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Benedetto Croce «Il Giornale d'Italia» (10 agosto 1943)

Arrestati gli studenti pro-Palestina alla Columbia University, nel nome di combattere l’antisemitismo torna il rischio di censura

Per alcuni politici criticare Israele per la guerra a Gaza non rientra nella liberà d’espressione

20 Aprile 2024

Nel settembre del 2023 esplosero le polemiche sulle proteste anti-Israele in alcune delle più importanti università americane. Le presidenti di Harvard, University of Pennsylvania e MIT furono portate davanti al Congresso e sottoposte a domande aggressive con uno scopo preciso: definire le critiche ad Israele come l’equivalente di un appello al genocidio contro gli ebrei, senza considerarne i meriti.

In quell’occasione le tre presidenti inciamparono sulle risposte, e due su tre furono costrette a dimettersi entro poche settimane. Volendo evitare la stessa sorte, Minouche Shafik, presidente della Columbia University, ha deciso di adottare un approccio diverso la scorsa settimana: piuttosto che spiegare la differenza tra le opinioni politiche legittime e l’aggressione verbale contro individui specifici, Shafik ha dichiarato davanti alla Commissione Istruzione della Camera dei Deputati che non avrebbe esitato a punire che esprime opinioni forti, per esempio a favore dell’Intifada dei palestinesi.

I deputati repubblicani non erano soddisfatti, chiedendo azioni più incisive per sanzionare docenti e studenti accusati di un atteggiamento pregiudizievole contro gli ebrei. Pochi giorni dopo, Shafik ha dimostrato di aver recepito il messaggio: ha chiamato la polizia della città di New York ad arrestare un centinaio di studenti che occupavano il prato con striscioni protestando contro la guerra a Gaza.

La presidente ha giustificato la sua mossa definendo l’occupazione “un pericolo imminente e attuale”, anche se è difficile pensare che il prato sia un luogo proprio sensibile. Inoltre, il capo della polizia ha dichiarato che gli studenti si comportavano in modo pacifico, senza alcuna indicazione di violenza o infortuni.

Le autorità hanno certamente il diritto e anche il dovere di far rispettare le regole all’interno del campus universitario, ma in questo caso la dinamica politica è chiara: i sostenitori d’Israele vogliono bloccare le critiche all’intervento militare a Gaza, e per farlo utilizzano l’arma dell’accusa di antisemitismo. Il problema è che così si calpesta la libertà d’espressione.

La garanzia di poter esprimere le proprie opinioni non può essere limitata alle idee che piacciono alle autorità governative. Negli Stati Uniti, in particolare, il diritto di fare affermazioni anche forti e offensive è ampio, purché non vengano indirizzate a persone specifiche, diventando una minaccia per altri.

Dunque, dichiararsi a favore dell’Intifada contro Israele è un’opinione legittima, come lo è la posizione contraria, per esempio, appoggiare l’operazione israeliana di radere a suolo alcune parti dei territori. Un altro esempio è quello che avviene in merito all’Ucraina: ci sono dei senatori americani che affermano la necessità di uccidere il numero più alto di russi possibile, ovviamente senza temere di essere accusati di genocidio.

Nelle università, in particolare, è essenziale permettere un dibattito anche sulle idee più controverse. È certamente scomodo in alcuni momenti, ma ci costringe a fare i conti con idee diverse e spinge la società a cercare una sintesi che prenda in considerazione posizioni contrarie a quelle che prevalgono nelle istituzioni in un dato momento.

di Andrew Spannaus

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