19 Febbraio 2024
Alexei Navalny (foto profilo ufficiale Instagram @Navalny)
Tutti i politici e i media occidentali si sono precipitati a incolpare Putin della morte di Naval’nyi, senza alcun riscontro oggettivo.
Biden ha dichiarato: “Putin è responsabile della morte di Naval’nyi. Quello che è successo è un’ulteriore prova della brutalità di Putin”.
Allo stesso modo si è espresso il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel: “l’Unione Europea ritiene il regime russo responsabile di questa tragica morte”.
Il presidente francese Macron ha dichiarato: “nella Russia di oggi gli spiriti Iberi vengono messi nei gulag e condannati a morte”.
Il Presidente Mattarella ha usato toni più sfumati: “il suo coraggio resterà di richiamo per tutti”. Giorgia Meloni si è subito accodata alle affermazioni dell’inquilino del Quirinale: “La morte di Alexsej Naval’nyi, durante la sua detenzione, è un’altra triste pagina che ammonisce la comunità internazionale. Esprimiamo il nostro sentito cordoglio e ci auguriamo che su questo inquietante evento venga fatta piena chiarezza”.
Naturalmente il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky non poteva esimersi dall’approfittare dell’occasione per accusare il Cremlino: “è ovvio” che ci sia Putin dietro la morte di Naval’nyi ”.
Naval’nyi, il campione della democrazia e della libertà che media e politici occidentali stanno celebrando con toni enfatici, in realtà era un filonazista, un razzista xenofobo, come ha attestato Amnesty International prima di riabilitarlo in chiave antirussa. Nei primi anni 2000 infatti, era organico agli ambienti dell’estrema destra russa e aveva candidamente paragonato i musulmani a scarafaggi, suggerendo di adoperare le pistole contro di loro. Non ha mai ritrattato queste frasi. Nel 2017, in un'intervista al Guardian, aveva affermato di non avere rimpianti per le sue dichiarazioni passate e ha definito l’equazione tra migranti e scarafaggi una "licenza artistica". In un’intervista a Der Spiegel aveva confessato di non avere mai cambiato le proprie opinioni e convinzioni. Naval’nyi si è formato a Yale, dove ha partecipato al “Greenberg World Fellows Program”, un programma creato nel 2002 per il quale vengono selezionati ogni anno su scala mondiale 16 persone con caratteristiche tali da farne dei “leader globali”.
Naval’nyi, come co-fondatore del movimento “Alternativa democratica”, ha beneficiato dei fondi messi a disposizione dalla National Endowment for Democracy (NED), una potente fondazione privata statunitense che, con fondi forniti anche dal Congresso USA, ha finanziato migliaia di organizzazioni non-governative in oltre 90 paesi, allo scopo di diffondere la “democrazia”.
In particolare la NED è stata molto attiva in Ucraina dove ha sostenuto il colpo di stato di piazza Maidan contro l’allora presidente eletto Yanukovich, nel 2014.
Contrabbandare e commemorare Naval’nyi come un eroe è una mistificazione che rappresenta in modo plastico e doloroso il livello di crisi dell’Occidente collettivo.
Del resto è un’operazione che abbiamo già visto attuarsi con il nazista Stepan Bandera, assurto a eroe nazionale ucraino, e con il famigerato battaglione Azov.
Naval’nyi era una creatura made in USA, costruita per essere proposta all’opinione pubblica come antagonista e oppositore del “feroce dittatore russo”. Uno strumento della propaganda occidentale insomma.
Quando in Occidente si sono accorti che Naval’nyi non era in grado di coagulare un vero consenso popolare lo hanno scaricato e hanno deciso che probabilmente sarebbe stato più utile da morto.
Un martire. Immolato sull’altare della democrazia. Non la Democrazia ma la democrazia dell’Occidente collettivo, quella che si fonda sul doppio standard.
Infatti, mentre si commemora a reti e giornali unificati Naval’nyi con toni agiografici, ci si dimentica di casi analoghi che chiamano in causa la principale “democrazia” occidentale.
Per esempio la misteriosa morte del finanziere americano Jeffrey Epestein, accusato di aver organizzato incontri pedofili con i rappresentati dell’elite politico - finanziaria anglosassone. Anche Epstein, come Naval’nyi, è morto in carcere il 10 agosto del 2019. Dai referti autoptici è risultato che il suo corpo presentava molteplici lesioni delle ossa del collo, tra cui quella dell’osso ioide. Tali fratture vengono tipicamente e comunemente riscontrate nelle vittime di omicidio per strangolamento. Tuttavia la versione del suicidio non è mai messa in discussione dai media né, tantomeno, dalla politica.
Allo stesso modo chi si è affrettato ad accusare Putin per la morte di Naval’nyi non pare che si sia distinto per l’impegno nel ricercare la verità sulla morte del giornalista americano Gonzalo Lira. Il giornalista USA è infatti morto in un carcere, come Naval’nyi. Lira era detenuto in Ucraina ed è morto il 12 gennaio 2024, dopo essere stato torturato, senza che i media e i politici occidentali osassero chiedere conto a Kiev, né tantomeno accusare Zelensky. Lo stesso discorso vale, in modo ancora più eloquente, per Julian Assange. Il fondatore di WikiLeaks è stato infatti perseguitato per un decennio ed è detenuto nel carcere inglese di massima sicurezza di Belmarsh in condizioni che rasentano la tortura da quasi 5 anni. La sua unica colpa è quella di aver rivelato innumerevoli crimini di guerra commessi dagli USA in Iraq e in Afghanistan. Però, nella culla della civiltà e della democrazia, aver osato portare alla luce il modus operandi del Pentagono, della CIA e della NATO, comporta la condanna a morte. È un messaggio chiaro, un’intimidazione esplicita e diretta contro tutti i giornalisti e tutto il mondo dei media.
Nils Melzer, ex relatore delle Nazioni Unite contro la tortura, dopo aver analizzato il caso di Assange, ha dichiarato: “in 20 anni di attività non ho mai visto un gruppo di stati democratici organizzarsi per isolare, demonizzare e abusare deliberatamente di una singola persona per così tanto tempo e con così poco riguardo per la dignità umana e per lo stato di diritto”. Noam Chomsky, nella sua testimonianza scritta alla corte di Londra ha dichiarato: “Julian Assange ha reso un enorme servizio a tutte le persone del mondo che hanno a cuore i valori della Libertà e della Democrazia e che quindi chiedono il diritto di sapere cosa fanno i loro rappresentanti eletti. Le sue azioni, a loro volta, lo hanno portato a essere perseguitato in modo crudele e intollerabile”.
Un mondo in cui i criminali restano impuniti e i coraggiosi che svelano i crimini vengono puniti è un mondo che va combattuto in ogni modo. Assange ha sacrificato la sua libertà perché vuole che tutti noi possiamo vivere in un mondo diverso, libero e giusto. Pertanto, la libertà di Assange è la libertà di noi tutti. Se la persecuzione e la detenzione di Assange avessero suscitato la stessa ondata di sdegno provocata dall’arresto e poi dalla morte di Naval’nyi, probabilmente il fondatore di Wikileaks sarebbe già libero, sarebbe a casa con sua moglie e i suoi figli.
Di Marco Pozzi.
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