07 Giugno 2025
fonte: Imagoeconomia
Nello spazio di poche ore è degenerato tutto. Di fronte alle critiche misurate del presidente Trump, Elon Musk si è infuriato, non solo scagliandosi contro l’agenda economica della Casa Bianca, ma tirando fuori anche l’amicizia tra il Tycoon e Jeffrey Epstein, l’(ora deceduto) imprenditore condannato per abusi sessuali e traffico internazionale di minori.
“Elon ha perso la testa”, ha replicato il presidente, mentre i collaboratori lavoravano per ricucire almeno in parte lo strappo, pur di evitare una guerra che potrebbe danneggiare il Partito Repubblicano in modo profondo, dopo un periodo in cui sembrava che tutti remassero nella stessa direzione. La realtà, invece, è che l’alleanza tra la base MAGA e il mondo tech/imprenditoriale si è retta su un equilibrio molto delicato negli ultimi mesi. Appena sotto la superficie – e a volte anche sopra – erano evidenti i contrasti ideologici e politici, che ora rischiano di essere al centro del dibattito, costringendo i rappresentanti del partito a scegliere da quale parte stare.
Non che Elon Musk possa pensare di battere il Tycoon in termini di popolarità. Non c’è partita, in quanto il proprietario di Tesla e SpaceX ha visto diminuire la percentuale di americani che lo vedono in modo positivo da quando è entrato più direttamente in politica: nelle ultime settimane il suo tasso di gradimento si attestava tra il 30 e il 40%. Quello di Trump non è tanto maggiore, essendo al 45% in media, ma è probabile che ora la simpatia per Musk diminuisca ancora nel mondo repubblicano, visti gli attacchi al presidente.
Chi non ha mai avuto illusioni è Steve Bannon, tra le voci più influenti dei sostenitori convinti della visione MAGA. Da tempo accusa Musk di essere un globalista e un promotore del “tecno-feudalesimo”, con una filosofia che vuole piegare la vita umana alle nuove tecnologie. Nel mese di febbraio Trump aveva chiesto a Bannon di abbassare i toni, ma ora la tregua di fatto raggiunta in precedenza è solo un ricordo. Dal mondo MAGA si chiede perfino di esaminare il permesso di soggiorno dell’imprenditore – nato in Sudafrica – e avviare una procedura di espulsione in quanto potrebbe essere un “immigrato clandestino”.
In termini di sostanza politica, lo scontro principale si è visto sul fronte dell’economia. I tentativi del DOGE di tagliare un trilione di dollari di spesa pubblica non solo si sono rivelati irrealistici, ma hanno provocato caos dentro le istituzioni dello Stato e scontri con i responsabili di molti ministeri e agenzie. Al momento si cerca di riportare al lavoro molti dei dipendenti pubblici licenziati da Musk e dai suoi collaboratori, avendo messo in pericolo servizi importanti come l’approvazione dei farmaci e persino le previsioni meteo affidabili.
Inoltre Musk è contrario alla politica dei dazi: da una parte ammonisce di una recessione in arrivo, e dall’altra pensa ai suoi interessi economici personali, per esempio in Cina, dove ha appena aperto una seconda grande fabbrica, questa volta per produrre le batterie della Tesla. Sul punto delle relazioni con Pechino, Trump si era molto irritato con Musk, quando quest’ultimo ha cercato di inserirsi nelle trattative diplomatiche a maggio, come ha fatto anche nel tentativo di influenzare le scelte della Casa Bianca sui progetti in merito all’intelligenza artificiale. I conflitti d’interesse di Musk sono enormi, troppi perfino per un presidente che non si preoccupa troppo di nascondere la promozione del business della sua famiglia come beneficio accessorio alla sua posizione politica.
Se buona parte dei repubblicani non avrà dubbi su come schierarsi, per alcuni rappresentanti al Congresso lo scontro Trump-Musk rimarca comunque un problema concettuale importante: i conservatori puri, contrari all’aumento della spesa pubblica, fanno fatica a digerire il piano economico del presidente, che ignora la loro richiesta di ridurre il deficit attraverso tagli profondi a tutti i programmi governativi. Quindi per loro le parole di Musk, che definiscono il disegno di legge un “disgustoso abominio”, colpiscono nel segno. Si tratta di una minoranza dei membri repubblicani del Congresso, ma l’approvazione del pacchetto è già in alto mare, viste le maggioranze risicate alla Camera e al Senato, e le visioni divergenti tra le diverse fazioni del partito.
Le implicazioni dello scontro Trump-Musk vanno oltre il contrasto tra le due personalità, che potrà scaldarsi o raffreddarsi nelle prossime settimane: sottolineano anche il divario tra i populisti che vogliono usare lo Stato per promuovere la loro visione economica anti-liberista, e i conservatori che puntano a ridurre il ruolo pubblico in modo drastico, a prescindere dagli effetti immediati sulla popolazione.
di Andrew Spannaus
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