11 Gennaio 2025
Re Frederik X di Danimarca con la famiglia
Un risposta molto diplomatica, ma allo stesso tempo decisa, quella del nuovo Re di Danimarca Frederik X: dare molto più risalto al vessillo groenlandese sullo stemma reale dopo che il neo presidente Trump ha espresso il desiderio di “acquistare” l’isola. Il monarca ha deciso infatti di cambiare lo stemma della casa reale danese per la prima volta dal 1972 (anno in cui sua madre, la regina Margherita II, salì al trono). Nel XX secolo, erano stati effettuati cambiamenti solo in altre due occasioni: nel 1948, tre anni dopo la liberazione dall’occupazione tedesca, e nel 1903. Non si tratta di un evento frequente, anche se la casa reale ha spiegato in un comunicato che «il re desidera creare uno stemma reale contemporaneo che rispecchi il regno e tenga conto della storia e della tradizione araldica». Una risposta “diplomatica” alle richieste di Trump che vorrebbe comprarsi l’isola facente parte del regno di Danimarca. Per 500 anni, i precedenti stemmi reali danesi hanno raffigurato tre corone, simbolo dell’Unione di Kalmar tra Danimarca, Norvegia e Svezia, che fu guidata dalla Danimarca tra il 1397 e il 1523. Nella versione aggiornata le corone sono state rimosse e sostituite con un orso polare e un ariete più evidenti rispetto al passato, a simboleggiare rispettivamente la Groenlandia e le Isole Faroe.
Il cambio di stemma è stato istituito da un regio decreto datato 20 dicembre 2024, ma questa settimana ha assunto un significato maggiore dopo che il presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump ha ribadito con veemenza il suo desiderio di acquistare la Groenlandia dalla Danimarca per fare dell’isola un territorio statunitense, data la sua importanza geopolitica quale via più breve tra il Nord America e l’Europa (e, incidentalmente, per poterne sfruttare le numerose risorse naturali). Va ricordato che la Groenlandia è una nazione costitutiva del regno di Danimarca, dotata di un primo ministro, Múte Bourup Egede, come pure di aspirazioni indipendentiste: il cambio di stemma, pertanto, si può interpretare anche come una rivendicazione di politica interna. «Fatemelo ripetere: la Groenlandia appartiene al popolo groenlandese», ha sottolineato il primo ministro danese, «Il nostro futuro e la nostra lotta per l’indipendenza sono affari nostri. Mentre gli altri, compresi i danesi e gli statunitensi, hanno diritto ad avere la propria opinione, noi non dobbiamo lasciarci influenzare da isterismi e pressioni esterne che ci distraggono dal nostro cammino. Il futuro è nostro e siamo noi a dovergli dare forma. Ci impegniamo a esercitare i nostri diritti di individui e ad assolvere ai nostri doveri con saggezza e responsabilità. Lavoriamo ogni giorno per raggiungere la nostra indipendenza». Non si tratta di una rivendicazione nuova per Trump, visto che l’aveva già espressa durante il suo primo mandato, nell’agosto 2019 (la risposta della prima ministra danese, Mette Frederiksen, era stata perentoria: «La Groenlandia non è in vendita») ed era tornato a parlarne durante l’ultima campagna elettorale; ora però, quando mancano pochi giorni al giuramento e mentre Trump riceve critiche dall’interno del suo stesso partito per il suo sostegno alla richiesta di Elon Musk di concedere permessi di lavoro (visti H-1B) a migliaia di lavoratori qualificati provenienti da altri paesi, ne sta facendo uno dei suoi argomenti di punta, così come il Canale di Panama, che dovrebbe essere controllato dagli USA.
Intanto il leader della Groenlandia Mute Egede è volato dal Re danese. Sullo sfondo le elezioni di aprile, con un possibile referendum indipendentista su cui conta Trump, anche se il segretario di Stato Antony Blinken ha escluso una futura annessione. Da registrare invece, nel coro di critiche, la posizione del governo britannico laburista di Keir Starmer, che non intende prendere le distanze dal grande alleato americano, almeno apertamente, nemmeno sulle dichiarazioni del presidente eletto Donald Trump relative alle asserite pretese di annessione della Groenlandia o del Canale di Panama. Lo ha detto a Sky News il ministro degli Esteri, David Lammy, in anni passati assai polemico contro Trump quando il Labour era all’opposizione, rifiutandosi di condannare oggi queste affermazioni durante un’intervista a Sky News Uk. “Non è mio compito condannare il nostro alleato più stretto”, ha tagliato corto Lammy, incalzato insistentemente sull’argomento. Lo stesso capo del Foreign Office, in una parallela intervista alla Bbc si è peraltro detto convinto che le ipotesi di annessione evocate da Trump alla fine “non si produrranno”. Ma perché l’isola è così ambita? Il motivo riguarda il suo suolo e sottosuolo, ricchi di metalli rari. Si tratta di materie prime cosiddette “critiche”, da cui dipendono la realizzazione di componenti tecnologiche fondamentali nell’economia odierna, come i microchip. In questa produzione, la Cina detiene una sorta di monopolio, che però rischia di essere messo in crisi dalla rivalità del suo principale competitor, gli Stati Uniti appunto. Tuttavia, come ha scritto il New York Times, “nessuno pensa che le riserve della Groenlandia siano grandi abbastanza da renderla l’Arabia Saudita del nickel o del titanio”. In Groenlandia c’è anche una gigantesca riserva di uranio, che si ritiene sia la quinta più grande al mondo. I suoi abitanti, per la quasi totalità di etnia Inuit, dediti ad attività all’aperto, alla caccia e alla pesca, sono molto attenti alla preservazione del territorio e a impedirne uno sfruttamento massivo. Come si ricordava prima, la Groenlandia è scarsamente popolata: ha poche decine di migliaia di abitanti, quasi tutti concentrati nella capitale Nuuk, a fronte di un’estensione territoriale immensa. Ha una rete stradale poco sviluppata e i collegamenti aerei internazionali sono stati avviati solo di recente.
Il Giornale d'Italia è anche su Whatsapp. Clicca qui per iscriversi al canale e rimanere sempre aggiornati.
Articoli Recenti
Testata giornalistica registrata - Direttore responsabile Luca Greco - Reg. Trib. di Milano n°40 del 14/05/2020 - © 2025 - Il Giornale d'Italia