Mercoledì, 22 Ottobre 2025

Seguici su

"La libertà innanzi tutto e sopra tutto"
Benedetto Croce «Il Giornale d'Italia» (10 agosto 1943)

Il Green Deal che non si può permettere nessuno, il costo delle politiche ideologiche dell'Ue sulla classe media

Un blackout totalizzante. In Spagna. Nella patria del sole e dell’energia verde.

27 Maggio 2025

Il Green Deal che non si può permettere nessuno, il costo delle politiche ideologiche dell'Ue sulla classe media

Fonte: Pixabay

A fine aprile, quando un potente blackout fece spegnere la Spagna, c’è chi, nelle prime ricostruzioni, parlò di hacker russi.
Ma bastò poco per capire che il problema non veniva da Mosca: arrivava dal sole stesso.
Un dettaglio tecnico, di quelli che in pochi si prendono la briga di spiegare ai cittadini, e che invece riguarda da vicino la direzione che l’Europa ha scelto di dare alla propria strategia energetica.

L’incidente di quest’anno si è verificato durante il picco della produzione fotovoltaica, trasformandolo nell’innesco di un blackout sistemico. 
In gergo si chiama “assenza di inerzia elettromeccanica”: significa che gli impianti fotovoltaici, a differenza delle centrali tradizionali, non riescono a stabilizzare la rete quando avviene un’anomalia. Al contrario, si scollegano. E quando si scollegano tutti insieme, crollano decine di gigawatt in pochi secondi. La rete non regge. Oscillazioni, disconnessioni a cascata, e l’intero sistema crolla.

Questa premessa squisitamente tecnica è stata necessaria, perché adesso ci concentriamo sulla causa politica scatenante: gli obiettivi blindati e ciechi dell’Unione Europea.

Proprio negli ultimi anni, con una particolare accelerata nel periodo di transizione post Covid, Bruxelles con il pacchetto legislativo “Fit for 55” ha chiesto agli Stati membri di aumentare la quota di energia da rinnovabili al 42,5% entro il 2030, con un obiettivo indicativo del 45%, un traguardo molto più ambizioso rispetto al precedente 32%. Parallelamente, sono state introdotte forti limitazioni normative e disincentivi economici verso il gas e soprattutto verso il nucleare, che solo nel 2022 è stato parzialmente “riabilitato” come fonte transitoria nella Tassonomia verde europea, e non senza opposizioni.

E proprio in Spagna, Paese all’avanguardia nella produzione solare, la capacità fotovoltaica è passata da 17 GW nel 2020 a oltre 27 GW nel 2023, con un incremento del 60% della capacità fotovoltaica ottenuta in tre anni.

Sebbene, alla carta, queste premesse possano sembrare prive di insidie e, semmai, persino celebrative, occorre fare qualche passo indietro verso il pragmatismo.

Infatti, le infrastrutture di rete non sono state aggiornate in modo proporzionale, né sono stati realizzati investimenti significativi in sistemi di accumulo o reti intelligenti. Il risultato è che, nei momenti di massima produzione, la rete nazionale fatica a bilanciare l’eccesso di energia, generando squilibri di frequenza che possono innescare blackout come quello dello scorso aprile.

Questo accade quando, principalmente, più che alla strategia e all’innovazione strutturale si dà peso al marketing sottointeso, dove si possono sbandierare numeri e obiettivi dimenticandosi dell’arsenale necessario per far funzionare veramente le cose.

Produrre più energia non significa necessariamente garantirne la disponibilità. Questo è il grande paradosso delle rinnovabili: si possono generare quantità record di elettricità, ma non quando serve davvero. L’energia, per definizione, deve essere consumata nel momento stesso in cui viene prodotta, e per ora i sistemi di accumulo europei non sono all’altezza di questa sfida.

La capacità di stoccaggio attualmente operativa nei Paesi dell’Unione copre appena il 3–4% del fabbisogno giornaliero. In pratica, se le fonti rinnovabili si fermassero per un giorno — per condizioni meteo sfavorevoli o semplicemente per un calo di produzione — non avremmo riserve sufficienti nemmeno per poche ore.
Un sistema così dipendente da variabili naturali non può essere definito stabile.

Ed è proprio questa instabilità strutturale che ha reso critici gli eventi spagnoli: non è bastato avere il sole, né bastava avere gli impianti. È mancata la capacità di immagazzinare e gestire l’energia prodotta. È mancata, in altre parole, una rete moderna capace di governare il flusso energetico con flessibilità e tempestività.

In questo contesto, cade anche un altro luogo comune: quello delle rinnovabili come soluzione “gratuita” e alla portata di tutti.
Il sole e il vento, certo, non si pagano. Ma trasformarli in energia utile richiede infrastrutture costose, manutenzione, e una rete all’altezza. In media, il costo dell’energia prodotta da eolico onshore in Europa si aggira oggi attorno agli 85 euro per MWh, contro i 40–50 euro del gas naturale prima della crisi.
A questi si aggiungono costi nascosti: incentivi pubblici, oneri di sistema, investimenti mancati. Costi che, inevitabilmente, finiscono per ricadere sulle bollette dei cittadini.

E se c’è un dato che tutti i cittadini europei possono toccare con mano, è l’aumento vertiginoso delle bollette negli ultimi anni. Tra il 2021 e il 2023, le famiglie italiane e tedesche hanno visto lievitare in modo sensibile il costo dell’elettricità. In Germania la soglia dei 39 centesimi al kWh è stata ampiamente superata, mentre in Italia i livelli restano superiori a quelli registrati nel periodo pre-crisi. Un dato che racconta, più di tante dichiarazioni, il prezzo reale della transizione energetica sulle spalle dei consumatori.

Le politiche di transizione ecologica sono state presentate a tavola senza un piano di accompagnamento economico reale per i cittadini. L’abolizione degli incentivi su gas e carbone, le tasse ambientali e gli oneri di sistema imposti per finanziare gli investimenti nelle rinnovabili, hanno progressivamente gonfiato le bollette, scaricando i costi della trasformazione energetica sulla fascia media della popolazione.
Un modello regressivo, in cui chi ha meno paga di più per finanziare un sistema che ancora non funziona.

A rendere il quadro ancora più contraddittorio è l’ipocrisia che circonda la questione del gas russo, mai direttamente affrontata nei palazzi di Bruxelles. L’obiettivo dichiarato dell’Unione Europea, dopo l’invasione dell’Ucraina, era quello di spezzare la dipendenza energetica da Mosca. Tuttavia, secondo il think tank Bruegel, più del 20% del gas russo continua a entrare nei circuiti europei, semplicemente passando da intermediari — come la Turchia o la Cina — e attraverso triangolazioni sempre più complesse.
Il gas russo non è sparito: ha solo cambiato rotta.

La beffa? Ora lo paghiamo di più, perché acquistato da terzi che trattengono la loro parte.
Paghiamo per un gas che fingiamo di non usare, e lo facciamo due volte: come consumatori e come contribuenti.

Un altro fronte su cui la transizione verde mostra tutta la sua rigidità ideologica è quello immobiliare. La Francia, in questo senso, rappresenta un laboratorio politico perfetto per osservare le contraddizioni della linea europea.
Dal gennaio 2025 è infatti vietato affittare immobili in classe energetica G, e dal 2034 il divieto si estenderà anche alle case in classe E. In teoria, si tratta di misure pensate per incentivare l’efficientamento energetico del patrimonio edilizio. Nella pratica, però, si traducono in una vera e propria emergenza sociale silenziosa.

In Italia, una misura simile colpirebbe oltre 13 milioni di abitazioni, molte delle quali situate in centri storici, aree rurali e periferie dove ristrutturare è tecnicamente difficile, se non proibitivo. Il risultato? Immobili che non possono essere affittati, ma nemmeno venduti a un prezzo equo.

Sarebbe il caso di riconoscere che il metodo scelto è punitivo, classista e scollegato dalla realtà. Una transizione imposta, non accompagnata.

Il caso Francia è solo il più evidente tra i molti esempi di come, negli ultimi anni, la politica europea abbia scelto di trattare la transizione ecologica come una questione ideologica prima che tecnica o sociale. Le scelte in materia energetica, ambientale e infrastrutturale non vengono più presentate come opzioni strategiche da valutare caso per caso, ma come verità dogmatiche, da accettare senza discussione.

Questa visione manichea della sostenibilità — in cui tutto ciò che è “green” è buono per definizione, e tutto il resto è da scartare — sta producendo fratture crescenti tra istituzioni e cittadini, tra élite e territori.

Due blackout, milioni di case invendibili, costi scaricati sui cittadini. In Spagna, l’eccesso di sole ha spento la luce; in Francia, l’efficientamento energetico ha spento il mercato immobiliare. In entrambi i casi, il filo conduttore è lo stesso: l’affermazione di un Leviatano che, prima ancora che istituzionale, è ideologico. Una creatura distante, inafferrabile, sorda agli interessi concreti del cittadino medio.

E non va meglio con i governi nazionali, dove i leader, una volta all’opposizione, si dicono euroscettici, paladini del ceto medio, e promotori di un'Europa diversa. Poi, conquistato il potere, dimenticano ogni buona intenzione. Quando avrebbero finalmente l’occasione di contare, non si oppongono, non si espongono, ma sorridono compiacenti, in nome di un bene comune astratto: quello delle istituzioni.

Ma non basta. Non può bastare. Di fronte a certe pagine, servirebbe più coraggio. A volte i tecnicismi allontanano la comprensione di certi temi, eppure proprio tra questi cavilli che si annidano le conseguenze più concrete, quelle che, alla fine, toccano la vita “di fuori”.

Di Vanessa Combattelli

Il Giornale d'Italia è anche su Whatsapp. Clicca qui per iscriversi al canale e rimanere sempre aggiornati.

Commenti Scrivi e lascia un commento

Condividi le tue opinioni su Il Giornale d'Italia

Caratteri rimanenti: 400

Articoli Recenti

x