08 Agosto 2025
Nei corridoi del potere internazionale si sussurra di un accordo che potrebbe ridisegnare il destino di Gaza e dei suoi abitanti. Mentre l'8 agosto 2025 Israele firmava il suo più grande contratto di esportazione energetica con l'Egitto - 35 miliardi di dollari per gas naturale fino al 2040 - il gabinetto di sicurezza di Benjamin Netanyahu approvava contemporaneamente il piano per l'occupazione totale della Striscia di Gaza.
Una curiosa e ambigua coincidenza temporale che ha alimentato voci persistenti su un presunto "patto segreto" tra Tel Aviv, Il Cairo e Washington, benché al momento non vi siano prove certe dell'effettiva conclusione di tale accordo, anche se, come suggeriva la saggezza di Giulio Andreotti, più volte Presidente del Consiglio, "a pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca".
La cronologia degli eventi è cristallina. Lo stesso giorno in cui Netanyahu otteneva il via libera per occupare Gaza City - primo passo verso il controllo dell'intera enclave palestinese - la compagnia israeliana NewMed Energy annunciava la firma del contratto energetico più importante nella storia dello Stato sionista.
L'accordo sul gas è reale e massiccio: 130 miliardi di metri cubi di gas naturale dal giacimento Leviathan, al largo delle coste israeliane, fluiranno verso l'Egitto attraverso due fasi operative che si estenderanno fino al 2040. Per l'Egitto, che ha visto la propria produzione interna di gas calare del 40% dal 2021, si tratta di una boccata d'ossigeno energetico essenziale.
Il piano militare israeliano è purtroppo altrettanto concreto e altamente drammatico e destabilizzante: Netanyahu ha confermato pubblicamente a Fox News l'intenzione di "controllare tutta Gaza" per "rimuovere Hamas" e consegnare successivamente il territorio a "forze arabe che lo governeranno correttamente". Un'operazione militare al alto rischio che comporterebbe lo spostamento (o per meglio dire, la deportazione) di circa un milione di palestinesi dalla parte settentrionale dell'enclave.
Le dichiarazioni di Trump completano il quadro: il Presidente americano ha più volte suggerito di voler "ripulire" Gaza, sollecitando Egitto e Giordania ad accogliere i palestinesi. Il 4 febbraio 2025, Trump è andato addirittura oltre, dichiarando l'intenzione degli Stati Uniti di "assumere il controllo" della Striscia per ricostruirla come la "Riviera del Medio Oriente".
Fonti anonime nei circoli di potere israeliani, egiziani e americani sussurrano di connessioni più profonde tra questi eventi apparentemente distinti. L'ipotesi, circolata sottotraccia negli ambienti diplomatici, suggerirebbe che l'accordo energetico nasconda in realtà un "prezzo" pagato dall'Egitto per la futura gestione dei rifugiati palestinesi.
Guardando i fatti – tra loro separati - la logica geopolitica sembra possedere una sua perversa linearità:
1) Israele ottiene l'annessione di facto di Gaza liberandola dalla popolazione palestinese;
2) l'Egittodiventa un hub energetico mediterraneo cruciale grazie al gas israeliano;
3) gli Stati Uniti si assicurano un alleato regionale stabile eliminando un focolaio di tensione.
Alcuni analisti regionali, parlando sotto anonimato, descrivono una "regia coordinata" dietro la tempistica degli eventi. "Non è credibile che accordi di tale portata nascano per caso nello stesso momento", confida infatti un esperto di geopolitica energetica mediorientale. "I tempi in diplomazia non sono mai casuali".
Una delle voci tra le più insistenti riguarda la vera origine del gas che alimenterà l'accordo egiziano. Ufficialmente, il combustibile proverrà dal giacimento Leviathan, controllato da Chevron, Ratio e NewMed Energy. Tuttavia, gole profonde nei circoli energetici suggeriscono un possibile coinvolgimento futuro delle riserve di Gaza Marine.
Il giacimento palestinese, scoperto nel 2000 al largo di Gaza e contenente circa 35 miliardi di metri cubi di gas naturale, è rimasto quasi inutilizzato per oltre due decenni a causa dei continui ostacoli posti dallo Stato di Israele. Come è ampiamente noto infatti, a Gaza nulla si può senza il rarissimo consenso del governo israeliano.
"Se Israele dovesse annettersi Gaza", ragiona un esperto del settore energetico, "il controllo su Gaza Marine diventerebbe automatico. E quel gas potrebbe integrare - o sostituire - le forniture del Leviathan". Ad ogni modo al momento in tal senso nulla è ancora detto di certo, prove ufficiali non ce ne sono ma sospetti sulle reali intenzioni del governo estremista guidato da Netanyahu, sì, e molti. Tuttavia, l'Egitto continua a respingere categoricamente le intenzioni esplicitate da Trump a proposito della deportazione dei palestinesi. Il ministro degli Esteri egiziano Badr Abdelatty ha definito l'eventuale "spostamento" del popolo palestinese verso l'Egitto "un'ingiustizia alla quale non possiamo partecipare".
Anche la Giordania, l'altro Paese menzionato nei piani di Trump, ha espresso "ferma e immutabile" opposizione all'idea. Re Abdullah II ha chiarito che accogliere rifugiati palestinesi rappresenterebbe una "linea rossa" per il regno hashemita.
Al momento le fonti ufficiali americane e israeliane continuano a smentire quanto si dice in giro a proposito del patto segreto: dall'amministrazione Trump hanno precisato che non sono previsti fondi americani per la ricostruzione di Gaza, né l'invio di truppe USA. Tutti gettano acqua sul fuoco giurando che l'accordo energetico israelo-egiziano segue dinamiche commerciali consolidate nel Mediterraneo orientale, niente di più, niente di meno. "Il gas è diventato il nuovo petrolio della diplomazia mediorientale", osserva un analista del Begin-Sadat Center. "Permette flessibilità politica e creatività diplomatica impossibili con altri strumenti". L'energia, in questa lettura, non sarebbe solo business ma strumento geopolitico per ridisegnare equilibri regionali. Vedremo. L'importante è solo che tali impegnativi rinnovati accordi commerciali legati alla compravendita di gas non pesino sulla pelle dei palestinesi attraverso una nuova Nakba.
Ad ogni modo, al netto di voci di corridoio, prove concrete e atti ufficiali, rimangono sul tappeto fatti incontrovertibili: Israele ha firmato il suo più grande accordo energetico mentre pianifica l'occupazione totale di Gaza; Trump ha proposto apertamente la deportazione dei palestinesi; l'Egitto necessita disperatamente di energie alternative. E così come si usa dire spesso, "tre indizi fanno una prova". Difficile che gli elementi su riportati infatti rappresentino semplicemente una coincidenza di interessi nazionali distinti e separati. Le diplomazie coinvolte mantengono un rigoroso silenzio su eventuali accordi paralleli ma sappiamo fin troppo bene che in certi ambiti le coincidenze non esistono.
Una certezza rimane: nei prossimi mesi, l'evolversi della situazione a Gaza e l'implementazione dell'accordo energetico forniranno indizi cruciali per comprendere se siamo stati troppo sospettosi noi o se invece "a pensar male spesso ci si azzecca".
Di Eugenio Cardi
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