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Benedetto Croce «Il Giornale d'Italia» (10 agosto 1943)

Il Congresso USA si accorda sul bilancio all'ultimo, ma i conservatori si sono già ribellati a Trump

Evitato lo shutdown, nei prossimi mesi si vedrà se il nuovo presidente avrà la forza di imporre la propria linea dentro il partito repubblicano

22 Dicembre 2024

Quando sono arrivato a Washington, mancavano poche ore alla scadenza per approvare il bilancio dello Stato per il prossimo anno. Era già nell'aria lo shutdown, cioè la chiusura forzata di una grande fetta delle funzioni del governo federale, che blocca servizi importanti per il pubblico e stipendi essenziali per quasi un milione di dipendenti. Alla fine, il Congresso ci ha messo una pezza: un accordo per finanziare le operazioni per i prossimi tre mesi, per poi riaprire i negoziati quando sarà iniziata la nuova legislatura.

Non è la prima volta che si rimandano le questioni difficili di pochi mesi a causa dello stallo tra le parti, ma il modo in cui è avvenuto lo scontro in questi giorni è rivelatore. Infatti, si è trattato di una guerra tutta interna al partito repubblicano, con il presidente della Camera, Mike Johnson, di nuovo nella posizione impossibile di dover coniugare le necessità pratiche di governo con le istanze massimaliste degli iperconservatori che vogliono fermare a tutti i costi l'aumento della spesa pubblica.

E in mezzo si è messo Donald Trump, che, trascinato da Elon Musk, ha silurato il primo accordo raggiunto tra Johnson e i democratici, che avrebbe aggirato l'opposizione degli oltranzisti. Saputo dell'intesa per continuare i livelli attuali di spesa con l'aggiunta di 100 miliardi di dollari di aiuti per le vittime dei disastri naturali e di 10 miliardi per gli agricoltori, il proprietario di Tesla e X ha passato la giornata di martedì a scagliarsi contro la proposta di legge, spingendo il tycoon a minacciare i repubblicani affinché non la sostenessero più.

A quel punto, però, il presidente eletto ha tentato una mossa ardita: ha chiesto al Congresso di aggiungere all'atto legislativo l'aumento del tetto del debito, una manovra formale necessaria per permettere allo Stato di continuare a emettere obbligazioni per finanziare le proprie operazioni. Lo ha fatto per intestare l'aumento del debito all'amministrazione Biden ancora in carica, piuttosto che dover gestire lui la questione spinosa una volta entrato alla Casa Bianca.

Gli iperconservatori si sono ribellati subito. Contrari a qualsiasi aumento e decisi a utilizzare questo limite formale come strumento per costringere il Congresso a ridurre la spesa pubblica, 38 deputati hanno votato contro la proposta di Trump, silurandola e facendo avvicinare la possibilità di raggiungere la scadenza senza un accordo.

Alla fine si è trovata la quadra, con un voto bipartisan in cui sono stati decisivi i democratici, ma senza andare incontro alle richieste del tycoon. Il risultato è che il "capitale politico" di Trump, ovvero l'influenza che può esercitare sul suo partito, ha subito un altro colpo. Non bastano le sue parole per mettere in riga i deputati repubblicani, e quindi si troverà in una situazione meno forte del previsto quando sarà lui a condurre le danze dopo il 20 gennaio.

Tra l'altro, non è il primo passo falso di Trump, che già poche settimane fa aveva avanzato l'idea di bypassare il Senato per la conferma delle sue scelte per il nuovo gabinetto. Ha parlato di mandare i senatori in pausa forzata per evitare le audizioni, che potrebbero risultare dannose per alcuni dei personaggi controversi che ha indicato per la sua squadra. I senatori hanno fatto capire subito che non ci stanno, e oltre a Matt Gaetz, che ha dovuto rinunciare alla nomina a Ministro della Giustizia, ci sono altri nomi ora a rischio.

Il banco di prova potrebbe essere Pete Hegseth, indicato per il Pentagono. Trump ha deciso di insistere su di lui nonostante i suoi problemi di alcol e accuse di abusi sessuali, per non parlare della mancanza di esperienza per il ruolo. Hegseth rimane in partita, ma basterebbero quattro senatori repubblicani per silurarlo, mettendo il nuovo presidente in una posizione di evidente debolezza.

È sull'economia, però, che si giocherà la partita più importante. Trump si trova stretto tra le sue promesse di aiutare la popolazione, continuando gli investimenti pubblici ed evitando i tagli allo stato sociale, e l'ampia schiera di repubblicani che rimangono attaccati alla visione liberista/libertaria, chiedendo una riduzione significativa della spesa pubblica. Navigare questa contraddizione non sarà facile, soprattutto se al Congresso il suo partito non teme più le pressioni che lui cercherà di esercitare.

di Andrew Spannaus

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