04 Luglio 2025
Donald Trump (fonte foto Lapresse)
Donald Trump ha messo tutti in riga. O almeno abbastanza rappresentanti e senatori per far passare il suo "Big Beautiful Bill", il pacchetto economico varato da entrambe le camere del Congresso USA in tempo per la festa nazionale del 4 luglio. Così il presidente ha dimostrato il suo potere politico, cioè la capacità di costringere gli ufficiali eletti nel suo partito a votare a favore della sua agenda anche quando esprimono critiche pubbliche. Ora bisogna ragionare sugli effetti a medio termine, sia in termini politici che economici.
La vittoria del tycoon evita uno sfaldamento del partito, una situazione in cui lui sarebbe stato visto come troppo debole per imporsi, con una conseguente fuga multidirezionale delle diverse fazioni nella legislatura. Il che sarebbe stata una sentenza di morte per il presidente, costringendolo a fare compromessi in continuazione per trovare i voti per i suoi progetti, e quindi a ripiegare sullo strumento degli ordini esecutivi, di dubbia legalità e soggetti a contestazioni legali.
La maggioranza dei politici repubblicani che avevano minacciato di non votare a favore erano preoccupati dei tagli allo stato sociale, in particolar modo alla sanità pubblica per i redditi bassi – il Medicaid – e agli aiuti alimentari. Quelle riduzioni rimangono, e avranno effetti pesanti nei prossimi anni: Trump ha usato la carota e il bastone per recuperare i voti necessari, ma senza cambiare la struttura essenziale del provvedimento.
Cosa diranno i suoi elettori? È la grande domanda, in quanto la percezione della legge avrà effetti immediati, mentre alcune delle misure entreranno in vigore solo alla fine del 2026. Se i repubblicani riusciranno a far passare l’idea che stanno aggredendo gli sprechi, mentre mettono alcuni soldi in tasca ai lavoratori grazie ai tagli delle imposte su mance e straordinari, potranno sperare di limitare i danni nelle elezioni di medio termine del prossimo anno.
Se, invece, prevarrà la narrazione secondo cui la riduzione dello stato sociale è funzionale al taglio delle tasse soprattutto per i ricchi (che riceveranno oltre il 70% dei benefici), allora crescerà la probabilità di uno tsunami democratico quando si tornerà alle urne. Al momento questo messaggio sembra attecchire, ma sappiamo che quanto viene raccontato dalla grande stampa non influenza più gli elettori come una volta: con la frammentazione dell’informazione e la profonda polarizzazione, diventa fondamentale convincere alcuni segmenti della popolazione, lavorando in modo accurato sulla comunicazione politica.
A medio termine ci sono pochi dubbi sugli effetti che si avranno sulla sanità: anche se le stime sono solo grossolane, si parla di milioni di americani che perderanno la copertura assicurativa, oltre al blocco dei servizi sociali per gli immigrati. Un approccio, tra l’altro, poco efficiente, considerando che gli ospedali devono comunque curare chi arriva in gravi condizioni al pronto soccorso.
Sul versante della politica industriale, invece, si potranno vedere cambiamenti più strutturali nella società americana. Pur promettendo di riportare le industrie manifatturiere nel Paese, Donald Trump rischia di commettere lo stesso errore del suo primo mandato: un numero limitato di iniziative precise per i settori strategici – come acciaio e cantieristica – che non rappresentano una politica coerente per il Paese. E questa volta, grandi riduzioni agli investimenti e agli incentivi per qualsiasi cosa legata al green, dall’energia ai veicoli elettrici.
Si capisce la volontà di invertire la rotta rispetto ai programmi dell’amministrazione Biden, visti come ideologici, ma la domanda diventa: da dove arriveranno i fondi per la crescita industriale? Il Big Beautiful Bill mette soldi in mano ad alcuni segmenti della popolazione, ma riduce fortemente l’intervento pubblico più mirato, una ricetta per stimolare l’economia dei consumi senza un piano strategico generale, che invece servirebbe per continuare la svolta post-globalizzazione iniziata negli ultimi anni.
Di Andrew Spannaus
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