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"La libertà innanzi tutto e sopra tutto"
Benedetto Croce «Il Giornale d'Italia» (10 agosto 1943)

Cadevano le bombe come neve quel giorno a San Lorenzo: la TESTIMONIANZA del bombardamento Usa su Roma del 19 luglio 1943

Roma 19 luglio 1943, ore 11. Il cielo si “oscura”, la città “trema”- Il ricordo del bombardamento che squarciò il quartiere

21 Luglio 2025

Bombardamento su Roma

Bombardamento su Roma

Avevo 16 anni, una macchina da scrivere e il sogno di diventare un giornalista. Un giorno mia nonna decise di raccontarmi la storia dei 3000 morti di quel maledetto 19 luglio 1943 sotto il bombardamento di San Lorenzo a Roma: “Scrivilo affinché non si perda la memoria”.

Dopo 30 anni ritrovo questo testo e il destino vuole che lo pubblichi sul sito che ho ideato, in occasione dell’82° anniversario del bombardamento.

Avevo 15 anni, ma già lavoravo nella farmacia Bianconi di via degli Equi. Erano le ore 11 del 19 luglio 1943, quando come ogni mattina ero in servizio. Con me c’erano la proprietaria dottoressa Laura, sui 40 anni, signorina, il Prof. Romolo Romani e la sua fidanzata Donna Ortenzia, entrambi di età avanzata.

Avvertimmo l’avvicinamento degli aerei nemici, i quali iniziarono a bombardarci. Dopo poco suonò l’allarme. Non so bene cominciare a raccontare l’accaduto. Per il forte spostamento d’aria, causato dalle bombe, si aprirono le porte, si ruppero vetri e caddero a terra molti scaffali, pieni di barattoli, di polveri medicinali con le quali facevo le preparazioni. Vidi molto polverone, causato dalla caduta di 2 palazzi colpiti dalle bombe. Molta gente si rifugiava nella farmacia.

Il Prof. Romani cominciò a bestemmiare, la dottoressa ormai impaurita col grande fracasso, si appoggiò delle tovagliette sul capo, in modo da evitare la probabile caduta di calcinacci sulla sua testa. Il telefono cominciò a squillare. Era la madre della dottoressa, la quale aveva ascoltato alla radio la notizia del bombardamento del quartiere S. Lorenzo.

Appena terminata questa telefonata vennero interrotte le linee telefoniche. Allora pensando a una probabile interruzione delle condutture dell’acqua, cominciai a riempire alcune damigiane.

Ci furono veri momenti di panico, e io cercai di calmare le persone che si trovavano nella farmacia. Andai sulla soglia dell’uscio, vidi gente che gridava per la probabile morte di un parente. Tutto ciò che mi circondava era ormai distrutto. Proprio in quel momento caddero delle bombe a circa 4 metri da me.

Sicuramente l’episodio tragico, che sto per raccontare rimarrà sempre dentro di me. Entrò una giovane donna impaurita, la quale portava un bambino di circa 8 mesi avvolto in una copertina a quadri rosa e celeste. Mi disse che doveva recarsi dal dottore, perché il bambino non stava bene. Presi fra le braccia il piccolo, lo portai dal Prof. Romani che gli iniettò una fiala di adrenalina e una di canfora. Però dopo poco il piccolo morì.
Lo presi e lo avvolsi nella copertina e lo ridiedi alla madre, dicendole di adagiarlo sul letto, non acconsentendo perché fosse deceduto. Intanto venne cessato l’allarme.

Tra un’ondata e un’altra vidi mio fratello Otello, il quale veniva in farmacia per dirmi che mia madre si stava preoccupando per me. Io lo rassicurai, e mi rifiutai di abbandonare il posto di lavoro.

Ero nell’età adolescenziale, e la guerra oltre ad aver distrutto la zona nella quale ero nata, ha ucciso migliaia di persone, e la cosa più grave è che ha lasciato una grande ferita dentro di me.

Delle parole di un detto descrivono ciò che è accaduto a S. Lorenzo.

"O Dio mio che macello
Quando rivedo S. Lorenzo bello,
Non c’era più un palazzo per guardarlo,
Fra le macerie la gente strilla,
Chi cerca il padre, il figlio o la famiglia.
Ma una vecchietta che ha perduto er core
E sta cercando er figlio e non lo trova,
Forse sarà rimasto tra le mura
E ad un tratto lo senti gridà:
Oh! Dio che macello quando rivedo San Lorenzo bello,
Non c’era più un palazzo pe’ guardallo!"

Potrei narrare molti altri episodi accaduti durante questa guerra che da 50 anni mi affligge il cuore.

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