04 Luglio 2022
Che la cosiddetta “operazione speciale” in stia durando più tempo del previsto (e ne durerà ancora di più, a detta degli analisti) sembra un fatto ormai assodato per tutti; proprio per sostenere uno sforzo bellico sempre più intenso il governo russo avrebbe proposto alla Duma di Stato una serie di “misure economiche speciali” volte a sostenere “attività antiterroristiche e altre operazioni militari al di fuori dei confini della Federazione”. Sembra che nonostante gli annunci propagandistici trionfali e i recenti successi nella conquista del Luhansk, Putin abbia compreso che la guerra durerà ancora molto a lungo e non sarà facile, e prepara il terreno per un conversione dell’economia russa in una economia di guerra.
Ma quali sarebbero, di fatto, le misure proposte in questo emendamento? Innanzitutto, alle aziende – anche private - non sarà più concesso di rifiutare un contratto proposto dallo stato: saranno sostanzialmente obbligate a fornire beni, forza-lavoro e servizi alle condizioni del Cremlino, senza potere di contrattazione. L’unico limite è quello della finalità: simili “contratti a senso unico” varranno solo per i beni considerati strategici a livello militare. Dunque ovviamente armi e munizioni, ma anche cibo, vestiti, equipaggiamenti, motori, chip e materiale tecnologico: di fatto, una notevole parte dell’economia russa potrebbe essere influenzata da questo emendamento.
Una seconda misura riguarda invece la possibilità di esigere dai lavoratori (a quanto pare, statali, ma è anche possibile che riguardano i privati dei cosiddetti “settori strategici”) “turni speciali”, ad esempio nei fine settimana, durante le ferie o di notte. Entrambe le misure sono state giustificate in virtù della sempre più assillante necessità di riparazioni e pezzi di ricambio, visto che l’attuale conflitto consuma mezzi, uomini e risorse a un ritmo frenetico. È indubbio che Mosca abbia in mente le difficoltà logistiche di inizio conflitto, che hanno causato la sconfitta russa nell’assedio di Kiev; ma indubbiamente vi è anche il peso delle sanzioni occidentali, che pur fallendo nell’obbiettivo di infliggere un colpo rapido e mortale all’economia russa, sono comunque efficaci (ovviamente) nei settori in cui Mosca dipendeva dalle importazioni occidentali. In particolare microchip e materiale tecnologico sofisticato, fondamentali per la costruzione e riparazione di aerei e carri armati di ultima generazione. Attraverso la mobilitazione dell’economia del paese, Putin spera dunque di supplire parzialmente a questi deficit. Secondo alcuni report, infatti, da inizio conflitto molte aziende atte alla produzione di materiale militare hanno sostanzialmente smesso di produrre in virtù della mancanza di pezzi di ricambio.
Intanto, la Russia può comunque godere degli immensi arsenali di armi e munizioni che l’URRSS aveva accumulato nel corso dei decenni nell’eventualità di uno scontro con la NATO. Materiale datato (l’apparizione degli storici T60 nei convogli diretti al fronte aveva scatenato l’ilarità di molti analisti) ma spesso ancora in grado di fare male, specialmente l’artiglieria la cui superiorità numerica garantisce il vantaggio di Mosca sul campo.
Misure economiche invasive e di vago sapore sovietico; per ora, non seguite da misure altrettanto radicali per rimediare alla mancanza di personale, che è ormai la vera piaga dell’esercito russo e impedisce di capitalizzare sui successi tattici ottenuti.
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