la democrazia è come arare il mare.
Pierfranco Faletti
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