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La riduzione della vita ad adempimento burocratico

La nostra società si fonda su una coercizione ingiustificata e ingiustificabile in termini morali.

06 Maggio 2022

La riduzione della vita ad adempimento burocratico

La riduzione della vita ad adempimento formale e burocratico, che poi, oggi, è ormai soprattutto adempimento tecnologico e informatico, è avvenuta attraverso un percorso che, semplificando, individuo essersi snodato in tre grandi fasi: a) una prima fase, nemmeno cessata davvero, nella quale, prevedendo ogni nuova normativa delle migliaia, che entravano ed entrano in vigore, nuovi reati, nuove imposte e nuovi pezzi di carta da compilare, si andava espandendo la burocrazia dello Stato; b) una seconda fase, tuttora in corso, in cui lo spirito burocratico si è esteso all’impresa privata, con la conseguenza che il cittadino-consumatore nemmeno nota alcuna differenza tra quando va in un gabinetto dentistico privato e quando va alla ASL, dato che in entrambi i casi ci sono moduli da compilare, dati da rilasciare, regole più o meno stupide da rispettare, imposte con tono autoritario dal privato non meno che dal pubblico, dato che, sia per imposizione legislativa, sia per ottusità personale del privato, la distinzione weberiana tra l’impresa privata orientata al profitto e la burocrazia pubblica orientata al rispetto di regolamenti e circolari, ha perso buona parte del suo significato; a ciò ha contribuito da noi grandemente l’Unione Europea, la quale, con la sua fissazione malata ordoliberale, ha imposto milioni di regolamenti e direttive da rispettare, in nome di una stupida applicazione del principio di concorrenza perfetta, per il quale, secondo loro, tutti, da Stoccolma ad Agrigento, devono rispettare gli stessi standards di cosiddetta qualità; c) la terza fase, più recente, in cui non solo più l’impresa deve burocratizzarsi per rispettare milioni di regole, ma persino lo stesso privato cittadino viene sussunto quale organo dello Stato, e quindi diviene applicatore delle sue norme, per cui da ultimo, con la cosiddetta pandemia, decine di milioni di cittadini sono stati trasformati in organi dello Stato controllori di “mascherine” e di “green pass”; tal per cui qualsiasi coglione, essendo stato tributario di un metaforico cappello di Napoleone in testa, è stato d’imperio trasformato in autorità di controllo, per cui ognuno di noi ha dovuto rendere conto del nostro operato a milioni di improvvisati funzionari, battezzati tali dalla legge, incarnati da camerieri, baristi, ristoratori, cassieri del cinema e del teatro, controllori ferroviari, uscieri di tribunali e di ministeri, capistazione, macchinisti e uomini di fatica, per dirla con Totò. In tal guisa, si è andati addirittura oltre il § 358 dei Lineamenti di Filosofia del diritto di Hegel, per il quale tutti i cittadini sono “membri” sussunti nello Stato, dato che tali decine di milioni di persone sono divenuti, non solo “membri” dello Stato, ma addirittura tronfi funzionari suoi.

La natura totalizzante della società dell’adempimento è quindi evidente, al di là ormai di qualsiasi utile distinzione pubblico/privato, tanto più con la folle pretesa che la tecnologia digitale ci ponga al riparo dall’illecito, ossia del difforme e non riconducibile allo schema, e si riveli cioè in grado di eliminare l’atto bollato come illecito dal mondo -senza però nemmeno l’intento di scalfire l’illecito fondativo, consistente nel fatto che il sistema si fonda su di una coercizione originaria del tutto ingiustificata e ingiustificabile in termini morali, ma consistente esclusivamente in un fatto bruto, che poi diviene oggetto di edulcorazione legittimante -, posto che la tecnologia informatica ammette solo adempimenti corretti, e forse anche politicamente corretti, dato che, diversamente, il sistema informatico non funziona, non prosegue nelle proprie procedure, e questo vale sia che tu vada sul sito di Carrefour, sia che tu vada su quello della Questura di Perugia, tanto più che entrambi utilizzano lo stesso irritante linguaggio da piazzista da televisione locale degli anni ‘80. di Fabio Massimo Nicosia, Presidente del Partito Libertario.

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