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Violenze inaudite nelle carceri di Israele contro i palestinesi, dalle scosse elettriche alle bruciature con sigarette

Israele ha costituito tre principali centri di detenzione militari, destinati ai palestinesi di Gaza e Cisgiordania: Sde Teiman nel deserto del Negev e le strutture di Anatot e Ofer nella Cisgiordania occupata. Condizioni disumane all'interno dei centri

07 Luglio 2025

Violenze inaudite nelle carceri di Israele contro i palestinesi, dalle scosse elettriche alle bruciature con sigarette

Carcere di Sde Teiman, fonte: X, @max1ci6

Dal 7 ottobre 2023, Israele ha costituito tre principali centri di detenzione militari, destinati ai palestinesi di Gaza e Cisgiordania: Sde Teiman nel deserto del Negev (che la CNN ha definito come “l’oscuro centro di detenzione”) e le strutture di Anatot e Ofer nella Cisgiordania occupata. Questi centri operano sotto l'egida della cosiddetta "Legge sui Combattenti Illegali", una legislazione appositamente modificata per permettere alle forze militari di detenere persone per 45 giorni senza mandato di arresto. Inoltre, il parlamento israeliano ha approvato, lo scorso 6 novembre, ulteriori leggi che permetteranno di poter condannare all'ergastolo anche bambini sotto i 12 anni di età. Tali leggi - che hanno davvero molto poco di democratico - prevedono che per poter essere applicate alla persona in stato di fermo non dovrà esservi necessariamente una condanna definitiva, basterà semplicemente la formulazione dell’accusa o ancor più semplicemente il solo sospetto che la persona sia un/a "terrorista", sospetto sorto nel corso della famigerata detenzione amministrativa (arresto senza prove né accuse precise).

Va da sé che tale sistema giuridico si applica unicamente ai palestinesi e ai cosiddetti arabi israeliani, non ai cittadini ebrei di Israele; sistema giuridico a due livelli che naturalmente non è previsto in alcun sistema democratico, per non parlare di detenzioni che non sono supportate da accuse, prove, processi e condanne, ma legate semplicemente al libero arbitrio delle FFOO israeliane. 

Sde Teiman, la struttura carceraria che rappresenta un vero incubo per chi lì ci capita da detenuto, contiene al suo interno migliaia di detenuti palestinesi: funzionari delle prigioni israeliane hanno infatti riferito al New York Times che circa 4.000 abitanti di Gaza sono stati incarcerati a Sde Teiman dopo l'ottobre 2023. Attualmente circa 9.500 palestinesi, inclusi centinaia di bambini e donne, sono incarcerati in quel luogo orribile, per un terzo degli stessi senza accuse o senza che si stia svolgendo alcun processo (in Israele legalmente possibile grazie alla famigerata "detenzione amministrativa"). Almeno 53 di loro sono morti in strutture militari e prigioni israeliane dal 7 ottobre 2023.

Migliaia di palestinesi, inclusi operatori sanitari, pazienti e residenti in fuga dal conflitto, sono stati trasferiti da Gaza a Israele, solitamente ammanettati e bendati. Migliaia di altri sono stati detenuti in Cisgiordania e Israele, di solito segretamente, senza che né loro né i loro avvocati possano conoscere i motivi della loro detenzione. In più tali detenuti (contrariamente ad ogni norma internazionale inerente diritti umani e diritti civili) non sono messi nelle condizioni di poter nominare un avvocato o avere un percorso giudiziario efficace, corretto e veloce. Molto spesso nemmeno i parenti più prossimi non sono in grado di sapere dove venga trattenuta una tal persona e addirittura gli stessi palestinesi - detenuti in quella prigione dell'orrore di  Sde Teiman - molto spesso non riescono a capire dove si trovino.

  • Le condizioni all'interno dei centri

Secondo resoconti e articoli pubblicati da media internazionali (da me consultati), i detenuti vengono tenuti in strutture simili a gabbie, denudati per tutto il tempo e lasciati lì con indosso unicamente dei pannolini, dato che a loro è proibito utilizzare il bagno. Le loro testimonianze parlano di bende agli occhi per tempi molto lunghi, privazione di cibo, sonno e acqua e con buone dosi, invece, di scosse elettriche e bruciature con sigarette; prigionieri esposti a luce artificiale a tutte le ore del giorno e della notte, divieto assoluto di parlare, pestaggi, stupri, violenza sessuale (testimonianze raccolte dal New York Times). 

Un prigioniero che è stato rilasciato a giugno dopo 27 giorni, durante i quali è stato trattenuto in una baracca con almeno altre 120 persone, ha riferito ad Amnesty International che i detenuti venivano picchiati dai militari o fatti attaccare da cani feroci (i quali sembrerebbe vengano appositamente allevati e addestrati in Olanda, secondo un'indagine svolta da Somo, un centro studi progressista con sede ad Amsterdam) semplicemente per aver parlato con un altro prigioniero, alzato la testa o cambiato posizione. Ma tutto ciò premesso, «i fatti di Sde Teiman sono solo la punta dell’iceberg», riporta la ONG israeliana B’Tselem. Molto probabilmente infatti dietro quelle pareti alte e fitte, del tutto impraticabili e impenetrabili da occhio esterno, c'è molto di più. Israele infatti non permette alcun tipo di ispezione da parte di autorità esterne al proprio Paese. 

 

  • Violazioni mediche e complicity sanitaria: il ruolo controverso del personale medico

Operatori sanitari palestinesi rilasciati hanno descritto maltrattamenti in custodia israeliana, incluso umiliazioni, percosse, posizioni di stress forzate, ammanettamento prolungato e bende agli occhi, e negazione delle cure mediche. In una lettera pubblica, un medico israeliano che lavora nell'ospedale da campo militare di Sde Teiman ha scritto che in una sola settimana, "due prigionieri hanno avuto le gambe amputate a causa di ferite da ammanettamento, il che sfortunatamente è un evento di routine". Va purtroppo sottolineato – e mi duole molto farlo – di come medici carcerari e psicologi israeliani siano profondamente complici nella tortura e nel trattamento crudele, disumano e degradante dei palestinesi incarcerati e presumibilmente affidati alle loro cure. Dal 2011, Physicians for Human Rights Israel ha documentato il coinvolgimento implicito dei medici delle prigioni nel maltrattamento.

  • Il quadro legale internazionale: evidenti violazioni del diritto internazionale

Il diritto internazionale è chiaro: la tortura e altri maltrattamenti commessi contro persone residenti in un territorio occupato costituiscono un crimine di guerra. In più, la detenzione all'interno dello Stato di Israele dei prigionieri palestinesi provenienti dai territori palestinesi occupati è anche una violazione del diritto umanitario internazionale in quanto equivale a un trasferimento forzato. La detenzione in isolamento, la mancanza di processo equo, la tortura e altri maltrattamenti violano il diritto internazionale, anche durante un presunto stato di emergenza.

  • La posizione delle Nazioni Unite

Gli esperti indipendenti delle Nazioni Unite hanno ricevuto rapporti sostanziali di abusi diffusi, tortura, aggressioni sessuali e stupri, in mezzo ad atroci condizioni disumane, con almeno 53 palestinesi morti – in soli dieci mesi - in conseguenza del feroce trattamento ricevuto. Francesca Albanese, Relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati, ha investigato sulle modalità di detenzione applicate da Israele nel 2023 e conseguentemente ha chiesto agli Stati Membri dell'ONU di intervenire e alla Corte Penale Internazionale di investigare prontamente su quello che a tutti gli effetti appariva essere un crimine consolidato contro l'umanità.

  • Somiglianze strutturali e metodologiche con Guantanamo e Abu Ghraib

Khaled Mahajneh, un avvocato che ha avuto la possibilità di visitare i centri di detenzione su riportati, ha dichiarato che le condizioni in cui versano i prigionieri "sono orribili, di molto peggiori di tutto quello che abbiamo sentito su Abu Ghraib e Guantanamo". Entrambi tali carceri militari, noti per gli abusi sui detenuti e per il disprezzo dei diritti umani, son stati concepiti con lo stesso senso di impunità e di noncuranza per il diritto internazionale di quelli israeliani.

Così come accade a Guantanamo infatti, l'esercito israeliano da sempre respinge costantemente i tentativi dei giornalisti di ottenere accesso agli istituti carcerari di cui sopra, imponendo severe restrizioni con la perenne scusa di preoccupazioni per la sicurezza nazionale.

  • L'urgenza di una iniziativa internazionale

Gli esperti delle Nazioni Unite hanno sottolineato che "quello che è richiesto ora non è altro che una presenza internazionale indipendente di osservatori dei diritti umani. Devono diventare gli occhi del mondo alla luce del plateale fallimento di Israele nel prevenire e affrontare le violazioni effettuate dei diritti contro prigionieri e detenuti".

La Prof.ssa Alice Jill Edwards, Relatrice Speciale dell’ONU sulla tortura e altri trattamenti inumani, ha esortato il governo israeliano a investigare sulle molteplici accuse di tortura e altri trattamenti crudeli, disumani o degradanti che sono stati inflitti sui detenuti palestinesi, sottolineando che "nessuna circostanza, per quanto eccezionale, può mai giustificare la tortura o il maltrattamento".

Ma in realtà sappiamo tutti fin troppo bene che non accadrà mai nulla di simile purtroppo, dato che troppi interessi economici e finanziari intercorrono tra la UE e lo Stato di Israele per poter pensare che si faccia chiarezza una volta per tutte sulle incredibili ed evidentissime manchevolezze – per quanto Israele tenti inutilmente di nasconderle –a riguardo del rispetto di diritti civili e umani verso un popolo che opprime da quasi 80 anni ormai attraverso un feroce apartheid:  "Non sono solo le istituzioni europee a rischiare di macchiarsi di complicità con il genocidio del popolo palestinese ma anche i governi europei. […]La Germania è il secondo fornitore di armi a Israele dopo gli Stati uniti per il valore di 0,88 miliardi di euro tra il 2018 e il 2022. Nel 2023 le esportazioni tedesche verso Israele sono aumentate di dieci volte, passando da 32,3 milioni di euro a 326,5 milioni di euro, con la stragrande maggioranza delle nuove licenze concesse nel periodo successivo al 7 ottobre" (report Partners in Crime redatto dagli attivisti Niamh Ní Bhriain e Mark Akkerman del Transnational Institute). Per non parlare degli USA, che da sempre sono il primo fornitore di armi ad Israele.

Le rivelazioni sui centri di detenzione militari israeliani, ad ogni modo, sollevano questioni fondamentali sulla responsabilità internazionale e la necessità di supervisione indipendente per prevenire ulteriori violazioni dei diritti umani. La comunità internazionale si trova di fronte alla responsabilità di garantire che tali pratiche vengano investigate, che siano individuati i responsabili e che vengano implementate misure per prevenire il ripetersi di tali abusi in futuro.

Tutto ciò, non dimentichiamolo, accade in uno Stato che qualcuno ancora definisce come "l'unica democrazia del Medio Oriente".

Di Eugenio Cardi

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