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Fed e mercati, taglio dei tassi di 25 pb al 3,50–3,75% e fine del Quantitative Tightening da $2.500 mld, nuova spinta alla liquidità

Commento di Filippo Casagrande, Chief of Investments, Generali Investments, su acquisti di Treasury bill per $40 mld al mese, crescita USA e implicazioni per azioni e obbligazioni

23 Dicembre 2025

Fed e mercati: taglio dei tassi di 25 pb al 3,50–3,75% e fine del Quantitative Tightening da $2.500 mld, nuova spinta alla liquidità

ilippo Casagrande, Chief of Investments, Generali Investments

Nel meeting del 10 dicembre la Federal Reserve ha tagliato i tassi di 25 punti base, portando il corridoio a 3,50-3,75%. Il taglio è in linea con le aspettative di mercato delle ultime settimane, ma è interessante notare che ben 3 membri votanti hanno dissentito con la decisione: due hanno votato per mantenere i tassi invariati, mentre Stephen Miran, nominato da Trump a settembre, ha votato per un taglio di 50 punti base, confermandosi il membro del FOMC con il posizionamento più “dovish”. Queste divisioni all’interno della Fed saranno un tema per il prossimo anno, ma avremo occasione di parlarne più diffusamente nei prossimi webinar.

Al momento, quello che è bene sottolineare è però un altro aspetto della politica della Fed, ossia la gestione del suo bilancio e della liquidità. Il 1° dicembre si è chiuso ufficialmente il Quantitative Tightening, il processo di riduzione del bilancio che la banca centrale statunitense ha iniziato nella primavera del 2022. Il calo complessivo degli attivi della Federal Reserve ha raggiunto i 2500 miliardi di dollari, e questo fa tornare il bilancio totale a quota 6500 miliardi, un livello che non si vedeva dall’aprile 2020.

Questa non è, però, la sola decisione a sostegno della liquidità. La Fed ha avviato una nuova serie di operazioni, definite “Reserve Management Purchases”. Queste operazioni consistono nell’acquisto di titoli del Tesoro USA a breve termine (Treasury bills) per circa 40 miliardi al mese, almeno in un primo momento. L’obiettivo è quello di mantenere ampie le riserve e stabilizzare la liquidità nel sistema. Non si tratta di un vero e proprio Quantitative Easing, che solitamente si concentra su titoli con scadenze ben superiori ai dodici mesi, ma l’impatto sulla liquidità è sicuramente positivo. Questo è un fattore importante. Avevamo più volte citato nei webinar degli scorsi mesi il progressivo calo delle riserve in eccesso, scese sotto i 3000 miliardi durante lo shutdown di ottobre e novembre. La fine del Quantitative Tightening e i nuovi acquisti di Treasury Bills risolvono, di fatto, questo problema: nel corso del 2026 vedremo un progressivo aumento della liquidità e questo storicamente è un fattore importante per i mercati e gli attivi rischiosi.

Queste novità positive da parte della Federal Reserve si inseriscono in un quadro macroeconomico negli USA a tinte chiaroscure. Da un lato, abbiamo una revisione al rialzo delle stime di crescita, legata ai forti investimenti nel settore dell’Artificial Intelligence ma anche ad una sostanziale tenuta dei consumi, sostenuti anche da prezzi dell’energia e, in particolare del petrolio, contenuti rispetto i livelli degli ultimi anni. Dall’altro lato, va però sottolineata la debolezza del mercato del lavoro. Dopo la lunga interruzione dovuta allo shutdown, martedì sono stati pubblicati i dati sul mercato del lavoro relativi agli ultimi due mesi. In termini di nuovi posti di lavoro creati, ottobre ha visto un calo di ben 105mila unità, mentre a novembre i nuovi posti creati sono tornati in territorio positivo, con un +64mila unità. Negli ultimi 7 mesi, i posti di lavoro creati sono poco più di 100mila, un deciso rallentamento rispetto ai quasi 500mila posti di lavoro creati nei primi 4 mesi dell’anno e i 2 milioni creati nel 2024. In seguito a questo rallentamento, il tasso di disoccupazione è salito al 4,6%, il livello più alto negli ultimi quattro anni.

Il mix di notizie positive e negative ha avuto un impatto sostanzialmente nullo sui mercati azionari. Dopo un recupero attorno al +3% nella parte finale di novembre, a dicembre registriamo per ora un lieve guadagno sulla parte europea, mentre il mercato USA, dopo essersi riavvicinato ai massimi storici di fine ottobre, ha corretto leggermente al ribasso (circa -1,5%) dopo la pubblicazione dei dati sul mercato del lavoro. In termini settoriali, il settore Tech si è stabilizzato, nonostante ci sia una crescente dispersione tra le varie società, con una maggiore attenzione ai fondamentali (ed in particolare alla generazione di cassa), come avevamo detto nell’ultimo webinar.

Guardando al mercato obbligazionario, le ultime settimane hanno visto un rialzo dei rendimenti core nell’ordine dei 15 punti base. Mentre negli Stati Uniti siamo ancora a livelli vicini ai minimi dell’anno (il tasso decennale è in area 4,15% rispetto ad un minimo di 3,95% toccato ad ottobre), la situazione è diversa per Germania e Giappone. Infatti, il tasso decennale Bund è salito in area 2,85%, vicino ai massimi visti a marzo dopo l’annuncio del piano di espansione fiscale del nuovo governo Merz. In Giappone, la situazione è ancora più estrema, con il tasso decennale che è passato dall’1,1% di inizio anno a quasi il 2%, un livello che non si vedeva dal lontano 2006.

Cosa sta succedendo? In sintesi, tutto si riduce alle diverse aspettative sui movimenti futuri delle banche centrali. Mentre per la Fed il mercato vede un paio di tagli nel corso del 2026, per la BCE questa aspettativa non c’è più, grazie al buon andamento dell’economia, con una crescita tornata in linea con il potenziale, e ad un’inflazione sì vicina al target, ma con una certa persistenza della componente dei servizi, sempre solidamente sopra il 3% in termini di crescita annua. In Giappone le aspettative sono addirittura di un rialzo dei tassi di politica monetaria, con un primo rialzo già previsto nel meeting di domani e almeno un altro rialzo nel corso del 2026. Il Giappone, dopo tre decenni di deflazione, sta infatti sperimentando una crescita sostenuta dei prezzi, ormai in area 3% per il terzo anno di fila e finora la banca centrale ha tenuto i tassi vicini allo zero.

La cosa interessante che accomuna ormai tutti i principali paesi sviluppati è che i tassi reali sono in linea con la crescita potenziale dell’economia. Questo è storicamente un fattore di grande supporto per i rendimenti del comparto obbligazionario, in quanto sono estremamente rari i periodi di deviazioni significative dei tassi reali sopra il potenziale di crescita. Questo ha implicazioni sulla strategia obbligazionaria, favorendo un approccio moderatamente positivo alla duration dato il rischio limitato di un aumento marcato dei tassi reali dai livelli attuali. 

Guardando a questo fine anno e l’inizio del 2026, se sul lato obbligazionario (specie quello europeo) vediamo un punto di entrata migliore, non modifichiamo la visione sostanzialmente costruttiva sulla parte azionaria. L’aumento della liquidità in eccesso negli Stati Uniti è un elemento di grande supporto e in un mondo ad inflazione moderatamente elevata, l’esposizione azionaria rimane importante per la difesa dei rendimenti in termini reali.

USA: crescita rivista al rialzo ma mercato del lavoro debole

Sia negli Stati Uniti, sia nell’Eurozona, le stime per il 2026 indicano una crescita attorno al potenziale. Guardando ai numeri degli analisti, infatti, vediamo che gli Stati Uniti dovrebbero segnare una crescita del 2% nel 2026 (in rialzo rispetto al +1,8% previsto un mese fa), sostanzialmente in linea con quanto visto nel 2025 (+1,9-2,0%). La stessa Fed ha rivisto al rialzo le sue stime per il 2026 al +2,3% (pur partendo da un livello leggermente più basso per il 2025, +1,7%). Per l’Eurozona la crescita attesa per il 2026 è del +1,1%, con una decisa accelerazione dell’economia tedesca che passa dal +0,3% di quest’anno al +1,0%.

Se i numeri complessivi di crescita sono incoraggianti, rimane una certa apprensione per il mercato del lavoro statunitense. I numeri che abbiamo presentato prima lasciano pochi dubbi circa il rallentamento in atto, ma vanno valutati diversi fattori che possono spiegare queste dinamiche. In primis, c’è l’impatto dell’adozione dell’Artificial Intelligence.

Varie industrie stanno tagliando le posizioni di entry-level, in quanto – diciamolo tra virgolette – sostituibili con l’utilizzo dell’intelligenza artificiale. Ma c’è un’altra spiegazione per il rallentamento del mercato del lavoro e ha a che fare con i flussi migratori. Con la stretta sull’immigrazione voluta dall’amministrazione Trump si registra un calo dei migranti residenti negli Stati Uniti, che spesso coprono posizioni a minore valore aggiunto e retribuzioni più basse.

Secondo i dati del Pew Research Center, gli immigrati negli Stati Uniti sono diminuiti di oltre 1 milione (da 53,3 a 51,9 milioni) nei primi sei mesi del 2025, il primo calo in oltre 50 anni. Questo suggerisce che il nuovo livello di equilibrio per mantenere la crescita in territorio positivo potrebbe essere molto più basso rispetto agli ultimi anni. Ciò detto, non dobbiamo sottovalutare l’impatto di una crescita della disoccupazione, che in ultima istanza andrebbe a incidere sui consumi e sui profitti delle imprese.

Al momento, però, uno scenario recessivo sembra improbabile. L’indice ISM Services che registra la fiducia nel settore dei servizi negli Stati Uniti è salito a 52,6 dal precedente 52,4, mentre arranca un po’ il settore manufatturiero (ISM Manufacturing da 48,7 a 48,2 in novembre). Nell’Eurozona i numeri sono simili, con l’indice PMI Services a quota 52,6 a dicembre e l’indice PMI Manufacturing a 49,2, entrambi in lieve calo rispetto ai livelli di novembre, ma pur sempre coerenti con una crescita economica attorno al potenziale.

Inflazione

Per quanto riguarda l’Eurozona, i dati per il mese di novembre mostrano un’inflazione complessiva al +2,1%, invariata rispetto ad ottobre e leggermente sotto le aspettative di mercato. Anche l’inflazione core risulta stabile al +2,4% annuo. Rimane sotto osservazione la componente dei servizi, in accelerazione per il terzo mese consecutivo e tornata al +3,5% su annua, un livello storicamente elevato e che riflette la solidità del mercato del lavoro nell’Eurozona, con un tasso di disoccupazione al 6,4%, appena un paio di decimi sopra ai minimi storici toccati un anno fa.

Per quanto riguarda le stime degli analisti, non ci sono variazioni rispetto al mese scorso. L’inflazione media negli Stati Uniti dovrebbe assestarsi al +2,9% nel 2025 e +2,8% nel 2026, mentre per l’Eurozona le stime sono rispettivamente del +2,1% e +1,8%.

Un 2026 molto incerto per la Fed, tra dati e lotte di successione alla guida

Il pricing di mercato vede oggi almeno due tagli della Fed entro fine 2026, per la precisione 58 punti base dai livelli attuali. La Fed invece vede in media un solo taglio. Va però detto che la dispersione delle previsioni dei membri del FOMC è molto elevata. La maggioranza dei membri (12 su 19) vede almeno un taglio dei tassi entro la fine del 2026, con un estremo – probabilmente rappresentato dal già citato Stephen Miran – che vede ben 6 tagli. Va però notato che ben 7 membri vedono un tasso di policy invariato o addirittura più elevato rispetto a quello attuale (sono probabilmente quei membri che già non volevano tagliare i tassi di policy nell’ultimo meeting di dicembre).

Questa elevata dispersione ha varie motivazioni, in primis l’outlook incerto del mercato del lavoro e dell’inflazione. A pesare è però anche la pressione del Presidente Trump sulla Fed. Il mandato di Jerome Powell è in scadenza e crescono le indiscrezioni sul successore. Il timore di alcuni analisti è che la linea della Fed si appiattisca ai desiderata del Tesoro USA, con un più massiccio taglio dei tassi per alleggerire il fardello della spesa per interessi. Una Fed meno indipendente può causare volatilità non solo sulle parti lunghe della curva dei rendimenti dei Treasury USA, e maggiore volatilità anche sugli attivi rischiosi in generale.

I mercati finanziari e le prospettive

Per quanto riguarda le azioni, rimaniamo in un ambiente supportivo per le performance, grazie al buon andamento degli utili aziendali, l’ambiente moderatamente inflattivo (e quindi favorevole alle azioni), le condizioni di politica monetaria favorevoli (considerati i numerosi tagli dei tassi già implementati da BCE e Fed) e la prospettiva di un aumento della liquidità in eccesso negli USA dopo le ultime decisioni prese dalla Federal Reserve. Il principale fattore di attenzione è come sempre legato alle valutazioni, che seppur giustificabili da aspettative di crescita elevate e redditività resiliente, non possono dirsi convenienti, specie negli Stati Uniti.

Per quanto concerne il mondo obbligazionario, il recente rialzo dei rendimenti core offre un punto di entrata migliore, specie in Eurozona. Aumentiamo quindi l’allocazione ai Bund tedeschi e alla duration europea, mentre riduciamo la preferenza tattica sugli Stati Uniti espressa il mese scorso, considerando il livello ridotto dello spread Transatlantico, ora in area 130 punti base sui titoli a 10 anni, il livello più basso da luglio 2023. Continuiamo a vedere con interesse le strategie di carry, favorendo quindi i BTP italiani e il credito Investment Grade europeo, pur consapevoli che gli spread sono a livelli storicamente piuttosto bassi.

Riassumendo il posizionamento di portafoglio, possiamo dire questo:

  • Sul lato governativo, alziamo l’allocazione sui Bund tedeschi da neutrale a positiva, e consideriamo i livelli 2,9% - 3,0% come area di ulteriore accumulo. In caso di ritorno dei tassi in area 2,6%, prenderemmo profitto. Conferiamo la preferenza per i BTP italiani, premiati dalla politica fiscale prudente del governo. Lo spread decennale BTP-Bund è sceso sotto i 70 punti base, il livello più basso dal 2009. Manteniamo una maggiore prudenza sugli OAT francesi, dati i rischi sull’implementazione delle misure di austerità necessarie per la riduzione dell’elevato deficit pubblico. Sui Treasury USA, riduciamo la nostra preferenza in relativo ai Bund tedeschi e assumiamo un atteggiamento neutrale, in attesa di maggiore chiarezza sui dati di inflazione e sull’andamento del mercato del lavoro.
  • Confermiamo l’interesse per i bond in valuta locale dei paesi emergenti. Alcuni di questi hanno continuano a fornire buone performance nelle ultime settimane (come l’Ungheria), mentre c’è stata una presa di profitto sui bond di Brasile e Messico dopo le forti performance di quest’anno. Dati i livelli elevati di tassi nominali e reali, riteniamo questa correzione come un buon punto di entrata
  • Nel comparto del credito, confermiamo la preferenza per la ricerca di spread usando le leve di rating e seniority, mentre siamo più cauti nel cercare rendimento allungando la duration, dove riteniamo che i bond governativi offrano un profilo rischio/rendimento più attraente. Concentriamo i nostri sforzi sulla selezione, cercando qualità e buoni profili in termini di rendimento e spread per unità di duration.
  • Concludendo con la parte azionaria, confermiamo il sovrappeso, con una preferenza per Stati Uniti, Eurozona e Paesi Emergenti, mentre siamo neutrali su Giappone e Regno Unito. Continuiamo, inoltre, a lavorare e sovrappesare temi strutturali, come i titoli auriferi – nuovamente in grande spolvero nell’ultimo mese – il settore della difesa europea, le banche europee (anch’esse brillanti nell’ultimo mese), e il settore Tech USA. Come già ampiamente discusso nello scorso webinar, nel comparto legato all’Artificial Intelligence la selezione dei singoli titoli diventa più importante e l’analisi fondamentale, in particolare nella generazione di cassa, assume un ruolo centrale.

 

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