29 Settembre 2024
Kamala Harris, fonte: imagoeconomica
Mancava qualcosa nelle proposte politiche di Kamala Harris. Nei primi due mesi della sua campagna elettorale aveva promesso di aumentare gli aiuti pubblici alle famiglie con bambini e di impegnarsi per ridurre il costo dei farmaci. Tuttavia, la vicepresidente non aveva ancora affrontato il tema più profondo della direzione dell'economia americana: se avrebbe continuato con la svolta anti-globalizzazione e anti-liberista del presidente in carica, Joe Biden.
Infatti, mentre gran parte del dibattito economico si concentra sui prezzi alti di alimentari e abitazioni, la realtà è che negli ultimi anni a Washington c'è stato un cambiamento enorme. L'era del libero mercato e della delocalizzazione delle fabbriche alla ricerca di costi più bassi è finita. La strada per combattere le disuguaglianze è ancora lunga, ma non si nasconde il ritorno dello Stato, la volontà delle istituzioni di governo di intervenire in modo deciso per garantire la ricostruzione della base industriale del Paese, e al contempo un miglioramento delle condizioni di vita della classe lavoratrice.
Donald Trump aveva inaugurato questa nuova fase con la guerra dei dazi, volta a ridurre le importazioni dalla Cina, in particolare, e a incentivare gli investimenti interni agli Stati Uniti. È stato uno strumento rozzo, che non ha funzionato al meglio, poiché mancavano sia la capacità industriale che i lavoratori qualificati necessari per una rapida ripresa della produzione americana. Ma Trump ha avuto il merito di rompere il vecchio modello liberista, aprendo la strada a forme di intervento pubblico che non si vedevano da molti decenni.
Joe Biden ha mantenuto alcune delle protezioni istituite da Trump e ha lanciato una serie di programmi per incoraggiare la costruzione di nuove fabbriche, soprattutto nei settori tecnologici come quello dei microprocessori, oltre a promuovere ricerche scientifiche che potrebbero guidare un più ampio processo di avanzamento economico. Ha inoltre abbracciato l'importanza di combattere la precarietà attraverso una serie di misure a favore dei lavoratori.
Ora Kamala Harris si è finalmente pronunciata sulla parte strutturale, ovvero il cambiamento verso una nuova politica industriale da parte dello Stato americano. Promette di utilizzare le istituzioni pubbliche per sostenere la manifattura interna. Non si limita ai microchip, ma parla di biotecnologie, aerospazio e anche ferro e acciaio. La candidata democratica ha perfino citato i grandi presidenti del passato – da Abramo Lincoln a Dwight Eisenhower a John F. Kennedy – per ricordare l'enorme impatto degli investimenti pubblici nella storia del Paese.
L'importanza a breve termine di questa mossa è di allargare l'appello agli elettori degli stati post-industriali del Midwest, essenziali per la vittoria di entrambi i candidati. Il significato più ampio è consolidare la nuova direzione post-globale dell'America. In alcuni campi, Harris promette di spingersi anche oltre Biden, ampliando l'attenzione verso le comunità agricole e rurali, per esempio.
Gli economisti e i repubblicani tradizionali sono poco entusiasti di questa svolta, ma ormai è evidente che, tra Trump e Harris, il liberismo non tornerà a breve. Questo approccio risponde non solo ai problemi reali degli elettori, ma serve anche a evitare di restare indietro nella sfida geoeconomica e geopolitica con il nuovo grande rivale: la Cina.
Di Andrew Spannaus.
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