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L’Italia presente in forze a Baku per la COP 29

IDG ha intervistato in esclusiva, nella seconda giornata della COP 29 a Baku, il Presidente della Commissione Ambiente della Camera dei Deputati, l’On. Mauro Rotelli (FDI).

12 Novembre 2024

L’Italia presente in forze a Baku per la COP 29

Si attende domani mattina in plenaria l’intervento della Premier Giorgia Meloni, mentre il Ministro per l’ambiente Pichetto Frattin dovrebbe arrivare la prossima settimana. 

D:Da queste prime battute, secondo Lei, come quali risultati emergeranno in questa COP 29? 

R: Intanto è una COP interessante, ma sembra un po’ anche una COP di transizione nel senso che c’è grande attesa per quella amazzonica di Belem il prossimo anno in Brasile. Questa è una COP che sembra più finanziaria-economica che non di azione, non che la parte finanziaria-economica sia come possiamo immaginare di poca importanza. Alla fine la domanda delle domande, che è “Chi paga?” è un elemento fondamentale. Non ci sono soltanto degli obiettivi sfidanti importanti, ma c’è anche la necessita di capire come possono essere equilibrati i vari vasi comunicanti che riguardano i paesi evoluti, in via di sviluppo, il quarto mondo…c’è una partita di negoziazione che adesso non possiamo anticipare, anche perché mancano ancora 10 giorni al termine della COP stessa. Sappiamo che è un percorso molto accidentato nel quale i conflitti internazionali decisamente non favoriscono una amalgama delle posizioni, per me l’Europa in generale e l’Italia in particolare, può essere leader nel trasmettere delle buone pratiche. I risultati che si stanno raggiungendo, per esempio la riduzione di emissioni di CO2 particolarmente importanti nel nostro paese: la settimana scorsa c’è stata Ecomondo, la manifestazione fieristica più importante dell’economia circolare a Rimini, durante la quale nella relazione introduttiva la piattaforma sulla green economy nazionale ha fissato che nel 2023 abbiamo battuto del 6% le emissioni di CO2 come sistema paese; andando avanti di questo livello i risultati che sembrano impossibili da raggiungere sono risultati che possono essere alla portata - è chiaro che questo non può desertificare l’aspetto di carattere lavorativo ed economico nazionale, la sfida grossa è proprio quella: ti prefiggi degli obiettivi straordinariamente importanti ma poi devi fare anche conto sull’aspetto economico lavorativo nazionale che non è di secondaria importanza, altrimenti poi la transizione non la capisce nessuno, e invece devi cercare di fare in modo che possa essere condivisa come percorso. Domani siamo in attesa dell’arrivo della presidenza del consiglio che interverrà domattina in plenario, pensiamo che pure quello possa essere un momento importante di contenuti per dare poi slancio alla parte finale delle trattative. Sappiamo che l’Italia, attraverso i suoi delegati, ha una serie di ruoli che nelle altre COP non ci sono stati, quindi seguiamo quello che sarà lo sviluppo della COP stessa da oggi al 22.

D: Paura per l’arrivo di Trump? 

R: Io penso che dopo le elezioni americane siamo stati abituati, prima nello studio e nella critica rispetto alla campagna elettorale, al raggiungimento dei risultati…ogni volta c’era qualcosa che ci veniva raccontato molto diverso da quello che era veramente successo. Io penso che questa amministrazione che entra in piena forza a gennaio del prossimo anno, debba essere poco commentata da quello che farà a pochi giorni dal voto. Non so se ci sia timore, sicuramente curiosità, anche perché non è così semplificabile quello che vediamo, sappiamo che vicino a Trump c’è uno dei più grandi imprenditori dell’auto elettrica mondiale, di conseguenza ci saranno tutta una serie di questioni che verranno svelate già dalla formazione della squadra, che ancora non conosciamo. 

D: Non le pare strano che tanti big europei manchino? Non c’è Macron, non c’è Scholz… 

R: Forse è proprio per quello che, come dicevo prima, la percezione è che questa sia una COP di passaggio. Non che la parte economica sia poco importante, però per Belem in Brasile era già noto da molto tempo che il COP30 sarebbe stato fatto la, questa è stata decisa di fatto pochi mesi fa come logistica e tutto il resto. Dopo quella di Dubai, la si vede come una COP di passaggio. Ora non voglio dire che manca di importanza, perché questi appuntamenti non lo sono mai, anche noi come sistema paese stiamo facendo tante cose in questi giorni. La questione centrale di questa COP, però, sono i finanziamenti: che tipo, a fondo perduto o prestiti, come vengono incamerati dai singoli stati…ci sono tante questioni importanti che non so se si riusciranno a chiudere tutte in questa sessione di lavoro. 

D: L’Africa chiede molto. Secondo lei siamo pronti a dare oppure non ancora? 

R: Da questo punto di vista riusciamo a presentarci con un piano ben definito: il piano Mattei, che ha scatenato una partecipazione (dell’impresa italiana e di tutte le aziende di stato) molto importante nel continente Africano. Se in questo momento ti dovessi dire chi è che vuole investire tanto nel continente, noi abbiamo una piattaforma molto interessante e studiata da altre nazioni. Certo è che dobbiamo avere la certezza di dove vadano a finire questi finanziamenti, perché non tutti i bilanci delle nazioni siano trasparenti come quelli europei, o come il nostro. La nostra legge di bilancio ha delle caratteristiche, non possiamo pretendere di avere le stesse caratteristiche di trasparenza e sicurezza. In un momento come questo, evitare di finanziare armi in qualche stato che si vuole aiutare e finanziare dal punto di vista dello sviluppo, sarebbe il colmo. C’è bisogno di monitorare bene: alcuni stati sono a disposizione, altri sono un po’ restii. 

D: Quale ruolo potranno avere Cina e india in questa COP? 

R: Loro che sono dei grandi paesi in via di sviluppo o addirittura definitivamente sviluppati, quante intenzioni hanno di aiutare, a questo punto, il terzo e quarto mondo. Sono nella posizione dell’Europa? Quest’ultima per me deve fare da apripista, deve dimostrarsi continente che si pone degli obiettivi (anche per via delle risorse) molto forti, non risolutivi, ma che comunque sia vanno raggiunti. Nessuno ha intenzione di cancellare degli obiettivi che si stanno sviluppando bene dal punto di vista economico: basti pensare al riciclo dei rifiuti, per cui siamo in testa al mondo. Bisogna capire se queste altre potenze economiche, con regimi di gestione della nazione diversi dal nostro democratico, abbiano intenzione di fare questa prosecuzione. Le trattative e i negoziati servono esattamente a questo fine. Mi permetto di dire che la COP è iniziata ieri, è ancora presto per saperlo. 

D: Quale ruolo possono avere ancore i biocarburanti in questo contesto? 

R: Dopo Dubai siamo in Azerbaijan, secondo paese con esportazione massiva di petrolio e gas naturale di cui siamo clienti importanti, credo intorno ai 13/14 miliardi di euro l’anno. Siamo al secondo paese che ospita una COP che basa la sua economia quasi esclusivamente nell’esportazione di combustibili fossili.Faccio un piccolo esempio: stiamo uscendo dal carbone in maniera assolutamente convinta, c’è un face out a livello nazionale. Ci sono degli impianti in Italia che andavano a carbone, Civitavecchia a breve, nel 2025 vedrà il face out (non si sa se totale al 90% ma l’intenzione è chiudere). Il passaggio successivo delle centinaia di persone che lavorano in maniere dirette e indirette in quella struttura, qual è? Lo splendido e poco impattante eolico off e on shore, oppure un altro tipo di percorso che riguarda rinnovabili e non solo? La realtà ti fa scontrare con una serie di esigenze che magari da un punto di vista pratico disegni, ma che poi nella realtà non si vanno a concretizzare. C’è un percorso che ci porta a distanziarci e a scostarci definitivamente dai fossili, ma in questa fase siamo ancora dipendenti, e noi come sistema Italia stiamo ancora producendo il 40% dell’energia elettrica da energie rinnovabili. Stiamo correndo. Se chiedessimo a tutto il mondo presente qui dentro di spegnere tutto domani, sarebbe veramente difficile, ci vorrebbe un accompagnamento. Forse, anche il fatto di aver scelto questi due stati può aiutare, perché sono economie che devono rendersi conto della necessità di cambiare, di fare un mix energetico, non soltanto gas e petrolio. 

D: Essendo dello stesso partito della presidente del consiglio. Com’è Giorgia Meloni nell’occuparsi dell’ambiente? 

R: La sentiremo domani dal vivo. Ambientalismo e difesa dell’ambiente sono nel DNA della destra italiana per tutta una serie di motivi. Io penso che l’approccio di Giorgia Meloni sarà molto pragmatico, zero ideologico, che cerchi da una parte di portare avanti il raggiungimento degli obiettivi, con la mitigazione (ovvero abbassare le emissioni di CO2), e dall’altra fare adattamento ai cambiamenti climatici: difendersi e strutturarsi per evitare che ci siano inondazioni, alluvioni, per fare in modo che la siccità non sia più un problema in alcune zone d’Italia c’è sempre bisogno di trovare risorse da questo punto di vista. Noi abbiamo già un programma per l’estero che è quello del piano Mattei, abbiamo anche la necessità di essere molto concreti a livello nazionale. Non solo per questo è stato nominato un commissario nazionale alla siccità che è Nicola Dell’Acqua. Tutta una serie di strutture sta lavorando per un’infrastruttura che è quella idrica, ad esempio, un elemento molto importante che ha messo al centro il governo (per rispondere a com’è l’attività della Meloni), che da decenni non avevamo più al centro dell’agenda perché molto probabilmente abbiamo sempre avuto abbondanza di questa risorsa, che invece abbiamo visto non è così scontata (per agricoltura, usi civili, usi industriali, turistici…). L’approccio tenuto per affrontare le questioni collegate siccità-alluvioni, sarà lo stesso in generale per arrivare a determinati obiettivi. Per l’Italia è importante, nel raggiungimento di questi obiettivi, mantenere una neutralità tecnologica: diteci quali sono ma non per forza come dobbiamo raggiungerli, lasciate che sia il sistema italiano a trovare la modalità con cui raggiungerli. Se una persona si professa o si dichiara patriota, non può pensare di buttare materie prime sapendo che la materia che ricicliamo diventa la vera e propria materia prima. 

D: Cosa abbiamo imparato dalla tragedia di Valencia? 

R: Il 9 novembre di due anni fa è stata votata la nuova commissione ambiente. In questi 2 anni purtroppo la commissione è stata interessata da iniziative di carattere legislativo, da decreti spesso e volentieri anche di urgenza, su questioni non paragonabili a Valencia, ma purtroppo particolarmente simili. Il nostro primo atto parlamentare in commissione è stato un decreto su Ischia, interessata da due alluvioni e un terremoto. La questione del dissesto idrogeologico ha messo a disposizione delle regioni, che fanno l’elenco delle priorità, un miliardo e 100 milioni di euro. Non sono sufficienti, ma non sono poca cosa. Dopo queste calamità, in Emilia, Marche, Sicilia, Liguria, Veneto…abbiamo una casistica che ci sta chiedendo di intervenire dove c’è più impatto. La tragedia di Valencia ha insegnato che: la città capitale europea del verde del 2024 è stata travolta da questo disastro naturale. La lotta quindi deve essere globale a questi cambiamenti, non basta essere il comune più green d’Europa se poi non hai un sistema che ti aiuta. Il riscaldamento delle acque è un fenomeno molto pericoloso, da attenzionare, il Mediterraneo in maniera particolare. La lista delle priorità può essere fatta esclusivamente dagli enti territoriali che devono collaborare con il governo a dire quali sono le emergenze e devono spendere nel minor tempo possibile, al meglio possibile, le risorse (poche o tante) che vengono messe sul piatto.

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