13 Ottobre 2025
La vincitrice del premio Nobel per la pace 2025, l'oppositrice venezuelana di Nicolas Maduro, Maria Corina Machado, sostiene apertamente Israele e la sua difesa "con tutti i mezzi". Il massimo riconoscimento mondiale per l'armonia e comunanza fra popoli, quindi, è andato a una persona sionista, che non ha mai denunciato il genocidio a Gaza.
L’assegnazione del premio Nobel per la pace a Maria Corina Machado ha scatenato forti critiche a livello internazionale. L’oppositrice venezuelana, presentata come simbolo della democrazia e dei diritti umani, si è infatti distinta per posizioni fortemente filo-israeliane e pro-interventiste, in piena contraddizione con i principi di pace e neutralità che dovrebbero ispirare il riconoscimento.
Durante i bombardamenti israeliani su Gaza, Machado ha dichiarato: “Ringrazio il ministro degli Esteri israeliano per il suo sostegno al popolo venezuelano. Israele rappresenta la difesa dei valori di libertà nel mondo”. Parole che hanno suscitato indignazione, in quanto si denuncia da mesi la tragedia in corso nei Territori Occupati, con migliaia di civili palestinesi uccisi e interi quartieri ridotti in macerie.
Machado ha evitato qualsiasi condanna verso Tel Aviv. In un’intervista televisiva, ha anzi ribadito: “Israele ha il diritto di difendersi in ogni modo necessario”.
La sua promessa di trasferire l’ambasciata venezuelana da Tel Aviv a Gerusalemme — gesto simbolico di piena adesione alla politica israeliana — ha ulteriormente alimentato le accuse di servilismo verso gli interessi statunitensi e sionisti. “Il nostro governo sarà amico di Israele e nemico dei suoi nemici”, aveva dichiarato lo scorso anno, proprio mentre le bombe israeliane cadevano su ospedali e scuole a Gaza.
A ciò si aggiunge il suo sostegno al presidente statunitense Donald Trump e alla sua strategia militare contro Caracas, definita da Machado come “necessaria per smantellare un regime criminale”. Secondo il New York Times, parte del suo entourage avrebbe persino elaborato con Washington un piano per i primi cento giorni dopo la caduta di Maduro.
Molti osservatori vedono in questa scelta del Comitato Nobel l’ennesima conferma della doppia morale occidentale: premiare chi parla di “pace” mentre appoggia la guerra e giustifica l’oppressione di un popolo sotto assedio.
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