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Perù sull’orlo della crisi, le proteste della Generazione Z sfidano José Jerí, il presidente chiede poteri speciali per la sicurezza

Un morto, oltre cento feriti, e la piazza che non si arrende. Il Perù è entrato in una nuova fase critica della sua instabilità politica, con l’ascesa fulminea di José Jerí alla presidenza e il rifiuto di dimettersi dopo che le manifestazioni di massa sono sfociate in violenza e sangue

20 Ottobre 2025

Jose Jerì

Jose Jerì, fonte: Wikipedia

Un morto, oltre cento feriti, e la piazza che non si arrende. Il Perù è entrato in una nuova fase critica della sua instabilità politica, con l’ascesa fulminea di José Jerí alla presidenza e il rifiuto di dimettersi dopo che le manifestazioni di massa sono sfociate in violenza e sangue. L’episodio che ha scatenato l’indignazione nazionale è l’uccisione di Eduardo Ruiz Sanz, giovane attivista, colpito durante gli scontri a Lima. A riconoscere la responsabilità è stato il capo della polizia nazionale peruviana, Óscar Arriola, che ha confermato il coinvolgimento diretto di un agente. Sebbene si parli di legittima difesa, la Procura ha già aperto un’indagine.

La crisi di legittimità dopo l’uscita di Boluarte

L’attuale presidente, José Jerí, è salito al potere dopo la rimozione parlamentare di Dina Boluarte. Senza un’investitura popolare diretta, il suo mandato si regge su equilibri fragili e sull’approvazione di una maggioranza parlamentare più abile nel defenestrare che nel costruire. Jerí ha dichiarato che non intende abbandonare l’incarico e ha invocato poteri straordinari per affrontare l’ondata di criminalità che sta paralizzando il paese. Le sue parole però non hanno placato la rabbia crescente della popolazione.

La generazione digitale in piazza

A guidare le proteste è la Generazione Z, i nati tra la fine degli anni ’90 e i primi anni 2000. Giovani cresciuti nell’era dei social media, digitali per natura e radicali per necessità, che chiedono salari dignitosi, riforme, giustizia e sicurezza. Sono proprio loro ad aver trasformato le strade di Lima in un campo di battaglia simbolico e concreto. Le bandiere nere con il simbolo di One Piece – il teschio col cappello di paglia – campeggiano nei cortei come nuovo emblema della ribellione giovanile globale.

La risposta del governo: emergenza e repressione

Invece di aprire al dialogo, il governo ha scelto la strada del rigore securitario. È stato preannunciato lo stato d’emergenza nell’intera area metropolitana di Lima, con possibili restrizioni alla libertà di circolazione, specialmente per i motociclisti. Il primo ministro, Ernesto Álvarez, ha lasciato intendere che non è escluso nemmeno un coprifuoco. In questo scenario, l’apparato statale si trasforma da mediatore istituzionale a gestore tecnico della crisi, puntando tutto sull’ordine pubblico come surrogato del consenso.

Il potere senza popolo: la logica della forza

Il potere esecutivo peruviano vive una transizione permanente senza approdo. Da anni, infatti, il paese è ostaggio di una dinamica in cui i presidenti vengono nominati o rimossi non dal voto popolare, ma da giochi di palazzo parlamentari. La nomina di Jerí, avvenuta per successione diretta in qualità di presidente del Congresso, ne è l’ennesima conferma. Questo scollamento tra istituzioni e cittadinanza spiega in parte la crescente frustrazione della piazza.

Il pericolo della “dottrina dell’emergenza

Le misure di sicurezza annunciate da Jerí rappresentano più di una risposta tattica: sono il segnale di una possibile strategia di governo basata sulla stabilizzazione per attrito. Una "pedagogia dell’emergenza" che punta a dissuadere, disarticolare e neutralizzare il dissenso. Se lo stato d’eccezione diventa la normalità, il rischio è quello di uno slittamento autoritario: meno politica, più procedura; meno consenso, più comando.

Ordine come moneta per la sopravvivenza politica

La gestione muscolare della protesta può rafforzare Jerí agli occhi dei mercati, dei partiti che lo sostengono e dei partner internazionali. Per un’economia mineraria come quella peruviana, garantire l’operatività dei porti, delle miniere e dei corridoi logistici è vitale. L’ordine non è solo un concetto giuridico, ma una variabile economica e geopolitica, un asset da mostrare a investitori e agenzie di rating. Tuttavia, ogni misura repressiva rischia di erodere ulteriormente la fiducia già fragile della popolazione.

L'effetto domino e il rischio di radicalizzazione

La repressione della protesta giovanile potrebbe avere effetti controproducenti. La commemorazione di Ruiz Sanz ha già mostrato che la mobilitazione non è in calo. Anzi, si moltiplicano i cortei e si rafforza il fronte intergenerazionale che chiede riforme strutturali. In questo clima, la morte di un manifestante non è un episodio isolato, ma un punto di rottura che rischia di trasformare una protesta sociale in una crisi di regime.

Una sfida generazionale e democratica

Le piazze peruviane raccontano una sfida generazionale che è anche una battaglia per il futuro della democrazia. La Generazione Z, più che rappresentanza, chiede riconoscimento, trasparenza e responsabilità pubblica. La loro protesta è il sintomo di una frattura profonda tra istituzioni e società, resa ancora più evidente dalla gestione tecnocratica e autoritaria della crisi.

Una scelta cruciale per il Perù

Il Perù si trova a un bivio: continuare sulla strada della securitizzazione del dissenso, trasformando lo stato d’emergenza in paradigma di governo, o aprire finalmente uno spazio politico reale di confronto, fondato su elezioni credibili, giustizia sociale e riforme. José Jerí ha invocato la stabilità, ma stabilità non è sinonimo di silenzio. È legittimità conquistata sul campo della partecipazione. Senza questo passaggio, ogni parata d’ordine rischia di essere una tregua illusoria, in attesa della prossima deflagrazione.

Di Riccardo Renzi

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