08 Agosto 2022
Matteo Salvini (foto LaPresse)
«Ehi Siri». Era il 2017 quando Matteo Salvini si rivolse all’allora responsabile economico della Lega al sud, Armando Siri, per elaborare la riforma fiscale del Carroccio alla vigilia delle elezioni politiche dell’anno successivo. Siri lesse, rilesse, studiò, calcolò. E alla fine presentò la flat tax al 15%. Sì, quella che il leader leghista, al pari di Silvio Berlusconi, ma con un’aliquota diversa, ha rispolverato in vista della tornata elettorale del prossimo 25 settembre.
Secondo Siri, la rivoluzione tributaria consisteva nel considerare la famiglia come un nucleo fiscale al posto del singolo contribuente, per far sì che la flat tax, letteralmente «tassa piatta» con un’aliquota fissa, dal ceto più basso a quello più alto, potesse andare in soccorso alle famiglie numerose con meno reddito. La Lega, per applicare la sua riforma fiscale, aveva fatto una stima di circa 40 miliardi di euro. Per trovarli, Siri, al primo punto, aveva messo la graduale emersione del sommerso, ovvero il recupero del lavoro non regolarizzato che l’ecomomista della Lega, in Italia, stimava in 400 miliardi di euro. «La nostra ricetta per la crescita si chiama flat tax al 15%», aveva spiegato Salvini. «La crescita c’è solo se ripartono i consumi e questi riprendono solo se gli italiani hanno più soldi in tasca da spendere. Dobbiamo fare in modo che lo Stato rinunci a una parte delle imposte».
La proposta è la stessa di oggi. Con una differenza sostanziale: l’ex capo del Viminale, rispetto a cinque anni fa, ha proposto di applicare la flat tax anche ai dipendenti. «In questo momento ci sono 2 milioni di partite Iva che pagano una flat tax al 15%», ha premesso. «A me piacerebbe estendere questa tassazione piatta anche ai lavoratori dipendenti». Con un limite di tempo ben preciso: «Nell’arco di cinque anni si potrà fare». Siri, in seguito alle consultazioni del 2018, divenne sottosegretario alle Infrastrutture nel primo governo di Giuseppe Conte. E la sua idea rimase tale. Oggi, che occupa un banco al Senato, nell’ecosistema del centrodestra la flat tax è tornata di moda. Sarà la volta buona?
Di Filippo Merli
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