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Germania, le politiche dell'establishment hanno provocato il boom dell'AfD: non solo immigrazione ma anche l'economia

Non solo immigrazione: l'austerità e le politiche UE sono alla base del malcontento popolare

26 Febbraio 2025

Germania, le politiche dell'establishment hanno provocato il boom dell'AfD: non solo immigrazione ma anche l'economia

Alice Weidel, fonte: imagoeconomica

Il successo del partito Alternativa per la Germania (AfD) nelle elezioni politiche del 23 marzo scorso sta provocando grande preoccupazione per la crescita di sostegno a una formazione considerata di estrema destra. Nei media italiani, così come in altri Paesi, ci si concentra sulla linea molto dura dell'AfD rispetto all'immigrazione, e non si contano i riferimenti alla presunta affinità con il nazismo. Si parla molto meno degli altri motivi alla base della crescita del partito, legati al declino economico di alcune aree della Germania, guidato dalle politiche neoliberiste e dallo smantellamento dello stato sociale.

Il primo punto da sottolineare, per abbassare i toni isterici nei media, è l'errore di definirlo un partito apertamente neonazista. In Germania stessa non si usa questo termine, anche perché ci sono leggi molto chiare contro ogni espressione di nostalgia per il Terzo Reich. Nella "democrazia protetta" tedesca, casi del genere porterebbero rapidamente alla chiusura del partito attraverso una procedura che passa per il Parlamento e i tribunali.

Nessuno ha ancora tentato questa strada, ma vengono seguite due strategie più informali: quella della cortina di isolamento in politica, con il rifiuto degli altri partiti di lavorare insieme all'AfD, e poi il Kontaktschuld, o "peccato di contatto", che porta all'emarginazione sociale di chi ha rapporti con questa formazione di destra. Si rischia di non poter accedere al lavoro e nemmeno di poter affittare una casa. È uno dei motivi per cui oltre la metà dei tedeschi afferma di aver paura di esprimere le proprie opinioni politiche in pubblico.

In ogni caso, questo cordone sanitario ovviamente non sta funzionando come previsto. L'AfD è arrivato a oltre il 20 per cento delle preferenze, in linea con le previsioni dei sondaggi. Un'analisi meno superficiale indica che il partito è cresciuto in particolare nelle zone più disagiate del Paese, soprattutto nell'ex Germania dell'Est, ma anche altrove, grazie al deterioramento delle condizioni economiche nel periodo recente.

Negli ultimi vent'anni la Germania ha attuato una serie di riforme del mercato del lavoro e del welfare. La flessibilità è stata considerata necessaria per garantire la continua crescita economica, ma ha avuto effetti prevedibili: le disuguaglianze sociali sono aumentate a causa della politica dei salari bassi. Infatti, ora il coefficiente di Gini, che misura il disequilibrio della ricchezza nella società, è ben più alto in Germania (82%) rispetto alla Francia (70%) e all'Italia (67%).

Se a questo quadro generale si aggiungono le difficoltà delle regioni orientali, depredate economicamente dalle imprese dell'Ovest dopo la riunificazione e segnate da una perdita di popolazione dovuta alla fuga dei giovani professionisti, si comprende perché in quelle zone prevalga un pessimismo che crea terreno fertile per un partito di protesta.

In questo contesto, è facile per l'AfD addossare la colpa agli immigrati, visti come una minaccia al benessere dei cittadini tedeschi. È un messaggio che funziona in molti Paesi occidentali, facendo leva sull'insicurezza della popolazione di fronte alle proprie condizioni precarie. In realtà, ci sono diverse situazioni in cui l'immigrazione è utile, ad esempio per compensare il calo demografico nella Germania dell'Est o in alcune aree degli Stati Uniti, dove gli stranieri sono stati incoraggiati a trasferirsi per lavorare nelle fabbriche. Tuttavia, non è difficile capire come i tagli allo stato sociale e agli investimenti nei servizi pubblici possano alimentare un malcontento generale, facilmente strumentalizzabile.

Un altro punto importante da ricordare è che l'AfD, pur essendo nata in opposizione alle politiche economiche dell'Unione Europea, non è certamente anti-liberista. E' particolare, infatti, che la stessa Alice Weidel, leader del partito, ha affermato che una grande differenza tra loro e i nazisti è che questi ultimi erano favorevoli a tasse più alte e alla pianificazione centrale, mentre l'AfD tende verso il libertarianismo.

La sua opposizione originaria alle politiche di Bruxelles si concentrava sui piani per affrontare la crisi dell'euro tra il 2009 e il 2012, criticando i cosiddetti salvataggi per il Sud Europa. In realtà, quegli interventi aiutarono in primis le banche tedesche e francesi, che avevano investito nelle obbligazioni di stati come la Grecia, mentre ai Paesi beneficiari veniva imposta l'austerità.

La grande ironia è che l'AfD è nata proprio come reazione alle politiche ordoliberiste (l'imposizione di regole di libero mercato da parte delle strutture pubbliche) applicate in nome dell'Unione Europea, ma propone una politica di ancora minore intervento pubblico e di ulteriore deregolamentazione, che finirebbe per aggravare la situazione. È più comodo concentrare la critica al partito sul suo estremismo culturale piuttosto che ammettere che sono state proprio le politiche dell'establishment a favorirne il successo negli ultimi anni. Riconoscere questa realtà, infatti, obbligherebbe le istituzioni a rivedere la direzione fallimentare seguita fino a oggi.

di Andrew Spannaus

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