27 Luglio 2025
“Benvenuti a Cristicchi live, Cristicchi è ancora vivo”. Siamo in teatro, a Jesi, al Pergolesi perché stasera siccome c'è l'estate più estrema di tutti i tempi fa un freddo porco e Jesi, la splendida Jesi dal corso infinito e dai portici evocativi, ogni sguardo uno scorcio crudele, una magia medievale, Jesi fondata da Esio re dei pelasgi, etrusco e sabino e piceno, Jesi daziaria e mercadora, è spopolata, desolata, ah, queste Marche così belle che nessuno conosce, anche perché esse stesse non sono capaci di farsi conoscere, quasi refrattarie, gelose dei loro segreti tesori. In teatro c'è un'umida afa ma è la dimensione migliore per Simone, che ha una carriera bizzarra a sua immagine: cominciò, lo ricordate, nei primi Duemila “rischiando di stroncarmi subito da solo” con quella perculatio di Biagio Antonacci, programmatica di una insofferenza mai spenta; dopo qualche trionfo sanremese decideva però di votarsi al teatro d'impegno, scoprendo subito quanto può essere gratificante e ingrato: stasera lo ritrovo qui, su un palco minimalista, acceso solo di lampade, come un salotto, e otto musicisti di valore, i quattro del gruppo storico cui si aggiunge l'ensemble acustico dello Gnu Quartet, raffinati e potenti, tre archi e il flauto traverso di Francesca Rapetti, straordinaria. Cristicchi è ancora vivo: ha appena subito una paralisi di Bell, in remissione, cogliendo quanto maligno ce po' essere là fuori; lo sapeva già, ma ogni conferma è una sorpresa che incide, decapita le illusioni residue. Eppure non si arrende: nel cantare finalmente di sé, non di Battiato questa volta, non della storia recente, di sé, della sua carriera sinuosa e bizzosa, egli oscilla “Dalle tenebre alla luce” ed è un percorso di chiodi e di spine che Simone non fa niente per nascondere, anzi lo canta in tutta la sua crudità. Spirituale sì, esaltato no, facilmente suggestionato no, tutt'altro. Semplicemente è un uomo, un artista che ha avuto la crescita precoce di chi, se dedica un'opera agli esuli dalmati e istriani, si trova scaricato addosso l'odio delle estreme da destra a sinistra e deve difendersi, anche fisicamente.
Lui non ha mai rinunciato, ha insistito con altri lavori poetici e urticanti, con temi non esattamente inclusivi – non per colpa sua, come l'utero in affitto e l'aborto: parla chiaro e gli arriva l'invidia che muove il mondo, che provoca lo stress e demolisce le difese. L'italia è Paese di conformismo stagnante dove non ti perdonano se scegli di sottrarti, specialmente se il conformismo cova il demoniaco. Da cui un disagio, ora beffardo ora rabbioso, ma ne parliamo tra qualche riga. Alle viste dei 50 Cristicchi ha deciso di riassumersi, ha dedicato una tournée a se stesso. È un concerto che non può non godere delle sue anime capricciose, per dire libero davvero, spiazzante davvero: si cambia registro di continuo, si viaggia tra una citazione della PFM con de André a Gabriella Ferri, da Battiato a Jannacci, e chi li ricorda più, e qui c'è già un valore aggiunto; l'altro è quel non rinunciare a proporre valori non gratuiti, temi fastidiosi, tragici, come quando mette insieme i casi dimenticati di troppi ragazzini indotti a suicidio da un tempo invivibile, da una koiné di cannibali; altro momento, l'insofferenza soffusa per un genere umano che forse è meglio rinunciare a capire, declinata in un rosario di rifiuti ideali condensati in un passaggio, “non sopporto quelli che passano due giorni a farsi i fanghi e il resto della vita nella merda”: è tutto qui, che altro resta da dire? E lo dice come inserto a una versione pazzesca dell'Italiano di Toto Cutugno quasi punk, senza quasi, la batteria che tuona dei tonfi pazzeschi, ossessivi, che spaccano dentro, che turbano: vedi un po' cosa può nascondere sempre la musica, un inno ultrapopolare, qualunquista può diventare una scarica convulsa, il terzetto d'archi e il flauto a metter su una sarabanda infernale, è terribile la musica, la prendi per le ali credendola colomba e lei ti dilania. L'artista Cristicchi conosce il suo valore e lo sa, non lo nasconde, e perché dovrebbe? E c'è una sezione, del tutto inattesa, ma spassosa, dove la perculatio antica si dilata all'universo monno dello spettacolo triste, di consumo immediato, dei maranza e dei cialtroni, delle sottocantanti da onflyfans, una citazione dopo l'altra e “questi stavano tutti a Sanremo con me, oh!”.
Di botto ci si ferma. Si precipita di nuovo nell'introspezione silente, dolente dei matti del manicomio che stanno sui tetti e scrivono con calligrafia da prima elementare: allegorie di un percorso dove le tenebre porteranno pure alla luce, ma attraverso infinite sfumature d'ombre, cupe, divoranti, e solo per capire, per accettare che a quella luce ci si aggrappa con disperata fiducia perché è fatta di niente, è fatta di possibilità. Chi altri sa portare su un palco situazioni del genere? È un concerto fatto di atmosfere cangianti, contraddittorie, dalla sofferenza crepuscolare al sirtaki beffardo, al romanesco poetico popolare, su e giù, apparentemente senza meta, senza logica, in modo perfino dispettoso, finché capisci che tutto si condensa in una sensazione infungibile: questo è Cristicchi e nessuno è come lui. Per dire uno che torna al concerto ma lo fa da teatrante, uno che non può non risentire di tutte le esperienze di palco e ci è arrivato in anticipo sui tempi: il ragazzino chiamato Cento lire, che vagava con la testa sull'asfalto a cercare imprevisti, si rifugiava a cercare la vita negli ospizi dove la vita muore, allora non si diceva ancora nerd, era solo uno strano, un marginale che si chiudeva in camera ad abbozzare disegni, fumetti, quel fanciullo, quel diverso va verso i 50, tira le somme, è stato capace, è capace di muoversi nel mondo infido dello spettacolo, si è creato una carriera libera e complicata ma qualcosa, come un trasognamento, non lo abbandona: in concerto certe ferite, certe zone scoperte arrivano forte così come arriva, a lampi, lo sgomento di chi si ritrova a lottare contro certe correnti maligne; l'invidia, motore del mondo, che non si placa mai e assume voci diverse, fonti diverse, ciascuna col suo veleno. Cristicchi è maturato presto artisticamente ed è ancora in divenire, ma mai come nell'ultimo periodo ha sperimentato questo: che se parli di luce, dell'amore che dirada le tenebre, se parli dell'amore di due vecchi dell'ospizio stretti in un valzer tragico, della sofferenza che si dischiude a uno slancio di bontà, se non ti rassegni alla grevità della materia e cerchi lo spirito che ti riscatta, se ti permetti di celebrare san Francesco snobbando le Gintoneria, insomma se difendi la vita e una madre col coraggio della vita, è matematico che qualcuno te la vorrà far pagare. Sono i pessimi, i profeti d'invidia, sono quelli che vivendo male vogliono far vivere male, contagiarti dei loro inferni mediocri, senza affetti in entrata e in uscita. Senza luce.
Ma Cristicchi è ancora vivo e vive e vince ogni sera quando risale sul palco e poi ne discende stremato con un amuleto d'amore in più. Perché il pubblico, se pure non coglie tutte le sfumature del suo crescere doloroso, lo ama però. Lo difende. Perché alla fine di un concerto così libero, capriccioso e meticolosamente calibrato, si esce con un senso di pienezza e di gratitudine; anche riscoprendo la profonda bellezza di certe arie già classiche, “Abbi cura di me”, “Quando sarai piccola”, romanze di un tempo senza tempo, contro un tempo incomprensibile dove non c'è forse più niente da difendere; ma l'artista, se tale è, non si rassegna. Non può. È questa la sua maledizione divina, la sua benedizione da scontare. Dopo, a cena, ci dicevamo scherzando ah ma tu devi essere più cattivo, più incazzoso, e ce lo dicevamo come due che volendosi bene si tributano l'onore delle armi: no, noi non abbiamo rinunciato ad essere polemici, noi ce le cerchiamo le rogne. Ma finché possiamo ritrovarci in un abbraccio, a cena, dentro un temporale di barzellette sconce, guerrieri vulnerati ma non bigotti, va tutto bene, le tenebre non prevarranno. In un abbraccio c'è la luce che manca, la salvezza.
Il Giornale d'Italia è anche su Whatsapp. Clicca qui per iscriversi al canale e rimanere sempre aggiornati.
Articoli Recenti
Testata giornalistica registrata - Direttore responsabile Luca Greco - Reg. Trib. di Milano n°40 del 14/05/2020 - © 2025 - Il Giornale d'Italia