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Benedetto Croce «Il Giornale d'Italia» (10 agosto 1943)

Tutto quel che avreste voluto sapere sulla Palestina, dalla dichiarazione di Balfour del 1917 fino alla Nakba del 1948

Nel panorama mediatico occidentale, e in particolare in quello italiano, quando si parla della questione palestinese regna sovrana la confusione

01 Luglio 2025

Tutto quel che avreste voluto sapere sulla Palestina, dalla dichiarazione di Balfour del 1917 fino alla Nakba del 1948

Palestinesi detenuti durante l'espulsione da Ramle, luglio 1948, fonte: Wikipedia

La Storia della Palestina: dai trattati di pace alla tragedia del 1948

Nel panorama mediatico occidentale, e in particolare in quello italiano, quando si parla della questione palestinese regna sovrana la confusione. Non sempre involontaria, va detto: narrare certi aspetti scomodi della vicenda può risultare problematico, e anche imbarazzante per più di qualcuno, quando si ha a che fare con un partner strategico come Israele, specialmente con il governo attuale, dominato dalle destre. Il risultato? Si preferisce evitare di approfondire, lasciando che l'argomento finisca nel marasma dell'informazione superficiale cercando il più possibile di dirigerlo lì dove si vuole.

Ho deciso quindi di ricostruire questa storia per "Il Giornale d'Italia" partendo dai documenti e dai dati storici verificabili, iniziando dal momento in cui il primo conflitto mondiale ridisegnò completamente gli equilibri mediorientali.

  • Il crollo degli imperi e la nascita del nuovo ordine

Quando il primo conflitto mondiale si concluse l'11 novembre 1918 con l'armistizio firmato in Francia, nel vagone ferroviario di Compiègne, l'Europa e il mondo intero dovettero fare i conti con un bilancio devastante. La guerra aveva formato un enorme vortice di violenza costringendo sotto le armi cinquanta milioni di persone e strappando la vita a oltre dieci milioni di combattenti.

Il conflitto aveva visto contrapporsi due grandi coalizioni: da una parte l'Alleanza che univa Francia, Inghilterra e Russia (cui si aggiunsero successivamente Italia, Giappone, America e altri stati), dall'altra il blocco formato da Germania, Impero austro-ungarico e Turchia ottomana, sostenuti dalla Bulgaria.

La conferenza per definire i nuovi assetti mondiali si aprì a Parigi il 18 gennaio 1919, prolungandosi fino al gennaio dell'anno successivo. Il momento decisivo arrivò il 28 giugno 1919, quando venne sottoscritto tra le parti Il Trattato di Versailles:  un testo monumentale di oltre quattrocento articoli suddivisi in sedici sezioni, che impose alla Germania sconfitta condizioni durissime dal punto di vista territoriale, finanziario e militare.

Ma fu il destino dell'Impero ottomano a segnare più profondamente il futuro del Medio Oriente. L'antica potenza turca, alleata delle potenze centrali sconfitte, vide dissolversi completamente la propria struttura politica: nel 1922 cadde il sultanato, due anni dopo venne abolito anche il califfato, chiudendo definitivamente un'era durata secoli.

I vincitori, principalmente Londra e Parigi, si divisero i territori mediorientali dell'ex impero turco, creando una serie di protettorati e amministrazioni fiduciarie che avrebbero fortemente influenzato, nei decenni successivi, le attuali questioni mediorientali, complicandole non poco.

  • I piani segreti e la promessa di Balfour

Già durante il conflitto, nel 1916, Gran Bretagna e Francia avevano tracciato in segreto le proprie aree di influenza future attraverso l'intesa Sykes-Picot: ai francesi sarebbero andati i territori di Siria 

e Libano, agli inglesi le regioni mesopotamiche (l'attuale Iraq e Kuwait), la Transgiordania (l'attuale Giordania) e la Palestina storica.

L'Inghilterra comprendeva che l'era del dominio coloniale europeo in Medio Oriente aveva i giorni contati, ma la regione rimaneva strategicamente cruciale per diversi motivi: le riserve petrolifere, i traffici commerciali verso l'India e soprattutto per via della necessaria protezione della via d'acqua di Suez, quel canale artificiale scavato in territorio egiziano che permetteva alle navi britanniche di raggiungere l'Oceano Indiano senza circumnavigare l'Africa.

In quel contesto maturò la avventata e sfortunata (che tanto caos e ingiustizie avrebbe generato)  decisione di Lord Arthur Balfour, responsabile della diplomazia britannica, il quale il 2 novembre 1917 rese pubblica una dichiarazione destinata a cambiare la storia (con grave danno per il popolo palestinese). Alla presenza del sovrano Giorgio V e dei portavoce della comunità ebraica inglese infatti, Balfour annunciò:

"Sua Maestà il Re guarda con benevolenza l'istituzione in Palestina di una dimora nazionale per il popolo ebraico, e farà ogni sforzo per agevolare il conseguimento di tale obiettivo, restando inteso che non dovrà essere compiuto alcun atto che possa danneggiare i diritti civili e religiosi delle popolazioni non ebraiche residenti in Palestina, o i diritti e la condizione politica di cui godono gli ebrei in qualsiasi altro Paese."

Il linguaggio utilizzato in tale dichiarazione fu deliberatamente e volutamente ambiguo: si parlava di "dimora nazionale" (nell'originale "national home") senza mai menzionare esplicitamente la creazione di uno stato sovrano (infatti fu il presidente del Consiglio nazionale ebraico Ben Gurion, alla vigilia della scadenza del mandato britannico, il 14 maggio 1948, ad autoproclamare la fondazione dello Stato di Israele, cosa poi successivamente ratificata da una Risoluzione ONU, Risoluzione che prevedeva al contempo anche la nascita di uno Stato palestinese che però, ad oggi, non ha ancora visto la luce). Altrettanto significativo era il riferimento alle "popolazioni non ebraiche" senza mai nominarle come arabe, nonostante costituissero la stragrande maggioranza demografica del territorio.

Questo documento assume un significato particolare se consideriamo che, decenni dopo, la giustificazione ufficiale per la nascita di Israele sarebbe stata presentata come un atto di giustizia storica verso gli ebrei europei sopravvissuti all'Olocausto. Tuttavia, l'intenzione britannica di favorire l'insediamento ebraico in Palestina era già chiaramente definita nel 1917, quando il nazismo non esisteva ancora e la Prima Guerra Mondiale non era nemmeno terminata.

  • L'amministrazione britannica e le prime frizioni

Dopo il collasso dell'Impero ottomano, la Palestina passò sotto l'amministrazione britannica attraverso un mandato ufficializzato dalla Società delle Nazioni nel 1920. Questo regime di tutela internazionale doveva durare fino al 1948, con l'obiettivo teorico di preparare il territorio all'autogoverno.

Il problema è che man mano che l'immigrazione ebraica cresceva, si intensificavano ovviamente anche le tensioni con la popolazione araba locale, che da sempre abitava quelle terre. Il pensiero di alcuni leader del movimento sionista emergeva chiaramente dalle loro dichiarazioni private: nel 1937, David Ben Gurion, che sarebbe diventato il primo capo del governo israeliano, annotava: "La popolazione araba dovrà essere spostata altrove. Serve però il momento giusto per farlo. Forse in occasione di un conflitto."

Queste parole rivelano come l'idea del trasferimento forzato della popolazione palestinese fosse già presente nel progetto sionista, ben prima degli eventi del 1948; parole che riascoltate oggi fanno impressione e fanno venire i brividi, dato che è esattamente quel che sta accadendo oggi, nel 2025; la popolazione palestinese di Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est è soggetta tutta ad una pulizia etnica. I ministri dello Stato di Israele non nascondono le loro intenzioni, ne parlano chiaramente anzi quasi tutti i giorni: useranno, come stanno già usando, tutta la loro forza di carattere militare per spingere la popolazione palestinese a lasciare una volta per tutte e per sempre le loro terre, con la assoluta e totale complicità di USA e UE. In buona sostanza, dalla dichiarazione di Balfour in poi, il piano sionista di acquisizione delle terre palestinesi non si è mai fermato ma è proseguito costantemente e inesorabilmente, seppur a ondate, in taluni periodi un po’ sottotraccia come un fiume carsico, in altri in modo molto più evidente come oggi, dove addirittura viene utilizzata (oltre a tante altre forme di violenza) anche la fame – soprattutto di donne e bambini – come strumento di guerra contro una popolazione inerte.

  • Le organizzazioni armate e i metodi violenti

Continuando il racconto, va anche detto che durante il periodo del mandato britannico, operò in Palestina un gruppo sionista armato noto come Leḥi, ribattezzato dalle autorità inglesi "Banda Stern" dal nome del suo fondatore Avraham Stern. Si trattava di un'organizzazione che utilizzava metodi terroristici per raggiungere i propri obiettivi politici: cacciare gli inglesi dalla Palestina (ancora prima degli arabi) e creare quello che loro stessi definivano "un nuovo stato ebraico autoritario".

Il gruppo rivendicava apertamente la propria natura di organizzazione terroristica e mise a segno diversi attentati sanguinosi, tra cui la strage di Deir Yassin (compiuta insieme a un'altra formazione armata, l'Irgun) e l'omicidio di Lord Moyne, alto funzionario britannico in Medio Oriente.

Quando nel maggio 1948 venne proclamato lo Stato di Israele, il nuovo governo incorporò i membri della Leḥi nelle forze armate regolari, chiudendo formalmente l'organizzazione. Alcuni ex componenti continuarono tuttavia le loro attività violente, assassinando pochi mesi dopo il conte Folke Bernadotte, mediatore delle Nazioni Unite. Nel febbraio 1949, Israele concesse l'amnistia generale a tutti i membri dell'ex Banda Stern.

  • L'esperimento sovietico e la "Israele di Stalin"

In un curioso parallelismo storico, proprio mentre maturavano questi eventi in Medio Oriente, nel 1934 Stalin creò in territorio sovietico quella che potremmo definire la "prima Israele": l'Oblast 

Autonomo Ebraico di Birobidžan, situato in Estremo Oriente a ottomila chilometri da Mosca, lungo il confine cinese.

Questa regione amministrativa speciale nasceva come "patria socialista del popolo ebraico", concepita dal leader sovietico come alternativa al progetto sionista. Il territorio scelto era però tutt'altro che accogliente: una zona paludosa e infestata da zanzare, dalle condizioni climatiche proibitive.

L'esperimento di Stalin fallì completamente: oggi la popolazione ebraica dell'Oblast rappresenta meno dell'uno per cento dei circa centosessantamila abitanti. La capitale Birobidžan conserva ancora alcune testimonianze di quel periodo, con cartelli stradali in russo e yiddish e monumenti dedicati alla cultura ebraica, ma rimane sostanzialmente una curiosità storica piuttosto che una comunità ebraica vivente.

Paradossalmente, questa rimane l'unica entità amministrativa al mondo ufficialmente definita come ebraica oltre a Israele, anche se di fatto rappresenta il fallimento dell'utopia staliniana di una "terra promessa" alternativa.

  • La catastrofe del 1948: la "Nakba". 

Il culmine di questa lunga storia di tensioni e progetti politici si raggiunse nel 1948 con quello che i palestinesi chiamano Nakba, termine arabo che significa "catastrofe" o "disastro".

Con la proclamazione dello Stato di Israele infatti, centinaia di migliaia di palestinesi furono costretti ad abbandonare le proprie abitazioni e i propri villaggi, dando inizio a un esodo forzato che segna ancora oggi la questione mediorientale.

Questo evento rappresenta il punto di arrivo di un processo iniziato trent'anni prima con la Dichiarazione Balfour e maturato attraverso decenni di colonizzazione, violenze e manovre diplomatiche che avevano progressivamente minato l'equilibrio demografico e sociale della Palestina storica, ove era – ed è ancora in corso – una vera e propria sostituzione etnica mediante l'uso della forza: via gli arabi palestinesi per far spazio agli ebrei sionisti.

Di Eugenio Cardi

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