11 Ottobre 2025
Quando nello scorso maggio ha visto la luce il mio nuovo romanzo, "Il Fornaio Libanese", non potevo immaginare quanto la narrazione dei fatti da me raccontati – nel periodo storico tra il 1982 e il 1987 - sarebbe risultata tragicamente attuale. Gli ultimi giorni hanno dimostrato che la storia, in Medio Oriente, non solo non insegna, ma si ripete con una precisione agghiacciante.
Il mio romanzo segue infatti le vicende di Layla e delle sue figlie Najma e Zaynab, rifugiate palestinesi costrette a vivere tra campi profughi e città sotto assedio durante l'invasione israeliana del Libano del 1982. Quarantatré anni dopo, la Dahieh - periferia a sud di Beirut - continua a essere bombardata. Negli ultimi mesi, nonostante un cessate il fuoco formalmente siglato il 27 novembre 2024 tra Israele e Hezbollah, le violazioni sono state centinaia e quotidiane da parte dello Stato occupante sionista. A giugno 2025, almeno dieci bombardamenti si sono abbattuti sulla stessa area, con nove palazzi abbattuti nei quartieri di Burj-el Barajne, Haret Hreik e Hadath. L'attacco è avvenuto alla vigilia dell'Eid el Adha, una delle celebrazioni islamiche più importanti - una scelta che richiama la strategia di annientamento psicologico della comunità sciita.
Il 6 giugno 1982, Israele lanciò l'operazione "Pace in Galilea", invadendo il sud del Libano con l'obiettivo dichiarato di distruggere l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP). Le forze israeliane arrivarono fino a Beirut, assediando la capitale dal 14 giugno al 21 agosto. La città fu bombardata incessantemente, causando migliaia di vittime civili.
Paradossalmente, proprio quell'invasione del 1982 generò Hezbollah, come risposta diretta all'occupazione israeliana. Il gruppo, sostenuto dall'Iran, divenne la principale forza di resistenza nel sud del Libano, utilizzando tattiche di guerriglia che avrebbero costretto Israele a ritirarsi nel 2000.
Oggi, il copione si ripete con variazioni minime. Dal 27 novembre 2024, quando è stato firmato l'accordo di cessate il fuoco, Israele non ha mai cessato di bombardare il Libano. Il sud del Paese, l'est e persino Beirut sono stati colpiti ripetutamente. A maggio 2025, i bombardamenti a Nabatieh hanno causato almeno due morti e una decina di feriti. Ad aprile, un attacco mirato alla periferia sud di Beirut ha colpito un edificio dove, secondo Israele, erano immagazzinati "missili a guida di precisione" di Hezbollah.
Il Presidente libanese Joseph Aoun e il Primo Ministro Nawaf Salam hanno denunciato le continue violazioni, chiedendo a Stati Uniti e Francia - garanti dell'accordo - di costringere Israele a cessare immediatamente gli attacchi. Ma le loro parole sembrano ripetere quelle pronunciate decenni prima, durante e dopo l'invasione del 1982. Così facendo, chi è al governo dello Stato di Israele (la pericolosissima e criminale triade Netanyahu – BenGvir – Smotrich) non capisce che altro non fa che rafforzare la doppia natura della resistenza libanese di Hezbollah: culturale attraverso l'educazione e la preservazione della memoria, armata attraverso il sostegno ai combattenti. Questa dualità riflette esattamente ciò che Il Partito di Dio è diventato nel corso dei decenni: un movimento che è al tempo stesso partito politico, forza militare e organizzazione sociale radicata nel tessuto della comunità sciita libanese.
Dal 7 ottobre 2023 al giugno 2025, secondo l'Armed Conflict Location and Event Data Project, Israele ha effettuato ben 35.000 attacchi registrati in cinque Paesi: territorio palestinese occupato, Libano, Siria, Yemen e Iran. Di questi, 15.520 hanno colpito il Libano. Gli attacchi di Israele sulle terre del Paese dei cedri, dall'8 ottobre 2023, hanno causato quasi quattromila morti e oltre 16.000 feriti. L'offensiva israeliana ha devastato villaggi e infrastrutture nel sud del Paese e nella periferia sud di Beirut, costringendo migliaia di civili alla fuga. Nel 1982, durante i due mesi di assedio di Beirut, secondo il quotidiano al-Nahār, furono uccise 5.515 persone nell'area della capitale. Complessivamente, l'invasione causò oltre 15.000 morti tra militari e civili.
Il Libano, già devastato dalla peggiore crisi economico-finanziaria della sua storia iniziata nel 2019, vede oggi impedita ogni possibilità di ricostruzione. L'ombra di Israele sul Paese blocca gli aiuti del Fondo Monetario Internazionale, il processo di ricostruzione delle aree distrutte e l'attrazione di capitali stranieri. La Ministra libanese dell'Ambiente Tamara Zein ha visitato Bint Jbeil, una delle zone più colpite dai bombardamenti, per valutare i danni ambientali. I dati sono devastanti: intere aree del Paese sono inaccessibili, i terreni agricoli sono contaminati, le infrastrutture civili distrutte. Oggi, a Dahieh, gli abitanti vivono con le notifiche di evacuazione che arrivano sui loro telefoni un'ora prima dei bombardamenti, costretti a fuggire dalle proprie case per poi farvi ritorno quando le bombe hanno finito di cadere. La guerra è diventata "normale", una quotidianità assurda a cui ci si è tristemente abituati.
Come nel 1982, anche oggi la comunità internazionale osserva, esprime preoccupazione, chiede moderazione. Ma i bombardamenti continuano. Le violazioni del cessate il fuoco si accumulano senza conseguenze. I garanti dell'accordo - Stati Uniti e Francia - non riescono o non vogliono far rispettare i patti sottoscritti.
Il Presidente libanese Aoun ha parlato di "violazioni fragranti di tutte le convenzioni internazionali". Il Premier Salam ha avvertito contro "la ripresa delle operazioni militari alla frontiera sud, che rischiano di portare il Paese in una nuova guerra, che sarebbe disastrosa per il Libano e i libanesi". Sono parole che risuonano vuote nel fragore delle esplosioni, esattamente come quelle pronunciate dai leader libanesi durante l'assedio di Beirut del 1982.
Son trascorsi 43 anni da quel 1982 eppure oggi, nel 2025, quella stessa storia si ripete. Le bombe cadono sugli stessi quartieri. Le famiglie fuggono dalle stesse zone. I bambini crescono sotto gli stessi bombardamenti. Quarantatré anni. Quarantatré anni in cui il Libano ha cercato di ricostruirsi, di trovare una stabilità, di superare le divisioni interne. Quarantatré anni in cui la pace è rimasta un miraggio, sempre promessa e mai realizzata.
Forse la vera domanda non è perché la storia si ripete, ma perché continuiamo a permettere che si ripeta. La resistenza non dovrebbe mai essere necessaria: ciò che serve è giustizia, pace vera, rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale.
Fino ad allora, il Libano continuerà a bruciare, una condanna che nessun popolo dovrebbe mai sopportare.
di Eugenio Cardi
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