08 Dicembre 2022
Foto Fabio Ferrari/LaPresse
Mercoledì 7 dicembre 2022. Sant’Ambrogio.
Il giorno della prima della Scala.
È un’opera lirica di un autore russo a inaugurare la stagione scaligera. Nonostante
i tentativi di applicare il metro e i metodi della cancel culture che in precedenza hanno portato alla rimozione di statue e targhe, alla cancellazione di corsi universitari, seminari e incontri sull’arte russa, inclusi gli allestimenti della Biennale di Venezia e della Triennale di Milano.
Si è arrivati perfino a escludere gli atleti russi dalle competizioni sportive internazionali.
Sarà infatti Boris Godunov, l’opera lirica di Modest Petrovič Musorgskij, autore anche del libretto, basata sul dramma omonimo di Aleksandr Puškin, a inaugurare la stagione scaligera. La direzione dell’opera è affidata al maestro Riccardo Chailly che fu assistente di Claudio Abbado nell’allestimento del 1979.
Per Chailly la decisione di inaugurare la stagione scaligera con Boris Godunov dopo il Macbeth verdiano è una scelta di continuità.
Il sovrintendente della Scala Dominique Mayer ha rivendicato l’autonomia programmatica e gestionale del grande teatro milanese in modo chiaro: “non c’è niente che vada contro l’Ucraina. Lo ripeto, non sono pronto a nascondermi quando leggo Dostoevskij o Puskin”. In qualche modo il sovrintendente ha cercato di compensare la sottomissione ai voleri dell’isteria collettiva antirussa che ha portato alla rimozione di uno dei più grandi direttori d’orchestra del mondo, il maestro Valery Gergiev, inviso al sindaco Sala per essere russo e amico d’infanzia di Putin e per aver rifiutato di ripudiare pubblicamente la propria nazione.
Chiedo al tassista di andare più velocemente possibile.
Alle 17,45 mentre entro in teatro incrocio Manuel Agnelli avvolto in un lungo mantello nero.
Il foyer è già di per sé uno spettacolo, un misto di eleganza rigorosa e di eccessi intrisi di pessimo gusto. Facce conosciute circondate da un discreto numero di amici di chiunque sia noto e/o potente.
Ecco la pattuglia dei politici: il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano e il governatore della Lombardia Attilio Fontana.
Saluto Luca Guadagnino e, subito dopo, Stefano Accorsi. Poi incrocio Sonia Bergamasco insieme al marito, Fabrizio Gifuni.
Passa Roberto Bolle, immancabile, come la signora Segre.
Chissà con quale spirito Bolle si appresta ad assistere a tre ore di rappresentazione di un’opera lirica di un autore russo, cantata in russo da interpreti russi? Lui che non ha avuto alcuna esitazione a espellere dal cast dei suoi spettacoli i danzatori di nazionalità russa.
Vedo anche due archistar: Stefano Boeri, presidente della Triennale e Mario Botta, che ha progettato la ristrutturazione del teatro scaligero.
Incrocio alcune facce note, saluto un paio di amici.
Rivedo con grande piacere l’ex sovrintendente della Scala Carlo Fontana.
Ecco Luca con il suo sorriso sardonico in bella mostra, insieme a sua figlia.
Quel signore rigido e compassato che osserva gli astanti con malcelato distacco, al limite del disprezzo, è Mario Monti. Lo smoking non riesce a contenere l’ego ulteriormente ingigantito dall’omaggio che gli è stato attribuito questa mattina.
Un omaggio che è sconfinato nell’agiografia da parte della signora Ursula von der Leyen e di Sergio Mattarella durante il passaggio di consegne tra Monti e Sironi alla guida dell’Università Bocconi.
Arriva Mattarella. Un habitué della prima della Scala.
Viene accolto dagli applausi del pubblico.
Passa a poco più di un metro da me.
La postura e la rigidità con cui si muove enfatizzano la sensazione di un corpo su cui è stata innestata una maschera. Lo confesso, vedere Mattarella da vicino provoca un guazzabuglio di emozioni contrastanti.
Prendo posto. Parte l’inno nazionale, vedo Giorgia Meloni cantare con passione.
Subito dopo le note dell’Inno alla gioia di Beethoven risuonano nel teatro gremito come tributo alla Comunità Europea rappresentata dal massimo esponente, la signora von der Leyen. Questa sera la presidente del Consiglio d’Europa ha deciso di abbinare il sorriso smagliante e la cotonatura delle grandi occasioni a un top di cristalli e a una gonna a trapezio scivolata. Blu Europa, naturalmente.
Finalmente l’opera ha inizio.
Le scenografie tridimensionali definiscono spazi che fondono il teatro con il cinema. L’allestimento consente di mettere in scena e fare dialogare più spazi e più situazioni contemporaneamente mescolando luoghi e tempi in continui flashback. Anche la regia, assecondando il libretto originario, lavora sul piano spazio-temporale con un approccio di taglio cinematografico.
Il cast stellare, interamente russo, è in grande forma vocale, in primis Ildar Abdrazakov che interpreta Boris Godunov.
Non capisco una parola, come (quasi) tutti ma mi faccio trascinare dalla potenza evocativa della musica. Così scivola via la prima parte, più lieve del previsto.
Trascorro l’intervallo a osservare il movimento nel foyer. Come se guardassi le traiettorie geometriche di pesci sconosciuti dietro il cristallo di un acquario gigante.
Ritorno al mio posto e mi lascio avvolgere dal buio, in attesa che inizi la seconda parte dell’opera. All’improvviso dal loggione qualcuno intona le prime note del coro del terzo atto del Nabucco di Verdi. “Va, pensiero, sull'ali dorate...”
Altre voci si uniscono. Diventa subito un coro gigantesco: “Va, ti posa sui clivi, sui colli, Ove olezzano tepide e molli, L'aure dolci del suolo natal!”
Esplode con una potenza deflagrante, avvolge tutti e travolge ogni freno.
“Oh mia patria sì bella e perduta! Oh membranza sì cara e fatal!”
Qualcuno urla:“Traditori! Avete calpestato la costituzione. Traditori!” “Ursula vogliamo la Libertà! “
Quasi tutto il teatro urla: “Libertà! Liberta!Libertà!”
Mi sveglio. Sto sorridendo avvolto nel piumone.
Di Marco Pozzi
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