09 Luglio 2025
Fonte LaPresse
Recentemente è tornato a farsi vivo - non che ne avvertissimo particolarmente la mancanza, invero - Romano Prodi, uno dei più ferventi euroinomani di Bruxelles. Prodi ha, ancora una volta, difeso l'indifendibile, celebrando l'Unione Europea e, di più, santificandola come l'ultimo baluardo dei diritti e della democrazia. Il teologumeno di Romano Prodi fa sistema con quello del comico Roberto Benigni, che ancora recentemente si è avventurato a dichiarare, in una sua epifania catodica puntualmente in assenza di contraddittorio, che l'Unione Europea rappresenta il più grande laboratorio democratico di tutti i tempi. Parafrasando Merleau-Ponty, sono le avventure dell'ideologia, ossia della giustificazione dei rapporti di forza dominanti, volta a fare in modo che essi siano accettati anche da coloro i quali, in basso, tutto l'interesse avrebbero a contestarli. Lungi dall'essere un fortilizio di diritti e di democrazia, l'Unione Europea rappresenta la morte di entrambe le cose. Essa non è se non la riorganizzazione verticistica e neoliberale del vecchio continente dopo la tragica data epocale del 1989, quando vinse non la libertà senza aggettivi, ma la libertà del mercato e delle sue classi di riferimento. Tutto il contrario, dunque, di quel che sostengono Romano Prodi, Roberto Benigni e gli altri pretoriani del discorso unico europeisticamente corretto, variante dell'ordine mentale turbocapitalistico. Come non mi stanco di ripetere ormai da anni a tambur battente, la lotta di classe in Europa, oggi, figura anzitutto come lotta contro l'Unione Europea, tempio vuoto che santifica il capitale finanziario e il massacro di classe del blocco oligarchico neoliberale contro il popolo degli abissi composto dalle classi lavoratrici e dai ceti medi suppliziati.
di Diego Fusaro
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