09 Aprile 2024
KHAN YUNIS – È una città morta, una città post-apocalittica, Khan Yunis. Esistono tre strade che portano fin qui da Rafah, ovvero da quel confine con l’Egitto in cui Israele ci ha obbligati a rifugiarci tutti negli ultimi mesi fino alla prima grande città che si incontra risalendo, in quel Sud di Gaza che l’esercito israeliano ha improvvisamente abbandonato domenica. E tutte e tre queste strade sono irriconoscibili, ingombre di macerie e polvere.
Migliaia di palestinesi hanno percorso negli scorsi due giorni queste strade con il cuore gonfio di attesa e di speranza, per andare a vedere che cosa fosse rimasto di Khan Yunis e delle proprie case, nella parte di Striscia finalmente lasciata dall’Idf. Per oltre quattro mesi, dopo l’evacuazione, qui non è potuto entrare nessuno. E ora per tutti la reazione è stata la stessa: lo shock che si prova davanti a qualcosa che non sai più riconoscere. Lì doveva esserci una strada. Lì una schiera di belle villette della borghesia di Khan Yunis. Lì ci si ricordava una piazza o un parcheggio. E invece niente. Solo macerie e polvere.
Gli automobilisti fanno lo slalom tra i crateri provocati dai bombardamenti israeliani e cercano così di non distruggere quello che è uno degli ultimi beni loro rimasti. Tanti edifici sono bruciati e inceneriti, mentre qualcuno è ancora in piedi. Per le strade sono rimasti alcuni veicoli militari israeliani, abbandonati perché danneggiati. Negli appartamenti i resti dei pasti dei soldati, qualche libro in ebraico, alcuni segni lasciati all’esterno dai cecchini per segnalare ai commilitoni la propria presenza.
Quel che più conta è però che nessuno può pensare di tornare a viverci in un futuro prossimo. A Khan Yunis non c’è acqua e non c’è cibo, non ci sono strade, mercati, ospedali o scuole. Gli unici che si avventurano fin qui sono due tipi di persone. Ci sono gli ex abitanti, anche feriti o sulla sedia a rotelle, che si aggirano cercando di respirare il meno possibile l’aria piena di polvere. Sono venuti a cercare tra le macerie qualche vestito o qualche ricordo: cose che riporteranno a Rafah nelle tende in cui continueranno a vivere chissà quanto a lungo.
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Gaza, gli abitanti di Khan Yunis tornano a vedere le case dopo l'annuncio del ritiro israeliano dal Sud.
E poi ci sono gli sciacalli. Anche loro rovistano tra le macerie o negli appartamenti in cerca di oggetti, ma sono tutte cose non loro. Le caricano sui loro carretti, trascinati da asini o motociclette e le esporranno per strada domani a Rafah, che siano posate o televisori. Di cadaveri se ne vedono pochi. O sono sotto le macerie o sono stati portati via, come quella ventina di corpi che giacevano ai lati delle strade e che i soccorritori hanno subito segnalato all’Unrwa, anche per ragioni sanitarie e per cercare di dare un nome a quelle persone, che appartengono agli oltre 10mila scomparsi di Gaza.
Sulle macerie camminano anche tanti bambini. Davanti a un palazzo c’è Dima Quwaider, 12 anni. È triste e non parla. È tornata a vedere la casa in cui è cresciuta, nella parte orientale di Khan Yunis, e ha trovato solo rovine. Dima ora vive con le due zie – le sorelle della madre, che l’hanno accompagnata fin qui – e la cosa non le piace affatto, perché le mancano i genitori, che ha perso entrambi in questa guerra: la madre è morta per una bomba che ha colpito la casa, e il padre a Deir al Balah, la città dove erano stati evacuati. Ti aspetteresti che una bambina affossata da tali recenti tragedie non possa essere toccata dalla vista di una casa distrutta, ma la casa era la sua, lì c’era la sua stanza, lì viveva con i suoi genitori, e così quelle mura bombardate sono nuovo motivo di dolore e disperazione. Ha trovato appena qualche vestito e qualche utensile in cucina e li riporterà in tenda, dove tornerà in serata con le zie.
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Sopra un tetto di una casa semi-distrutta c’è Zakaria. È un bel ragazzo che vive da mesi in una tenda a Rafah ed è disperato nel vedere cosa è rimasto della sua casa. È tra quelli che se ne tornerà a mani vuote, perché, con sua grande delusione, nulla di utile si è salvato tra le macerie. Ma l’odio che gli esce dalla bocca non è solo per Israele: «Hamas deve morire», dice.
È difficile dire se in giro per Khan Yunis ci siano anche militanti di Hamas. Ma probabilmente non ci sono. Hanno troppa paura di essere intercettati dall’alto dall’esercito israeliano e di essere uccisi. Perché l’Idf si è ritirato dal Sud di Gaza, ma le sue operazioni continuano dall’alto, con elicotteri, aerei e missili. Anche nella notte Khan Yunis è stata bombardata, mentre ero qui.
La guerra va avanti e un razzo è stato lanciato anche da miliziani palestinesi, proprio da questa città, provocando l’allarme nei villaggi israeliani oltre il confine, verso Re’im. La notizia ha lasciato stupiti e frustrati i palestinesi. Dopo tutta questa distruzione, dopo tutte le migliaia di morti, Hamas e la Jihad Islamica dovrebbero solo farsi da parte e lasciare spazio all’Anp o comunque a un governo senza miliziani. Non possono avere un futuro nel governo, perché hanno dimostrato di non avere un piano per la popolazione e di non sentirsi minimamente responsabili per la tragedia che vive Gaza. La gente è stanca di Hamas, che insieme a Israele ha distrutto la Striscia.
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Dopo l’ottimismo di domenica, i palestinesi della Striscia si chiedono dunque con paura che cosa accadrà. L’Iran sostiene che quello di Israele dal Sud è solo un ritiro tattico. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu dice che c’è già una data per la tanto temuta e rimandata invasione di Rafah. La guerra sta finendo oppure no? In fondo l’esercito israeliano si è ritirato da Gaza City ma poi è tornato a bombardare e assediare l’ospedale di Al Shifa. E le operazioni continuano tuttora anche al Sud. Il futuro rimane oscuro e imprevedibile. Il presente sono solo macerie.
Di Sami Al-Ajrami.
Fonte: Repubblica
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